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Questo articolo, pubblicato per la prima volta il 10 gennaio 2011 (e riproposto con aggiornamenti e arricchimenti), rappresenta una logica evoluzione sul piano esistenziale ed esperienziale di chi, ogni giorno, si domanda per quale motivo ci si debba impegnare, soffrire e lottare per scoprire, quando si giunge al crepuscolo serotino, che…

BUONA LETTURA

Il LUTTO ORIGINARIO costituisce la traccia ardua, viva e durevole, di ciò che si accetta di perdere come prezzo di ogni scoperta (P.C. Racamier)

Vivere: nessuno mai ce lo ha insegnato!

Cari Lettori, quanti di voi hanno avuto l’occasione di provare il peso delle frustrazioni di fronte a quello che credevi essere giusto ma che, poi, ti accorgi avere una trama e una motivazione ben diversa?

Un progetto, un rapporto umano, una speranza nel futuro per ancorarsi al presente partendo dal passato… Personalmente, nonostante la formazione (acquisita sui libri e sul campo) che dovrebbe darmi resistenza e tranquillità, di fronte al disvelarsi di realtà che, logicamente, immaginavo differenti sento, in me, il peso della disillusione che, come un macigno, toglie ossigeno al fuoco delle motivazioni e genera sottoprodotti che, di fatto, si trasformano in radicali liberi… capaci di ossidare e invecchiare (in un attimo) il miracolo della nostra fisiologia che, da microparticelle disperse, è capace, passando nei meandri della doppia elica del DNA, di dare traccia di noi attraverso impulsi di (“saggia”) corrente, spingendo la nostra stilla più intima ad animare quello che, altrimenti, sarebbe un ammasso di muscoli e ossa, ricoperto di pelle e annessi cutanei…

Sosteneva Tiziano Terzani che il treno, a differenza della nave, penetra fin nelle viscere più profonde di una città portandoti a contatto di ogni suo fremito, consapevole o meno.

Cari Lettori, soffermiamoci un attimo a riflettere sul fatto che, il nostro essere, (al tempo stesso, mente e corpo, trama e ordito) sia un agglomerato complesso da cui dipendiamo e che “determiniamo”, nel bene e nel male…

Bene

Allora, immaginiamo di salire a bordo di una treno a vapore che ci consenta di tornare indietro nel tempo, più indietro della sua comparsa, quando, per intenderci, il cavallo rappresentava l’unico vettore in grado di galoppare verso la Libertà.

Ecco, allo stesso modo, ascoltando la bella musica di sottofondo composta da Ennio Morricone, saliamo sul treno proposto nel video sottostante e, con calma, procediamo nella lettura di questo (un po’) sofferto lavoro e osserviamo nella galleria della Memoria, il Tempo, la Vita e gli Amori.

Scopriremo, così, dove vanno i Pensieri, quando smettono di essere pensati…

A modo mio..

Ed ora, vicina è la fine ed io fronteggio l’ultimo sipario… amico mio; lo dirò chiaramente, chiarirò la mia situazione, per la quale non nutro alcun dubbio. Ho vissuto una vita piena. Ho percorso ciascuna e tutte le strade e in più (molto di più) l’ho fatto a modo mio. Rimpianti, ne ho avuti pochi e, d’altra parte, son troppo pochi per raccontarli. Ho fatto quello che dovevo fare e, senza nessuna esclusione, ho pianificato ogni percorso tracciato, ogni passo prudente lungo la scorciatoia e, in più (molto di più)l’ho fatto a modo mio. Sì, ci sono state volte (sono sicuro che tu hai saputo) che ho morso più di quello che avrei potuto masticare ma, nonostante tutto, quando ho avuto un dubbio, ho mangiato e ho sputato; ho fronteggiato tutto ciò… e l’ho fatto a modo mio. Ho amato, ho riso e pianto. Ho avuto le mie soddisfazioni e la mia parte di sconfitte ed ora che scendono le lacrime, trovo divertente pensare di aver fatto tutto ciò e poter dire (non timidamente) “No, oh no, non io… io l’ho fatto a modo mio!” A cosa serve un uomo, cosa ha ottenuto? Se non (è stato capace di realizzare) se stesso, allora non è niente! Dire le cose che sente veramente e non le parole di un uomo che si inginocchia. Il passato mostra che ho preso i miei colpi e che l’ho fatto a modo mio! Sì, è stato a modo mio!

