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Situato su qualche lontana nebulosa faccio ciò che faccio, affinché l’universale equilibrio di cui sono parte, non perda l’equilibrio (A. Porchia).

Cari Lettori, sono giorni, questi, un tempo dedicati a riflettere sulla precarietà della vita e a ricordare, con particolare intensità, le persone care che avevano concluso la loro esperienza terrena.

Quasi a  dare un valore ancor più profondo alla veridicità dell’affermazione: “Non si muove foglia che Dio non voglia”. 

In pratica, una (apparente) dichiarazione di Egoismo allo stadio più puro.

E, in effetti, se ci facciamo guidare da ciò che ci spiega la Scienza, non esiste azione, al Mondo, che non sia determinata dalla necessità di riportare in equilibrio il “sistema”; che sia una galassia o un essere umano, poco importa dal momento che, in fondo, tutto comincia dal dialogo di poche, importanti, particelle elementari (quark, elettroni, neutrini, etc.). 

Senza quella sciocca vanità che è il mostrarci e che è di tutti e di tutto, non vedremmo nulla e non esisterebbe nulla (A. Porchia).

Questo, ovviamente, non significa che, prima di agire, chiedere o proporci, attuiamo biechi calcoli opportunistici ma, semmai, che, chi ha determinato il Sistema, non ha ipotizzato azioni o pensieri “insensati”, o “immotivati”.

Semmai, a volte, incomprensibili per carenza di capacità introspettive.

All’ombra delle varie manifestazioni della cattiveria umana, il simbolico “due novembre” viene vissuto in varie declinazioni.

Alcuni, specie se toccati da perdite recenti, vivono la ricorrenza con comprensibile tristezza, altri dicono che non ha senso ricordare un solo giorno all’anno (e per giunta obbligato) chi non è più tra noi e offrono riflessioni varie e differenziate.

La maggior parte delle persone rimuove il problema e appena inizia il nuovo anno va a controllare il calendario per vedere se l’inizio di novembre consentirà di organizzare un ponte più o meno lungo.

Questa categoria è figlia dell’edonismo dei nostri anni, esibito con superficiale sicurezza.

Siamo davanti a esseri che, chiusi nel lago di indifferenza (retaggio di un autistico narcisismo intrauterino mai risolto del tutto) del proprio cuore, non sono mai soddisfatti di nulla.

Anche quando realizzano i ponti del fine settimana li troviamo al rientro più fastidiati di prima.

Si lamentano del lavoro, del tempo, di tutto.

Vite sprecate senza dare un minimo spazio all’autenticità.

Giorni di raccoglimento, come quelli cui stiamo andando incontro, andrebbero a nostro avviso essere vissuti in due momenti “mescolati” tra loro: la tristezza e la malinconia dovrebbero sollecitare una riflessione per individuare che cosa fare sulla terra.

Il dolore, col tempo, non deve essere paralizzante ma quasi un “pass” per individuare un senso da dare alle nostre giornate.

Questo sarebbe opportuno che valesse per tutti.

Il desiderio di ognuno é quello di essere, dopo che non c’è più, ricordato da coloro che restano.

In questa sede a noi non interessano i grandi uomini che tramite l’arte, la scienza e altre attività creative sono stati in grado di lasciare fama e imperituro ricordo.

A noi piace, invece, parlare di quelle moltitudini che passano sulla terra in modo “anonimo”: vivono, lavorano e alla fine si allontanano lasciando buon ricordo solo tra parenti e amici.

Interessarsi a chi conduce una vita “normale” è anche un modo per avere cura di ogni persona che, proprio in quanto persona, merita stima e attenzione.

Dobbiamo, per questo, onorare il nostro “involontario” viaggio sulla Terra cercando di dare un senso all’esistenza.

