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Probabilmente il Paradiso esiste sul serio: se non abbiamo notizie di prima mano è perché le anime celesti che lo abitano, non possono comunicare con noi e non sanno quello che succede sulla Terra. Sono così isolati che, ogni qual volta giunge un carico di anime, papà e mamma sono lì, sulla soglia del Paradiso, che chiedono informazioni a tutti i napoletani in arrivo. “Sapete niente di un certo Luciano De Crescenzo?” – “Chi, lo scrittore?” – No mio figlio è ingegnere alla Upim!” Sono stato quasi 20 anni alla IBM ma, a mia madre, chissà per quale motivo, non è mai entrato in testa il nome della società: la confondeva con la Upim. Poi, un bel giorno, in Paradiso arriverei anch’io. Immaginatevi l’incontro: abbracci e baci, lacrime di mia madre, domande di papà che si accavallano alle mie. Insomma, tutta una vita da raccontare in pochi minuti… (da “I dialoghi di Bellavista” – di Luciano de Crescenzo – Oscar Mondadori). 

Cari Lettori, lo sappiamo: è pura fantasia.

Probabilmente, ad essere ragionevoli, a simili contesti non crederebbe nessuno. Ma, diciamoci la verità: a chi non piacerebbe una tale realtà? Tutto ciò, non rappresenta un modo di illudersi e sfuggire le verità di una vita convulsa quanto, piuttosto, un alimentare quei reconditi infantili che costituiscono linfa indispensabile a continuare anche quando, in apparenza, non esiste più il bandolo della matassa esistenziale

Come delle cellule staminali che garantiscono un serbatoio istologico da cui attingere, in caso di necessità.

Quando un uomo ha grossi problemi dovrebbe rivolgersi ai bambini; sono loro, in un modo o nell’altro, a possedere il sogno e la libertà. (Fëdor Dostoevskij)

Come si costruisce la credibilità in sé stessi?

Prevalentemente, attraverso la verifica delle qualità e dei valori che siamo in grado di generare e trasmettere. È innegabile, tuttavia che, ognuno di noi, anche il più “atarassico” e “logico”, non possa fare a meno di parametrarsi, magari inconsapevolmente, col suo mondo bambino e con tutti i riferimenti che, in quel caleidoscopio emotivo, finiscono col farti credere vero, anche quello che vero, non è.

È per questo che, non ancora adolescenti, convinti di rendere un servizio all’umanità, rivelammo (vergando, col gesso, i muri della scuola) che, dietro la maschera di Zorro, si celava, in realtà, “don” Diego de la Vega!

Ed è sempre per lo stesso motivo che, ogni tanto, ci capita di “voler” credere a quello che osserviamo e ascoltiamo, anche quando, le fonti dell’informazione sono simili alle sirene di Omerica memoria.

E pensare che, la spiegazione di certi meccanismi speculativi, fanno parte delle competenze e della razionalità che ci contraddistingue…

Ma che ci vogliamo fare, ognuno ha il suo punto critico. Anche i cristalli antiproiettile.

Dimmi ed io dimentico; mostrami ed io ricordo; coinvolgimi ed io imparo! (B. Franklin)

Antichi Mentori (che, per molti aspetti ricordavano l’ingenuo candore del Luca Cupiello di “defilippiana” memoria) ci hanno tramandato il valore della Libertà come insieme di luoghi, persone e opportunità che ci aiutano a crescere, collezionando esperienze che vanno a definire il nostro carattere, insegnandoci la differenza fra ciò che è giusto e ciò che non lo è… aiutandoci a capire cosa essere e cosa diventare… legittimandoci nell’essere, autenticamente, noi stessi. Questo valore, se significa veramente qualcosa, ispira il modo in cui il mondo cambia. E appartiene, quindi, a tutti. Ma non è di nessuno.

“Vogliamo portarvi in un mondo più libero, dove comunicare è più facile. Per sentirvi più vicini, per avere risposte 24 ore su 24, appoggiatevi a noi, parlate con noi. Vi diamo ascolto!”

