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La prima stesura di questo articolo risale al 12 settembre 2006. data la particolare importanza dell’argomento (l’oppressione dei ricordi dolorosi) è sembrato opportuno riproporlo, con il bellissimo musicale di Stefania Labate affinché, guardando (un giorno) le barche al mare, riusciremo a “sopravvivere”, nonostante malinconia e nostalgia…

BUONA LETTURA

Quando guardi il mare, pensa un po’ anche a me, all’acqua chiara che ho nel cuore, al sorriso e alle parole ed a quello che davvero vuoi… (Carmelo e Stefania Labate)

 

È un sabato sera di fine estate. Il cielo è stellato. Da un paio di settimane cerco di buttare giù un articolo tecnico sulle fondamenta strutturali della memoria e su come poter diluire i ricordi che stanno alla base dei sentimenti angoscianti. Quelli che si formano dopo le brutte esperienze e ne rievocano gli stati d’animo, alla stregua dell’urlo di Medusa (personaggio della mitologia greca) che rievocava agli umani la paura del domani, insita nell’inconscio collettivo.

I miei pensieri, però, faticano a sintonizzarsi sulla frequenza che, di solito, accompagna quella creatività che mi consente di comporre melodie, “tirate” fuori dalla tastiera del notebook, con la stessa procedura inconsapevole del musicista che inventa una sinfonia pigiando i tasti di un pianoforte.

 Perché?

Non sono pigro. Tutt’altro. Non ho paura del fallimento “deterministico” collegato all’insoddisfazione di quanto si è stati in grado di produrre. Al massimo mi infastidisco nel “durante”. Alla fine, però, qualcosa di buono viene fuori. È stato sempre così.

Non sempre…

Anni bui, fatti di vuoto “arido” e bagnato da lacrime, quelle che non sgorgano ma ingorgano le idee al punto da confonderti e impedirti di reagire stringendo forte i denti per non sentire il dolore. Ognuno di noi, incomprensibilmente (solo fino a quando non si trovano i codici giusti), vive intensamente e, a volte, a canone inverso, situazioni che, di per sé, non dovrebbero costituire problemi concreti sul piano oggettivo.

Questo è il problema.

Un lungo arco temporale in quei “favolosi” anni ottanta, anni di grazia e alleanza, di edonismo reaganiano, di ricchezza comprata a rate, di compagnie con cui tirare tardi la sera… fino al mattino, mi ha visto affrontare il mare delle mie cose da fare “spanciando”, nonostante i molti tentativi di far planare la barca per correre, così come si dovrebbe quando si è poco più che adolescenti, con un diploma alle spalle e un percorso accademico potenzialmente in grado di riempire le tante custodie vuote che si accompagnano alla mancanza di esperienza.

Di solito, è così.

Non per me. Città sbagliata, facoltà di ripiego. Solitudine, tanta. Frustrazioni, di più. Motivazioni assenti come la bonaccia che affloscia le vele paralizzando la navigazione.

Conseguenza: rincorsa agli esami soprattutto nei periodi estivi quando, per tentare di espiare ciò che ritenevo essere una svogliata applicazione allo studio, mi consacravo al mito di Vittorio Alfieri: “Volli, sempre volli; fortissimamente volli!”

Controvoglia, però.

Tante estati da solo, di fronte ad una montagna di libri minacciosa, in una situazione paradossale: la voglia di evadere e i sensi colpa, conditi da una (non tanta) velata convinzione di essere, in fondo, un incapace.

Il Peggio?

A fine Agosto. In tasca, i tanti scarsi risultati applicativi. Negli occhi, l’angoscia di dover tornare lontano, come un emigrante, a pagare lo scotto di quel trend incoerente. Nel cuore, la rabbia per aver gettato alle ortiche un pezzo della mia vita: frammenti andati, senza ritorno.

Pericoloso “non senso”.

Questo frame chiamato estate 2006, mi proietta sul visore della mia immaginazione uno stato di insofferenza. È come se non fossi soddisfatto della gestione personale. In fondo, poco più di dieci giorni di libertà relativa da quegli arresti domiciliari che è diventata la mia vita lavorativa.