Cari Lettori, partendo da questo assunto, troviamo difficile dare una giusta collocazione alle affermazioni di chi sostiene, sic et simpliciter, di posizionarsi dalla parte dei più deboli, di coloro che sono “senza diritto di parola”, dei tanti “signor Rossi” di una Società che gioca al paradosso, inducendo a sentirsi esemplari unici attraverso la via dell’omologazione e dell’identificazione.

E allora, ad una veloce analisi delle cose, così come i filosofi ritengono che c’è sempre un Est ad Oriente dell’Est e Luciano de Crescenzo (in “così parlò Bellavista”) affermava che siamo sempre Meridionali di qualcuno (e, quindi, nessuno, può ritenersi libero da chi ha potere di condizionarlo), è altrettanto vero che, come sosteneva Marco Pannella, “il crimine più grande è quello di stare con le mani in mano”.

Per provare a venir fuori da questa sorta di ginepraio, mi sono domandato chi sia, in realtà, il prototipo del signor “Rossi” e quale sia il motivo che lo trattenga in questa anonima posizione di sperequazione, di fronte a chi è più attrezzato per condurre le “regole del gioco”. Tutto ciò per capire, anche, l’eventuale ruolo dei “Paladini” di cui sopra.

Il signor Rossi è un personaggio immaginario, creato dall’animatore e fumettista Bruno Bozzetto che, nel 1960, frustrato e scontento (perché la giuria del “Gran Premio Bergamo Internazionale del Film d’Arte e sull’Arte” aveva rifiutato una delle sue produzioni), decide di mettere in scena un cortometraggio (da cui nasce un’intera serie trasferita al grande e al piccolo schermo) dal titolo “Un Oscar per il signor Rossi”.

Nelle intenzioni del creatore, questo personaggio rappresenta la personificazione dell’italiano medio dell’epoca, in un paese che viveva un boom economico senza precedenti ma dove, allo stesso tempo, iniziavano i primi inconvenienti del “progresso”: solitudine, mancanza di comunicazione, lavoro eccessivo, inquinamento, alienazione, nevrosi (Fonte Wikipedia).

Sul finire degli anni sessanta, Paolo Villaggio riprende (in maniera più grottesca) la saga dell’uomo qualunque (Il rag. Ugo Fantozzi e il geom. Giandomenico Fracchia) traendo ispirazione dallo scrittore russo Nikolaj Vasil’evič Gogol’ e dopo l’esperienza del sadico Professor Kranz (nel programma “Quelli della Domenica”).

Tutto è come i fiumi, opera dei declivi. (A. Porchia)

Se è vero che, fin dall’antichità (come ipotizzato da parte di individui a cui, evidentemente, conviene pensarla così) l’Umanità si è vista divisa (per una sorta di posizione di partenza non ben specificata sul piano scientifico) in chi comanda e chi subisce, è vero, altresì che, in base a precise Leggi di Natura, ciascuno di noi è, contemporaneamente:

  • uguale agli altri (perchè composto della stessa energia di base, sotto forma di particelle elementari);
  • simile agli altri (perchè sottoposto alla necessità di appagare i medesimi bisogni reali, anche se in funzione di ciò che può e sa);
  • diverso dagli altri (sul piano della “capacità sviluppata” di produrre idee, emozioni, sensazioni e strategie operative).

A chi trova se stesso nel proprio coraggio…A chi nasce ogni giorno e comincia il suo viaggio… A chi lotta da sempre e sopporta il dolore: Qui nessuno è diverso perché nessuno è migliore. (Fiorella Mannoia)

Chi ha una visione religiosa è più agevolato perché gli basta di vivere, in modo più o meno intenso, la propria fede.

Chi religioso non è, deve amare la vita per il suo essere vita:si trova a dover fare un viaggio breve e precario. Ma guai a voler fare il viaggio da solo!

Bisogna prendere consapevolezza che ognuno di noi non può vivere da solo e la fatica della vita si sopporta meglio stando coi propri simili in “social catena”.

L’amata compagnia è il paracadute che consente di attutire le cadute più dure e i momenti più drammatici dell’esistenza.