Questo slogan della Omnitel ha convinto molti, in un lontano  1996, a dar fondo a parecchio delle proprie sostanze di allora per diventare Testing Partner: un cliente senza garanzie a dirla in breve, che avrebbe potuto telefonare solo in pochissime zone di copertura sul territorio nazionale.

Però, al tempo stesso, ci si sarebbe potuti sentire come dei paladini di una nuova era, affrancati dal giogo del gestore dominante di allora (Telecom Italia Mobile)…

Gli uomini costruiscono troppi muri e mai abbastanza ponti (I.Newton)

Non possiamo dimenticare quella volta (di un bel po’ di anni fa) che abbiamo ascoltato la delusione di alcuni bambini: “E’ una vera ingiustizia! Poco fa, in televisione, abbiamo visto un nuovo sapone che lava bianco… che più bianco non si può! Ma anche la pubblicità del vecchio sapone diceva la stessa cosa! E questa è una presa in giro… Basterebbe dire che faranno, prima o poi, un sapone migliore!”

La vera disabilità è quella dell’anima che non comprende…Quella dell’occhio che non vede i sentimenti… Quella dell’orecchio che non sente le richieste d’aiuto. Solitamente, il vero disabile è il presuntuoso che, convinto di imbrogliare gli altri, ignora di esserlo. (Gladys Rovini)

Cari Lettori, probabilmente vi sembrerà bizzarro che, in un momento in cui ci si dibatte in problemi economico – esistenziali di portata “pandemica”, i sottoscritti trovino importante importante soffermarsi su argomentazioni apparentemente di scarsa rilevanza.

Probabilmente avrete ragione ma ci permettiamo di invitarvi a riflettere sul fatto che, tuttavia, ognuno di noi, fonda il presente utilizzando il passato per programmare il futuro. Ogniqualvolta dobbiamo ammettere di essere stati imbrogliati, acuiamo sospettosità e diffidenza, che generano il pregiudizio.

Che ci avvelena l’esistenza.

I giorni che ruotano intorno all’Epifania ci portano con la memoria al tempo in cui eravamo bambini o in odore di fanciullezza e tutti concentrati, non solo nell’attesa dei regali ma, anche, nell’ascoltare storie che aleggiavano di magico e fiabesco.

Leggevamo, allora, giornaletti e libri che ci facevano volare sulle ali della fantasia. Vedevamo, altresì, con avida partecipazione film che catturavano l’attenzione perché ci mettevano dinanzi i comportamenti essenziali dell’agire umano.

È l’età, quella della infanzia, in cui cominciano a delinearsi i sentimenti e si ricava sempre una morale del vario agire umano.

Quando, oggi, ci capita di vedere qualche grande pellicola del passato, è come se “vivessimo” ogni fotogramma (sequenza per sequenza) perché, senza accorgercene, veniamo rituffati negli anni della gioventù, quando ci predisponevamo con fiducia alla battaglia della vita.

Ci capita in questo periodo di rivedere film dal sapore natalizio e di riflettere, sia pure per poco, su come eravamo.

Se fosse possibile rivivere quel clima e quelle aspettative (magari attraverso l’attraversamento “quantico” di un Universo parallelo). di sicuro  molti dei disillusi contemporanei ne trarrebbero giovamento.

C’era, allora, nei libri e nei film una chiara delineazione del bene e del male.

Con grande abilità, magari con un narrare fiabesco, venivamo introdotti nel mondo reale. Si coglieva subito che i buoni venivano ostacolati nella loro azione dalla malvagità e furbizia dei cattivi e soccombevano e soffrivano per tanto tempo.

Ma (per fortuna c’è sempre un “ma”) alla fine si assisteva sempre al trionfo del bene.

Con una positiva e pedagogica morale di tal fatta, siamo andati avanti fino alle soglie della maturità quando abbiamo dovuto prendere atto della necessità (etica, giuridica e morale) di vivere seguendo le regole della civiltà e della democrazia e riscontrando, al tempo stesso, la realtà di chi crede di essere al di sopra di tutto e di tutti.

Ammettiamolo con sincerità: siamo ogni giorno sempre più sconfortati nell’assistere alla vittoria dei malvagi che sono in grado di elaborare strategie sempre più diaboliche.

Che fare?