D’altronde, come spiego ai miei analizzati afflitti dal mio stesso iperstress, questo fa parte di quell’onerosissimo modo di condurre la propria esistenza in leasing, per raggiungere l’agognato posto al sole e decidere, solo allora, se rilanciare o godersi il tutto, a dimensione più umana.

L’unica scelta consentita, nel frattempo (e solo per i più maturi), è quella che porta a valutare il rapporto costo – beneficio. Sono convinto che gli obiettivi vadano programmati e conseguiti, purché ne valga la pena. Questo mi ha portato, ormai da molto tempo, a impegnarmi oltremodo cercando di ottenere risposte ai miei tanti perché.

La base del divertimento, tutto sommato.

Peccato che tutto passi per delle forche caudine: impegno (e consumo) di vita a fronte di risultati apprezzabili. Però stavolta il piano operativo è di quelli “ad alzo zero”. Sette giorni lavorativi su sette, per un tempo indefinito.

 “Questo è il prezzo che paghi, per la vita che hai scelto.” (Al Pacino – Il Padrino Parte terza).

A volte non si sceglie, si prende quello che si trova o che gli altri hanno lasciato.

Ogni passo in più, segna un tassello nella nostra memoria storica o “dichiarativa”, quella in cui si delineano i fondamenti essenziali che stanno alla base del carattere di ciascuno. È chiaro che il richiamo di stati d’animo non ancora digeriti, ha interferito finora con quanto mi ero ripromesso di trattare: i cattivi ricordi.

Finora.

L’occasione, questa sera, è ghiotta. Veramente. Una bella terrazza sul mare calmo, col porto a fare da sfondo. Un peschereccio solca placido lo specchio d’acqua prospiciente l’angolo al buio della mia visuale: quello in cui fantasia e immaginazione si fondono per coniare il termine libertà.

A bordo, un carico di speranze e aspettative, una partita a scacchi col Dio Nettuno. Dal mio computer, melodie di composte dai fratelli Carmelo e Stefania….

Quando guardi il mare…

Autobiografico. Una sorta di testamento propositivo in cui poter rivedere chi si vuol bene. Magari se stessi, magari proprio stasera, riflessi in quello specchio di mare su cui, una luna piena a tre quarti, traccia una linea bianca. Sembra non curvare mai, nemmeno all’orizzonte.

Mi osserva, adagiata su un cuscino di nuvole. Mi invita, con un sorriso, a chiudere gli occhi e riprendere un dialogo interrotto da tempo. Effettivamente mi sono un po’ inaridito in un freddo materialismo, tipico di chi guarda troppo avanti senza voltarsi mai.

Sarà per questo che non sopporto le retromarce… nemmeno con l’auto.

Quando guardi il mare, ripensa a noi. Alle mani nelle mani, ai tuoi occhi nei miei occhi, ed a quello che hai saputo dirmi, senza le parole… (Carmelo e Stefania Labate)

 Ho letto da qualche parte che il ricordo è un’ombra che non si può vendere, anche nel caso in cui qualcuno volesse comprarla. Ricordo: sostantivo maschile che indica il richiamo dalla memoria di eventi, cose o persone, direttamente dal sottoscala del passato. Memoria: Sostantivo femminile che connota una funzione specifica del rapporto fra mente e cervello, in grado di accumulare informazioni

“Da questa parte con virtù discende che toglie altrui memoria del peccato; da l’altra d’ogne bel fatto la rende” (Dante Alighieri – La Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXVIII).

Nel Paradiso Terrestre dantesco, scorrono due fiumi: il Lete (le cui acque cancellano la memoria del male commesso) e l’Eunoe (che riporta il ricordo del bene compiuto). Come in una sorta di battesimo purificatore, Dante, prima di salire in Paradiso, accompagnato dalla sua guida Matelda (forse Santa Matilde o Matilde di Canossa), dovrà ovviamente sgombrare la sua mente dal ricordo dei peccati commessi, immergendosi nel fiume Lete, prima di salire in Paradiso.

