Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Con il termine “parafonìa” – (se ci ripetiamo chiediamo scusa “preventivamente”) preso in prestito dal linguaggio musicale (nel gergo musicale dei tardi teorici greci e poi di quelli del tardo Medioevo erano denominati “parafonici” gli intervalli di quarta e di quinta) – ci piace chiamare alcune parole… “parafoniche” che, come dice la stessa… parola di derivazione greca, servono a indicare vicinanza spaziale, somiglianza, affinità, ma anche alterazione o contrapposizione. Sono termini parafonici, per esempio, “parastatale” e “paramilitare” in quanto indicano un concetto di “affinità”, “somiglianza”, “attinenza”. Gli impiegati parastatali – per cercare di spiegare meglio il concetto di “parafonìa” – hanno gli stessi doveri e diritti degli impiegati statali; lo stesso per quanto attiene ai paramilitari. Tra i termini parafonici che adoperiamo più frequentemente e “inconsapevolmente” ricordiamo le interiezioni primarie, esse sono per lo più imprecazioni e nascondono all’interno, spesso, un significato volgare e a volte anche blasfemo come, per esempio “porca pupazza”. “porca miseria”, “porca troia”, “madosca”, “perdinci” e, ancora, “cacchio” e “cavolo”.
Accanto alle interiezioni primarie abbiamo quelle secondarie che sono di più facile comprensione perché evidenziano e palesano un messaggio: “basta!”, “forza!”, “vergogna!”, “coraggio!”, “maledizione!”. A questo punto è necessario, forse, ricordare cosa è un’interiezione. Lo facciamo subito. Cominciamo con il dire che è un termine di derivazione latina (come buona parte dei vocaboli italiani) e che propriamente significa “intersezione” essendo composto di “inter” (tra) e “iacere” (gettare): “che si pone (getta) in mezzo”. È, quindi, una parola che si “pone” tra altre parole per esprimere da sola un improvviso e vivace sentimento dell’animo (paura, meraviglia, repulsione, angoscia, ansia, dolore, gioia, ecc.). Secondo la forma le esclamazioni o le interiezioni si possono distinguere in proprie e in improprie. Le prime sono chiamate, appunto, proprie perché hanno solo la funzione di esclamazione: oh!, urrà, ahimè, ah, ecc. Le seconde, invece, sono altre parti del discorso – verbi, aggettivi, avverbi, sostantivi – adoperate in funzione di interiezione: bravo!, coraggio!, giusto!, zitto!, presto!, viva! fuori!, ecc.
Per concludere queste modeste noterelle potremmo definire “interiezioni parafoniche” le voci onomatopeiche, vale a dire le espressioni in grado di riprodurre o imitare con il gioco delle loro consonanti e vocali particolari suoni o rumori. Il “tic-tac”, per esempio, riproduce il ritmo dell’orologio; il “patatrac” indica il rumore di qualcosa che cade e si rompe; il “din-don” il suono della campana; il “bau-bau” l’abbaiare del cane; il “miao” il miagolio del gatto e così via.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.