Non abbiamo la statura criminale né siamo interessati a “calpestare senza ritegno” perché, come ci ricorda il titolo di un’opera famosa, “così fan tutti”.

Restiamo (o almeno ci sforziamo di restare) nella cittadella del bene sempre più assediata e vilipesa, al servizio di valori di socialità e fratellanza.

Cerchiamo di darci fiducia l’un l’altro perché ci accorgiamo che da soli non si va da nessuna parte e abbiamo bisogno di sentirci e rapportarci con gli altri per alimentare la carica emozionale e sentimentale che alberga dentro noi stessi.

Ogni particolare è importante, ogni comportamento o riscontro può essere di grande aiuto.

Per questo, può accadere di trovare linfa vitale in quel remoto passato quando la vita ci veniva presentata come una lotta in cui il bene trionfa sempre sul male. Senza eccezione. Venivamo rassicurati allora che la lotta, per quanto lunga, avrebbe visto la vittoria del buono sul cattivo.

Sembra un impossibile ritorno al tempo perduto, ma non è così. Nel gran guazzabuglio della memoria se ogni tanto troviamo vividi ricordi essi tuttora possono avere un valore emozionale per l’esperienza d’oggi.

Forse è anche per questo che soffriamo osservando che, gli “eredi” del sig. Marchionne (CEO e “padrone” di tutto il gruppo Fiat – Chrysler – Jeep- Lancia – Alfa Romeo – Maserati – RAM e Ferrariconsiderino, nell’Universo “Stellantis”, l’industria automobilistica italiana alla stregua di un sito di pseudoassemblaggio (nel senso che ci si appone poco più del marchio sul cofano) di prodotti realizzati dove tutto costa meno (e dove, industrialmente parlando, non si fa differenza fra una lattina di fagioli e una collana di smeraldi).

Non possiamo che, mestamente concludere che, ad esempio, l’esempio degli operai dell’Alfa Romeo che sfidavano la morte sotto le bombe della seconda guerra mondiale pur di non fermare le catene di produzione, sia il sogno svanito di un Paese in irrefrenabile declino già da qualche decennio.

E va accettato, almeno fino a quando non invertiremo quella tendenza che ci appaia ad una Civiltà in dissolvimento.

Un po’ più amaro lo scoprire,  che “la Banca con la quale parlare” la società elettrica in grado di illuminare le speranze di un Paese che cercava il riscatto, il gestore telefonico che ci promise di “darci ascolto in un mondo più libero”, quegli amministratori della cosa pubblica che giurano fedeltà alla Costituzione, i rappresentati di quella Legge per cui tutti dovremmo avere gli stessi diritti e doveri ma, soprattutto, pari dignità (e l’elenco sarebbe ancora lungo), ci hanno tradito molto peggio di quella mamma che, seguendo il principio spiegato da Donald Winnicot, deve permettere (inizialmente) l’illusione di un ambiente quasi perfetto per, poi, disilludere il bambino esponendolo gradualmente alle frustrazioni e alle difficoltà esterne, senza difenderlo da ciò che è in grado di affrontare da solo.

E si, perché, ci siamo tristemente resi conto del fatto che il loro “modus pensandi” (“pensiero”, che dolce eufemismo….) è stato e continua ad essere quello di spremere il più possibile coloro (cioè, noi cittadini e clienti) che, verso la loro immagine, avevano investito (con un meccanismo di identificazione proiettiva) un mondo di sentimenti.

Cari Lettori, un poco più che ventenne (cosiddetto Millennials) trova normale il concetto consumistico che non prevede un previdente accantonamento di risorse. E questo perché il (relativamente) nuovo modello socioeconomico si basa sull’utilizzo senza possesso: una sorta di “fitto” (noleggio a medio – lungo termine, leasing, sharing, etc..) che, però, a chi (oggi) ha più di cinquant’anni, ricorda le preoccupazioni (trasmesse dai propri genitori) tipiche di chi, non possedendo nulla, temeva di finire come un “senza fissa dimora”.