Io, forse, non sceglierei questa scorciatoia.

Sono abituato a lottare sul serio, fin da quando, ancora ragazzo, incrociavo i guantoni da pugile, contro atleti molto più scaltri.

Di solito, non chiedo sconti: pagare o rinunciare.

Bisogna, comunque, trovare una soluzione: non si può restare a lungo vittima dei propri fantasmi. La scienza che si occupa di riabilitare psicologicamente individui vittime di gravi traumi, ha ottenuto considerevoli accelerazioni (e fondi da investire per la ricerca), all’indomani degli attentati alle Twin Towers (New York, 2001) e dell’escalation di attentati terroristici che ne è conseguita, al punto da tracciare protocolli terapeutici sempre più definiti, che prevedono training psicologici specifici e farmaci mirati, con l’obiettivo di alleviare sempre più efficacemente i disturbi post traumatici da stress (PSTD): ansia acuta, angoscia, depressione, psicosomatosi, etc.

Certe volte basta un attimo per scordare una vita; altre volte non basta una vita per scordare un attimo” (Jim Morrison).

È capitato ad ognuno di noi di essere bambini.

Con la stessa certezza, si può affermare che tutti, più o meno, abbiamo faticato non poco, a scuola, per imparare che sei per sette fa quarantadue. Eppure, spesso, basta un’unica brutta esperienza, per imprimere il ricordo in maniera talmente vivida che, al ripresentarsi di una circostanza similare (anche se solo in apparenza), si producano stati di ansia difficilmente gestibili.

Perché?

Da una prospettiva psicobiologica ed evoluzionistica la memoria, in quanto tale, è una capacità mentale indispensabile per il presente e, soprattutto, per tutto ciò che costituisce quell’incognita chiamata futuro. L’evoluzione di ogni specie e lo sviluppo delle capacità di ogni singolo essere vivente, infatti, si basa sulla capacità di produrre idee e concetti in grado di consentire l’elaborazione di strategie comportamentali efficaci per l’appagamento dei bisogni fondamentali e, parimenti, riuscire ad ottenere risposte circa il senso della propria vita.

…e quando non ci sarò, cercami in quello che ho fatto e quello che farai. E quando non mi vedrai, pensami in ciò che sono e in quello che sarai. Perché il mio amore ha gli occhi grandi e dentro gli occhi ha solo te…”

Il “segreto” del cervello consiste nel valutare le nostre esperienze mentre si verificano e selezionare istantaneamente quali memorizzare (per servirci da riferimento in seguito) e quali, invece, devono essere “scartate”.

Si ritiene che i ricordi che costituiscono, in fondo, la storia della nostra vita, non siano custoditi nei singoli neuroni ma, piuttosto, in quelle nelle autostrade di informazioni chiamate “reti neurali” e nei nodi di interscambio definiti “Sinapsi”.

Ogni flusso esperienziale ripetitivo, genera una sorta di rafforzamento sinaptico (dialogo biochimico fra un neurone e l’altro) in grado di riprodurre il ricordo in questione. È chiaro che tutte le informazioni, viaggiando a bordo di particelle elementari (elettroni, etc.) veicolate dal loro stesso movimento (fondamentalmente, frequenza e lunghezza d’onda) modificano, di fatto, la struttura atomica del Dna delle cellule coinvolte, inducendo delle accelerazioni sui parametri di base: l’epigenetica dell’apprendimento.

“Chiaro di luna, scendi in fondo al mare e trova le parole per calmare quest’acqua che si mescola col sale, quest’onda sulla riva delle ciglia, che un po’ t’incanta e un po’ ti meraviglia; bottiglia mezza vuota e mezza piena, chiaro di luna segnami il futuro e mescola l’idrogeno e il carburo… e passo dopo passo, piano piano, illumina i miei passi con i tuoi, che ogni passo avanti è un passo in meno… e meno ossigeno nei serbatoi” (F. de Gregori).