L’esperienza mi porta ad immaginare che, quello che provo, in alcuni momenti, metta il cuore di ciascuno, a volte, in condizione di sfuggire al ferreo controllo del cervello, così come, peraltro, la scienza ci spiega e ci insegna…

Mah… sarà come sarà, però, siccome non si può vivere senza passato, ecco, ritornando nei miei panni di allora a riascoltare i pensieri e le ambizioni, scopro una sorta di piccolo principe vulnerabile e presuntuoso capace di usare la speranza come sottile linea di confine fra la gioia e il dolore…

Ed ora che non ho paura dei tuoni e della pioggia, mi scopro uomo, solo, davanti all’uscio del Futuro, in cerca di Amore ma rifuggendo la gente, cercando di evitare un andamento circolare e ripetitivo, fotocopiato da chi mi ha preceduto.

Probabilmente sto impattando col prezzo della vita, quell’insieme di istanti che “vanno a senso unico” colorando e dando un peso a quel misuratore indifferente che è il tempo, creandoci l’illusione di essere in quella condizione di fare ciò che piace e che fa star bene: la libertà.

Siamo realmente liberi nel decidere i nostri percorsi di vita?

In linea di massima, la risposta potrebbe essere affermativa nel senso che basterebbe poter scegliere ciò che più piace e verso cui ci sentiamo più “legati”. Nella realtà dei fatti, qualunque attività decidiamo di intraprendere, dovremo sopportare dei costi pur traendone dei vantaggi.

Quali potrebbero essere questi costi?

Innanzitutto il tempo da dedicare per prepararci ad affrontare una determinata professione; poi le difficoltà da affrontare per inserirsi in un circuito lavorativo dignitoso; inoltre c’è da considerare le frustrazioni con cui, inevitabilmente, ci si scontra durante un percorso occupazionale; infine, non si può trascurare la necessità di sapersi barcamenare tra il tempo da dedicare al lavoro e quello da utilizzare per dare alla propria vita una dimensione di completezza ed equilibrio (affetti, amicizie, tempo libero, miglioramento personale, etc.)

Ecco, questo è quello che pensavo, fino a un po’ di tempo fa… ora mi accorgo, però, che, la difficoltà maggiore consiste nel riuscire a far dialogare, quello che tu ritieni essere la giusta via, con le convinzioni degli altri!

Non basta, infatti, preparare con calma e perizia, un percorso di vita utile e costruttivo…

Più le miglia percorse si archiviano nelle rughe della fronte, più mi rendo conto che, quello che vorrei, disturba il modo di vivere di chi costituisce l’impalcatura di questa Società anche quando, l’intero sistema, palesemente si trova dalla parte del torto!

“La libertà al singolare esiste soltanto nella libertà al plurale” (Benedetto Croce). 

Cosa c’è di vero in questa osservazione?

Molte volte ho parlato di egoismo positivo. Mi sembra che non ci sia nulla di più calzante. Tanto meglio stanno coloro i quali vivono intorno a noi, tanto più possiamo goderne, in maniera diretta o indiretta… ovviamente se viviamo in un contesto solidale e maturo cosa che, a dire il vero, non si trova facilmente al giorno d’oggi! Osservando gli altri, inoltre, possiamo renderci conto della nostra reale condizione in termini globali.

Che significa?

Quali risultati abbiamo concretizzato, tenendo conto delle difficoltà che il mondo ci pone di fronte? Quanto riusciamo a godere dei traguardi raggiunti?

A modo mio. Ma come diavolo si fa?

My Way è una delle canzoni più famose di tutti i tempi; scritta in francese da Claude Francois col titolo “Comme d’habitude”(come al solito), fu successivamente tradotta in inglese da Paul Anka. Incisa da Frank Sinatra nel dicembre del 1968, è diventato uno dei pezzi più rappresentativi del suo repertorio.

Tutto semplice e lineare, come un film confezionato ad Hollywood! Ma, qual è la vera storia di un testo così famoso?

Jacques Revaux (ex-cantante che qualche anno prima aveva abbandonato i microfoni per dedicarsi esclusivamente al mestiere di compositore) abbozza un motivo dandogli anche un testo in inglese maccheronico, e lo intitola “For Me”. È un brano triste, con una melodia che “suona” come già sentita e la canzone viene messa nel cassetto. Nel 1967 Claude Francois (cantante nato in Egitto da padre francese e madre italiana), sentendo la canzone la trova adatta per descrivere la sua vicenda autobiografica. Poco tempo prima, infatti, era stato lasciato da France Gall, al termine di una relazione amorosa che andava avanti da tre anni, in maniera routinaria. Il titolo, ovviamente, non poteva che essere Comme d’habitude (Come al solito). Del pezzo, così rielaborato, ne verrà fatta una versione per il mercato italiano (Come sempre), tedesco (So leb dein Leben) e spagnolo (A mi manera.)