Potremmo continuare parlando dell’eldorado del posto in Banca che, da tanti anni, è diventato un incubo; delle “sane” lotte di classe, preludio di una sorta di riconoscimento e contestualizzazione (nel tempo e nello spazio); dei magnifici versi di “notti a San Siro” di Roberto Vecchioni; dell’attaccamento ai colori sociali di una compagine sportiva che “ti” rappresentava veramente; dei prodotti acquistati (magari a cambiali) che non soffrivano di obsolescenza programmata; della possibilità di godere di un sistema sanitario in grado di inorgoglire chi indossava il camice bianco e di rassicurare il malato…

La Società liquida…

Con la graduale crisi di valori del passato, non ancora sostituiti, da validi riferimenti su cui poggiare per “spiccare” il volo, emerge sempre più un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questa sorta di “soggettivismo” che riporta ad una specie di ripiegamento narcisistico e immaturo, ha minato le basi della speranza nella modernità, perché è come se tutto si dissolvesse in una sorta di “liquidità” mentale e sociale in cui, come spiegavano Zygmunt Bauman e Umberto Eco, gli unici riferimenti sono l’apparire a tutti costi e il consumismo. Obiettivi però, che non mirano al possesso di oggetti con cui appagarsi, e si corre da un consumo all’altro, in una sorta di bulimia senza scopo maturativo.

La modernità liquida, è la convinzione che il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza (Zygmunt Bauman)

Questo, ci fa venire in mente una storia ascoltata un po’ di tempo fa. Un anziano signore, ospite di una RSA, considerava la struttura sanitaria che lo ospitava, una specie di seconda famiglia. Una giorno, a pranzo, nota che, nel suo piatto, al posto delle due solite fette di carne, ce n’è una soltanto. Si rivolge, quindi, all’operatore della ristorazione: “Gentile infermiere, sono ormai con voi da tanto tempo e ho apprezzato la cura nei miei confronti che avete avuto finora. Ho, per caso, fatto qualcosa di sbagliato, per non aver più diritto a due fette di carne?” L’infermiere, senza alcun trasporto empatico e con un leggero fastidio, taglia in due la fetta di carne: “Ora va bene?”

Quanto pesa una lacrima? Dipende. Quella di un bambino capriccioso, meno del vento; quella di un bambino a cui hai tolto un sogno… quanto tutta la Terra!” (Gianni Rodari)

Eppure, riprendendo il pensiero di Erich Fromm, quello che a me interessa è il senso dell’identità (pur nell’ottica di una crescita condivisa) e, soprattutto, il senso di essere sinceri con se stessi.  

Ricordiamo ancora, con nitida tenerezza, i professori dei nostri anni liceali spiegarci che sia Alessandro Manzoni che Giovanni Boccaccio, avevano descritto il fenomeno dell’epidemia di Peste rispettivamente, a Milano, nel 1630 e a Firenze nel 1348, che causò uno sterminato numero di decessi.

Quello che, entrambi, descrivono bene, è il momento di prova, di discrimine, tra umanità e inumanità: perché il vicino iniziava a odiare il vicino, il fratello iniziava a odiare il fratello, e persino i figli abbandonavano i genitori.  Boccaccio, col suo Decameron, il più grande inno alla vita e alla buona civiltà; Manzoni, con i buoni sentimenti de “i Promessi sposi”.

Entrambi, comunque, “invitando a essere uomini, a restare umani, quando il mondo impazzisce.”

Spesso ci domandiamo, in questo buio periodo del Coronavirus SARS COV 2 (che, sembra, non voglia più andar via), se le forti contrapposizioni (fra coloro che ritengono plausibile un complotto per eliminare l’Umanità e quelli che considerano tale posizione frutto di menti instabili) create da una marea di errori di comunicazione, anche istituzionale, non abbiano come obiettivo (più o meno consapevole) quello di un mostruoso incremento della psicosi e delle paranoie da assenza di qualsiasi certezza.

Se così fosse, vorremmo poter dire ai Padroni del vapore spinti dall’obiettivo “ordo ab caos”: “Voi che manovrate le nostre emozioni, che promettete attenzioni, interesse, cura, passione e quanto di più nobile possa incontrarsi sotto questa volta celeste… provate ad immaginare come si sentirebbe un ragazzo degli anni ’50 o ’60, se scoprisse che Tex Willer è diventato un rapinatore di viandanti, Paolino Paperino un nipote degenere e Topolino un venduto, in combutta con la Banda Bassotti. Forse riderete, di fronte ad una simile eventualità. I più sensibili fra voi, probabilmente, no”. 