In sostanza, possiamo immaginare la nostra memoria come una sorta di archivio ben organizzato in cui sono presenti due “catagolatori” differenti con altrettante porte d’accesso: una stanza in cui sono depositati gli scheletrati delle idee e un altro in cui sono allocati i vari “complementi d’arredo” che personalizzano il tutto così come avviene nel momento in cui si decide di allestire l’albero di Natale, comprandone uno artificiale.

Nello scatolo troveremo un fusto con i rami chiusi, per ottimizzare gli spazi a disposizione. In base ai propri gusti, si modellerà la forma dell’albero dispiegando “ad hoc” ogni singolo ramo e arricchendo il tutto con arredi appropriati. In questo modo, ognuno avrà creato il proprio albero partendo, in fondo, da elementi base simili per tutti i potenziali acquirenti. Volendo proporre un modello differente, si dovrebbe agire sulla forma dell’albero e su una collocazione degli addobbi, modificata.

La memoria, in fondo, subisce lo stesso andamento. L’afflusso continuo di dati dal mondo esterno e il rimodellamento ottenuto sulla base di come vengono vissute le singole esperienze, modificano gli archivi mnemonici alterando la rievocazione mnemonica. Quante volte, infatti, ritornando nei luoghi in cui si è vissuto molto tempo prima, ci si accorge che li si ricordava in maniera differente?

Quando guardi il mare e le barche al porto e le vedi dondolare con le luci di lampare, non distrarti tu che puoi: quando guardi il mare, ripensa a noi. Ai pensieri nei pensieri, al respiro nel respiro ed a quello che hai saputo dirmi, senza le parole (Carmelo e Stefania Labate)

Questo vale, ovviamente, per tenere a mente momenti che non si vogliono dimenticare.

Per tutto quello che, invece, costituisce il prototipo dei brutti ricordi (traumi, cattive esperienze in genere, etc.) è necessario tenere presente l’importanza dell’appagamento di quei bisogni tipici degli obiettivi a breve, medio e lungo termine nei settori di interesse prevalente (a seconda dei momenti e, ovviamente, delle opportunità del momento) che riguardano, rispettivamente, il lavoro, gli affetti e il proprio tempo libero. In questo modo, si tiene impegnata l’attenzione verso qualcosa di costruttivo e, al tempo stesso, si favorisce il riadattamento continuo fisiologico di tutto il pacchetto memoria.

“C’è un solo modo di dimenticare il tempo: impiegarlo” (Charles Baudelaire).

È chiaro che, se si vuole accelerare questo processo e, al tempo stesso, garantirsi una sua buona riuscita, al punto da correre il rischio di rivivere un brutto ricordo, al massimo, come un leggero fastidio, oltre a programmare (quotidianamente) il da farsi per evitare “fermi” mentali pericolosi, si può prendere in considerazione un training di psicoterapia che consenta: la ricerca dei “dolori” nascosti; l’analisi del pregresso; la rivisitazione di ciò che si è e di quello che resta, ancora, da fare, senza l’angoscia che ci ha accompagnato fino ad allora. c

Con una giornata da inventare e una lettera che non ho ancora spedito sono qui, di fronte al mare, ormai alle prime luci del mattino.

Le mie custodie vuote si riempiono dei richiami dei gabbiani. Forse è proprio vero che il più bel sogno è quello che vivi ogni istante in cui ti accorgi di poter esercitare la libertà di pensiero, così come il miglior bacio è quello che immagini di restituire al tuo amore e, trattenendo il fiato dall’emozione, quel minuto durerà, per te, una vita intera.

 … e quando non ci sarò, cercami in quello che ho fatto e quello che farai. E quando non mi vedrai, pensami in ciò che sono e in quello che sarai. Perché il mio amore ha gli occhi grandi e dentro gli occhi ha solo te. E se non trovi nessuno che ti parli più di me… avrai segnali di fumo dal mio cuore per te Carmelo e Stefania Labate).