La versione in inglese di Paul Anka

Colpito dal brano, il compositore canadese pensa ad un adattamento in inglese. Dopo essersi recato a Parigi per trattare l’acquisto dei diritti, compone i versi e li sottopone, col titolo My Way (A modo mio), a Frank Sinatra. La versione inglese non è un adattamento ma un testo a sé stante, che non ha nulla a che vedere con la versione originale: è la storia di un uomo, forse vicino alla morte, che traccia un bilancio della sua vita e non ha molti rimorsi poiché ha sempre vissuto a modo suo. Il tema sembra calzare a pennello per Sinatra, ma questi non è convinto del brano. A convincerlo penserà sua figlia Nancy, convinta che fosse perfetta per chi, come Frank, incarnava il mito americano del self made man. La chiave del successo di questo brano negli Stati Uniti e poi, di ritorno, in tutto il pianeta, sta appunto nell’indovinata apologia del Destino di chi tira le fila del proprio racconto, al netto di rimpianti, rimorsi e sensi di colpa.

Ma che fatica!

Molti studi, alcuni dei quali (come ad esempio, quello condotto in Inghilterra dallo psichiatra Bruce Charlton della School of Biology presso l’Università di Newcastle) portano a concludere che gli adulti di oggi sono, di gran lunga, meno maturi di quelli di ieri. Se è vero, qual è il motivo?

Partiamo dal principio che l’essere umano, per come lo conosciamo noi, sia comparso non più di 6000 anni fa come risultato di un processo evolutivo iniziato più di 4 milioni di anni fa. L’universo, però, si è “determinato” (dopo l’innesco del Big Bang) qualcosa come 14 miliardi di anni fa! Sarebbe come dire che il “tutto” sia iniziato lo scorso anno e che noi siamo giunti sul posto da pochi minuti.

Immaginiamo l’evoluzione come dell’olio versato su una superficie non completamente piana. Questo liquido, a quelle condizioni (considerando viscosità e fluidità) si espanderebbe in maniera non uniforme, privilegiando le zone a condizioni maggiormente propizie.

Ecco, in questo modo si realizza lo sviluppo sostenibile!

Esistono zone e persone che riescono a tesaurizzare gli input provenienti dal mondo esterno e, al tempo stesso, sono presenti ambientazioni (forse per eccesso di condizionamenti negativi) in cui, tutto ciò che è progresso viene utilizzato per sviluppare ipostress (scarsa attivazione).

Ad esempio, nel passato, chi poteva permettersi di studiare, si creava degli obiettivi motivazionali secondo un buon rapporto fra costo e beneficio e chi, invece, doveva “inventarsi” la vita giorno per giorno, per non estinguersi, cercava con ogni mezzo di “restare a galla” e “navigare” verso zone tranquille e porti sicuri.

Al giorno d’oggi, lo studio di massa ci ha messo in condizione di non dare importanza a ciò che costituisce l’unica opportunità per diventare migliori (sviluppare capacità e personalità) e l’attività didattica viene vissuta come un obbligo al pari del servzio militare obbligatorio di qualche anno fa. Questo ci fa perdere allenamento alla vita e ci fa somigliare tremendamente all’Impero Romano in decadenza, quando non c’erano più pretoriani affamati di gloria e, mentre Roma bruciava, Nerone si trastullava al suono della Lira!

È ovvio che, a queste condizioni, qualsiasi sentore di problematicità, ci fa correre alla ricerca di braccia materne (perché quelle paterne ci indurrebbero a doverci dare da fare!) in cui rifugiarci per essere coccolati, aumentando il senso di incapacità.

L’alternativa alla fuga verso lidi protettivi credo, sia la scelta che, personalmente, prediligo: entrare in armonia col Tutto, avvicinandosi al Centro della Verità e pagare il dazio della solitudine per non aver più nessuno, accanto, in grado di capirti e condividere… 

“Ciao Uomo, come stai? Balli nel centro del tuo Universo ma, alla fine della tua Storia, piangi d’angoscia dentro di te!

A modo mio. Oltre la canzone, un film. C’era una volta in America.