Cari signori che ritenete di poterci far credere tutto quello che volete, sarebbe opportuno che rifletteste sui versi di una certa Wendy Cope, raffinata poetessa inglese.

“Ci sono uomini che non ci pensano mai. Ma tu sì. Tu arrivavi e mi dicevi che avresti voluto comprarmi dei fiori. Ma poi qualcosa era andato storto. Il negozio era chiuso. O avevi dei dubbi. Quel genere di dubbi che menti come le nostre sembrano sempre avere. O avevi pensato che io non volessi i tuoi fiori. Io a quel punto sorridevo. E ti abbracciavo. Sorrido ancora adesso. Perché, vedi, quei fiori che non mi hai mai portato Durano ancora”.

Schiaccianoci e il re dei topi  è un racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, pubblicato nel 1816. Alexandre Dumas padre realizzò una sua versione del racconto (Histoire d’un casse-noisette) e, da questa, il coreografo Marius Petipa trasse ispirazione per il balletto “lo schiaccianoci”, musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij

Questo incantevole balletto racconta la storia di una giovane, Marie, e il suo sogno di un mondo magico, dove i giocattoli prendono vita, e il suo Schiaccianoci diventa un Principe per combattere il Re Topo e salvarle la vita.

Il Valzer dei fiori è uno dei momenti più emozionanti di questa bellissima opera musicale, in cui, ciascuno, rapito dal “rotolare” delle armonie, può identificarsi con il soldatino che difende ”Marie” o con la bimba trepidante, in attesa del suo principe.

Non c’è spazio, nemmeno nelle menti più controverse, per l’identificazione nel re dei topi. La magia di questa musica rende veri i sogni e le illusioni.

IL VALZER DEI FIORI

Cari Lettori, abbiamo appena lasciato alle spalle il giorno dell’Epifania e non tutti hanno visto realizzare il proprio desiderio.

Potremmo, come “avvolti” da una immensa catena d’unione,   chiedere in dono la possibilità (almeno per una volta) di riassaporare un po’ dei sogni coi quali siamo cresciuti: la divisione (non schizoparanoide, ovviamente) dei buoni e dei cattivi (al netto degli imbrogli di chi ha manipolato i libri di Storia); l’ingenua spontaneità di Paolino Paperino;  il “deus ex machina” del Sig. Bonaventura e l’autorevolezza di Fra’ Cristoforo; l’idea che le Banche servano a custodire il nostro denaro e le Poste “spediscano emozioni”; la possibilità (che ci hanno inculcato a scuola) che esista qualcuno che lavori per il piacere di essere e sentirsi utile; la speranza che un Amore duri per sempre e che l’equità sociale possa essere un’aspirazione lecita e raggiungibile; l’dea che la fiducia di un futuro migliore, non svanisca mai dagli occhi dei bambini, così da mantenere il sorriso di Marie e del suo Schiaccianoci, della suggestiva immagine di copertina…

Insomma, cara Befana , rivorremmo indietro i nostri sogni.

Magari da custodire in bacheca e ammirarli, la sera, per addormentarci con la certezza   di poterci “riprovare”, ancora, Domani.

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la collaborazione offerta

2 Replies to “Disillusioni.”

  1. Grazie per i suoi articoli interessanti ed istruttivi e quelli dei suoi collaboratori.Li aspetto con interesse perchè mi nutrono l’anima e spesso mi riportano al tempo in cui frequentavo il liceo classico B. Telesio (anni 60_65) ed abitavo alla piazzetta delle uova(piazza S.Giovanni). Medico contadino laureato a Pisa nel ’72,Plurispecialista e medico ospedaliero, come ultima attività ho diretto il centro di dialisi di Montalto per 10 anni.

    1. Grazie dottor Raimondi, siamo felici di quello che scrive. Ci stimola a continuare con sempre maggiore e migliore impegno. Un cordiale saluto

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