In tale visione, ognuno prende atto che è apprezzato dai suoi simili se conduce la sua vita con decoro e onore.

Una esistenza, qualunque sia la tipologia di lavoro, deve avere sempre un iter virtuoso, all’insegna di comportarsi col prossimo nello stesso modo col quale si vuole essere trattati dagli altri.

Amando il prossimo si riuscirà ad amare in modo completo e non egoistico se stessi.

L’amore e la compassione devono accompagnarci in ogni fase della vita, all’insegna della solidarietà.

Allora, sentirci “superiori” o “inferiori”, dipende da quello che ci fanno credere, fin da quando “misuriamo” l’ambiente per poterci contestualizzare ed identificare con gli elementi più rappresentativi.

Come scritto altre volte ( ma è importante ricordarlo con forza e intensità), l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1946, ha chiarito che “la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non, semplicemente, l’assenza di malattia e di infermità”; ma è con la Carta di OTTAWA del 1984 (al termine della prima Conferenza  internazionale sulla promozione della salute), che si è capito cosa farne, del benessere fisico e mentale: “Grazie ad un buon livello di salute, l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e adattarvisi”

Se io fossi come una roccia e non come una nube, il mio pensare, che è come il vento, mi abbandonerebbe (A. Porchia).

Ecco, cari Lettori, partendo da questa riflessione, non possiamo non arrivare a scoprire che, la nostra essenza, se non viene rispettata nella sua interezza (l’energia nasce per essere utilizzata…), produce attriti interiori che, per non debordare in psicosomatosi o disturbi vari della personalità, determina, inevitabilmente e inequivocabilmente, una ribellione che riporterà in equilibrio il sistema mentale e metabolico.

Qualcuno sostiene che esistono “caduti” che non si alzano per non tornare a cadere e, infatti, Giovanni Verga ne “I Malavoglia” descriveva un tipo di umanità che, di fronte a ciò che ritenevano essere un destino ineluttabile, preferivano abbassarsi per essere travolti, dalle onde delle difficoltà, il più velocemente possibile.

Però, se osserviamo ciò che ci racconta il passato (da cui, in un modo o nell’altro, tutti traiamo ispirazione), condizioni apparentemente sperequative vengono riportate anche nella Bibbia (nel primo libro di Samuele) a proposito della battaglia del gigante Golia contro il piccolo Davide che, come sappiamo fu vinta dal coraggio di quest’ultimo…

Chiunque abbia mosso a favore dei (cosiddetti) più deboli ha, innanzitutto, elevato se stesso a dimostrazione del fatto che, chiunque, alle giuste condizioni, può far valere il diritto al rispetto dei diritti. 

E questa (buona) azione risponde al principio dell’induzione ad agire e “crescere” e coagula energie che, con la stessa forza di un fiume che scende impetuoso verso il mare, non può non determinare effetti che sovvertono (ingiustizie) e riequilibrano posizioni.

In fondo, si vive con la speranza di arrivare ad essere un ricordo. (A. Porchia)

Lo stesso Gogol nel celeberrimo “Cappotto”tratta la vicenda umana di un funzionario preso in giro dai colleghi ed escluso da una vita sociale, riesce a comprare un cappotto che lo proietta, magicamente, all’attenzione dei suoi colleghi. Derubato di questo prezioso indumento, finirà, dopo aver inutilmente cercato giustizia, col morire di freddo. La narrazione ha, però, un finale inaspettato dal momento che, il fantasma del funzionario, imperverserà per la città, derubando i signori dei propri cappotti: la rabbia dello spirito si placherà solo quando questo riuscirà a vendicarsi di un presuntuoso “colletto bianco dei piani alti”, che gli aveva negato giustizia per il cappotto perduto.

E, Paolo Villaggio, conclude il suo “Fantozzi contro tutti” con la celebre dichiarazione: “Ridete! Ridete pure! Ma ride ben, chi ride ultimo! Dite quel che volete ma io sono un uomo proprio riuscito!”