Ultimo lavoro di Sergio Leone, nel 1984, è il terzo e ultimo film della cosiddetta “trilogia del tempo” preceduto da C’era una volta il West (1968) e Giù la testa (1971) e interpretato, fra gli altri, da Robert de Niro e James Woods, con le musiche di Ennio Morricone.

Questo spaccato americano che va dal 1920 al 1968, racconta (procedendo con flashback che spaziano dal 1968, rispettivamente al 1922 e al 1932) di come un “signor nessuno” di nome David Aaronson detto Noodles (Robert de Niro) sia riuscito ad emergere dal ghetto ebraico per diventare, insieme a 5 amici (ma uno morirà ucciso in giovanissima età), un riferimento della malavita organizzata nell’america del proibizionismo. Ma sempre a modo suo, con un proprio stile.

“Franky Monaldi è il più grosso, lo vuoi capire! Da oggi è lui che ha in mano tutta la combinazione”.

“Appunto! E da domani stai sicuro che avrà in mano anche noi”.

“Un giorno sei arrivato e hai detto: non mi piacciono i capi! Allora io la trovai una bella frase… e anche adesso”.

“Ma pensiamoci bene, però, Luis… ci chiederanno di entrare con loro: i vantaggi sono enormi”.

“Qualche problema?”

“Nessuno! Un gioco da ragazzi.”

“Cos’è?”

“E’ un sogno! È un sogno che ho avuto per tutta la vita e ti giuro, Luis, che io e te insieme possiamo farlo avverare”.

“Oggi hanno chiesto a te di fare fuori Jo, domani chiederanno a me di fare fuori te. Se questo sta bene a te, a me non sta bene!”

L’essere umano, teme di più il nuovo, l’ignoto o quello che è tristemente routinario? Come si affrontano queste paure ?

Il nuovo, in quanto tale, ci costringe a venir fuori dagli schemi delle abitudini che sono nate per darci le sensazioni tipiche di un comodo paio di pantofole, la sera, di ritorno da una giornata di impegni…

La zona di “Confort”…

“Mi posso dir assai soddisfatto come un guerrier in sella al suo destrier, quando ho finito di sgobbar e, al focolar, io torn e vivo come un Re! Mi piace aver… preciso un orario: sempre alle sei, io varco il portone; pipa e pantofole mi attendon ogni dì, io adoro questa precision!” (Da “Mary Poppins”)

L’ignoto, come ambientazione ricca di fattori potenzialmente pericolosi (perché, anche nelle migliori condizioni, ciò che non conosciamo ci può “mettere alla frusta”), aumenta lo stato di disagio tensivo.

Al tempo stesso, alla lunga, anche le cose che si ripetono finiscono per darci la percezione di vivere in un recinto dove tutto è scontato. E si va avanti, stancamente, in attesa della fine!

Partendo dal principio che ci si comporta in funzione della propria personalità (che è in relazione a quello che ci hanno fatto capire “essere” la vita), è fisiologico arrendersi all’evidenza basata sul fatto che, le abitudini servono per ottimizzare i “consumi” nella normale amministrazione ma ci fanno perdere mordente per cui, ciclicamente (anche se non è programmabile) è necessario aprirsi a nuove prospettive. Nel rapporto fra fatica (costo) e gusto (beneficio) ci muoveremo, come Diogene con la lanterna a cercare l’uomo, in tutti i suoi significati.

Come già descritto in un altro articolo, nell’immagine proposta, l’aereo che, sembra, ci stia venendo incontro ad alta velocità e la cabina di pilotaggio, “richiamano” la necessità di condurre la propria esistenza restando ai comandi qualunque cosa accada. Il problema nasce nel momento in cui la situazione ci sfugge di mano per aver commesso errori nella strategia di conduzione delle cose che facciamo. A quel punto, l’aereo (cioè la nostra vita) può piombarci addosso come una mina vagante.

L’importante è evitare lo stallo.

Lo stallo è quel momento in cui un velivolo non ha più spinta inerziale per cui comincia a precipitare. La bravura del pilota consiste nel riuscire a volare manovrando la cloche in maniera da raggiungere l’equilibrio fra la spinta dei motori e la durata dell’accelerazione, restando all’interno di una curva disegnata fra la “salita” e la “discesa” evitando, nel contempo, di finire fuori rotta.

In pratica, ci si troverà nella condizione paradossale riportata nel riquadro a destra dell’immagine: su una corda tesa nel vuoto, diretta verso l’ignoto e senza la possibilità di usufruire del giusto equipaggiamento!

Così scorre il nostro tempo, fra la ricerca di “un posto al sole” e il doversi difendere dal peso del successo, che potrebbe farci perdere. In tutti i sensi.

Come avviene il passaggio da “figlio” ad “adulto autonomo”?

Il “primo” cantico dei cantici

“Il mio diletto è candido e rosato, le sue guance sono oro sopraffino, il suo collo è uno stelo soavissimo anche se non se lo lava dalla Pasqua passata. I suoi occhi sono occhi di colomba, il suo corpo risplendente avorio e le sue gambe sono due colonne di marmo in calzoni così luridi che stanno in piedi da soli. Egli è tutta una delizia ma sarà sempre un teppista da due soldi… perciò non sarà mai il mio diletto. Che peccato!”

Da figli, si è alla ricerca di un rifugio e si ha la pretesa che qualcuno ce lo faccia trovare. Da adulti, si cerca sempre quel rifugio… ma con la consapevolezza che, se proprio lo si vuole, lo si deve costruire con le proprie mani e lo si deve difendere dagli attacchi degli altri.

E allora non resta che :

  • sintonizzarsi con i reali bisogni da appagare per rispettare quegli standard che non ci fanno ammalare;
  • migliorare la nostra personalità, con l’esperienza;
  • seguire un percorso eclettico che, privo di presuntuose preclusioni, ci avvicini all’essenza della vita, dove è più facile, logicamente, riconoscere le verità.

Diventando responsabili, si perde una parte di libertà?

, quella libertà egocentrica, a costo zero (chè, tanto, qualcuno pagherà per noi). No, perché acquisiamo la libertà del diritto di scelta (pagando di tasca propria).

E adesso, cari Lettori, prova a riflettere sul brano che ho tratto da “Storia della filosofia greca” di Luciano de Crescenzo (in cui l’autore fa dissertare Tonino Capone, filosofo elettrauto napoletano, sulla saggezza del vivere). Non è la prima volta che lo propongo… ma vale sempre la pena soffermarvisi un po’.

“La vita quotidiana” dice Tonino “è come il Monopoli: all’inizio ogni giocatore riceve dal banco ventiquattro gettoni di libertà, un gettone per ogni ora del giorno. Il gioco consiste nel saperli spendere nel modo migliore.”.

Ci troviamo in una piazzetta del Vomero: è l’una di notte, non c’è più alcun cliente, il locale sta per chiudere. ’O maresciallo, il proprietario, fa i conti dietro la cassa. Due camerieri girano fra i tavoli e ammucchiano per terra tovaglie sporche da consegnare alla lavanderia. A un tavolo d’angolo, davanti a tre tazzine di caffè, siamo rimasti seduti io, Tonino e Carmine, il cameriere anziano della pizzeria.

“Noi per vivere” dice Tonino “abbiamo bisogno di due cose: di un po’ di soldi, per essere indipendenti dal punto di vista economico, e di un po’ di affetto, per superare indenni i momenti di solitudine. Queste due cose però non le regala nessuno: te le devi comprare e te le fanno pagare a caro prezzo con ore e ore di libertà. I meridionali, per esempio, sono portati a desiderare il posto sicuro, lo stipendio fisso tutti i ventisette. Non dico che si tratti di un mestiere stressante, tutt’altro, però in termini di libertà l’impiego è un impegno tra i più costosi che esistono: otto ore al giorno significano otto gettoni da pagare, senza considerare gli straordinari e un eventuale secondo lavoro. E veniamo all’amore: anche in questo caso l’uomo si orienta per una sistemazione di tutto riposo, si trova moglie e spera di ottenere da lei quello stipendio affettivo di cui sente il bisogno. Pure questa soluzione ha il suo costo: nella migliore delle ipotesi sono altre ore di libertà che vanno a farsi benedire. La moglie aspetta il marito che ha appena finito l’orario di ufficio e lo sequestra. A questo punto facciamoci i conti: otto ore per il lavoro, sei per la moglie, ne restano ancora dieci e bisogna dormire, lavarsi, mangiare e andare su e giù con la macchina tra la casa e il posto di lavoro.”