Personalmente, ritengo che, aiutare chi soffre, nobiliti oltre ogni limite. Resta da vedere, però, verso chi indirizzare le proprie energie.

E il “perché”, oltre che il “come”.

Con le organizzazioni No Profit che rappresento siamo andati “controvento”, a favore (ad esempio) dei senza tetto e dei ROM ma non abbiamo mai abbracciato le loro pulci e la loro miseria…

Semmai, la loro voglia di uscirne!

E, continuamente, siamo attratti da chi soffre di quei dolori che hanno perduto la memoria e non ricordano perchè sono dolori, da chi è rimasto “solo” in senso “assoluto”, o da chi sa di avere ancora pochi granelli di sabbia nelle propria clessidra del Tempo.

Ecco, anche in questo caso, non beviamo le loro lacrime ma, semmai, insieme, le usiamo per irrigare speranze affinchè diventino certezze e dignità di Futuro.

Fosse anche per un solo istante.

In conclusione, in ognuno di noi alberga, potenzialmente, il signor Rossi. L’importante è capire che il dolore sta in alto e non in basso, mentre molti credono che, il “peggio”, stia in basso. E tutti vogliono salire. Per, poi, scoprire che il marcio viene da dove si trovano coloro che dissipano e bestemmiano, abiurando quelle Leggi che, pure, ha creato chi non fa muovere foglia a meno che, Lui, non voglia.

Quando ognuno avrà imparato a guardare a casa sua (nel suo animo, nel suo cuore), il suo disordine, la sua incoerenza, le sue abitudini, le sue fatiche, i suoi ritardi, la sua maleducazione, la sua pigrizia, i suoi limiti, i suoi sbagli, il suo orgoglio, la sua ostinatezza… non gli avanzerà di giudicare alcuno, né di credersi superiore,né di ritenersi migliore di altri. Semplicemente,  non gli resterà altro tempo se non quello per correggersi e proporsi di essere, oggi, migliore di ieri. (Linda Valentinis)

In tal modo si potrà vivere con tranquillo coraggio e fare le cose con la speranza che possano essere di aiuto anche a coloro che verranno.

Per questo il poeta Hikmet scrive :pianterai da vecchio un albero perché servirà ai tuoi nipoti. In tal modo non temerai la morte vicina in quanto dimostrerai di aver capito il gioco. Conta la staffetta delle generazioni, nel cui ambito il singolo è necessario ma non totalizzante. Deve fare la sua parte finché non sarà sostituito da chi verrà.

Ognuno dovrà sempre ricordare il consuntivo dell’esistenza fatto da Paolo di Tarso nella lettera a Timoteo: “Il mio sangue sta per essere versato in libagione. É ora il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la corsa. Ho conservato la fede”.

Cari Lettori, nel tempo ci siamo resi conto del fatto che le catene che più ci imprigionano sono quelle che abbiamo rotto ma dalle quali non ci siamo mai, completamente, liberati e, quindi, ho capito di essere arrivato a un passo da tutto. Ed è per questo che (prendendo spunto dalla evocativa immagine di copertina), probabilmente, lì rimango, lontano da tutto, di un passo. Pronto a capire, cos’altro mi regala, quello che resta del giorno.

Come ogni settimana, amiamo terminare la nostra opera proponendo un tema musicale che accompagni la eventuale rilettura o che consenta di perdersi nei propri pensieri, semplicemente socchiudendo gli occhi e “perdendosi” nei ricordi più “veri”. Vi proponiamo, riprendendo la suggestiva immagine di copertina, che immortala il nostro essere “Pellegrini della Vita”, il bellissimo tema di Mosè (copertina sonora dell’omonima opera cinematografica).

Sei un fantoccio. Ma nelle mani dell’infinito che, forse, sono le tue mani. (A. Porchia)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per gli aforismi proposti

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