“Donn’Antò,” dice Carmine che, non essendo un intimo, dà del voi a Tonino e lo chiama donn’Antonio, “l’unica cosa che non ho capito è questo fatto dei gettoni. Voi dite che uno, per procurarsi i soldi, deve cacciare altri soldi…”

“Sì,” lo interruppe Tonino “ma si tratta di soldi immaginari, banconote corrispondenti alle ore di tempo libero. Se tu sacrifichi tutte le ore del giorno per il lavoro e per tua moglie, non avrai più nemmeno un minuto per restare solo con se stesso”.

“Ho capito, donn’Antò,” annuisce Carmine senza troppa convinzione “però vedete: io quando lavoro non mi annoio mai, quando sto con mia moglie diciamo che mi annoio così così, è quando resto solo con me stesso che mi annoio moltissimo e allora dico io: non è meglio che vado a lavorare?”

“Questo succede perchè nessuno ti ha mai insegnato a vivere da solo. Chiariamo subito una cosa: qua ognuno è padrone di passare il proprio tempo libero come meglio crede. C’è a chi piace restare in casa da solo, a leggere o a pensare, c’è chi invece preferisce uscire con gli amici e andare in trattoria,e c’è perfino chi si diverte a girare con la macchina in mezzo al traffico. L’importante, però, è che ci sia sempre, per ciascuno di noi, quell’ angolino per potersi dedicare a qualche cosa che non sia la pura occupazione del guadagnare e dello spendere. Oggi purtroppo il consumismo, con le sue pretese sempre più imperative, con le sue leggi di comportamento, ci costringe a tirare la carretta molto più di quanto in realtà avremmo bisogno. Basterebbe infatti eliminare le spese superflue per poterci liberare, una volta per tutte, della condanna del super- lavoro”.

“Donn’Antò…” esclama Carmine “voi a me questi discorsi non me li potete fare! Ma di quali spese superflue andate parlando? Voi siete un uomo solo, io tengo moglie e tre figli; voi per cambiare un fanalino vi pigliate ventimila lire, io per guadagnare seicentomila lire debbo lavorare un mese e sperare nelle mance dei clienti!”.

“Hai la macchina?” chiede bruscamente Tonino. “Come sarebbe a dire la macchina? Tengo una Fiat 127 tutta scassata” risponde Carmine abbassando la voce, quasi si sentisse in colpa.

“E secondo te l’automobile non è una spesa superflua? Tuo padre non ce l’aveva e non per questo ha avuto una vita più infelice della tua. Dì la verità: te la sei comprata perchè hai visto gli altri che ce l’avevano, non perchè ti serviva veramente!”

“E come si fa a vivere a Napoli senza macchina! I mezzi pubblici è come non ci fossero”.

“Mi sai dire chi è un uomo ricco?”

“Uno che guadagna molti soldi”.

“Quanti soldi?”

“E io che ne so? Diciamo, tre milioni di lire al mese”.

“La ricchezza, caro Carmine, non è una cifra stabilita in base alla quale si può dire che Tizio è ricco perchè guadagna più di tanto, e Caio è povero perchè non ci arriva. La ricchezza è una condizione relativa: è ricco chi guadagna di più di quanto spende e, viceversa, è povero chi ha esigenze superiori al reddito”.

“Non ho capito” dice ’o maresciallo che, avendo finito i conti, si è seduto al nostro tavolo.

“Voglio dire che la ricchezza è solo uno stato d’animo: uno può sentirsi ricco anche senza avere molti soldi: l’importante è che spenda meno di quello che ha guadagnato e che non abbia desideri”.

“E qui casca l’asino, donn’Antò: i desideri!” sbotta Carmine. “Io, per esempio, desidero ardentemente una televisione a colori, ma quella costa quasi un milione. È una parola! E quando lo riesco a mettere da parte un milione, io? Domenica scorsa ho fatto undici: ma come, dico io, ’a Fiorentina a dieci minuti dalla fine vince tre a zero e va a pareggiare!! Ma allora ditelo chiaro e tondo:- Cascone Carmine, tu la televisione a colori non te la puoi comprare!- e io non ci penso più”.

“Certo” dice Tonino “oggi la televisione a colori è proprio indispensabile”.

“No: se ne può fare benissimo a meno, però il sottoscritto è stato molto sfortunato” risponde Carmine.”Voi dovete sapere che proprio dirimpetto a dove abito io, a Materdei, c’è il Circolo culturale Benedetto Croce che tiene un televisore a colori di 23 pollici. Ora, siccome mia moglie era, diciamo così, la responsabile dell’ordine dei locali, io tutte le domeniche pomeriggio mi andavo a vedere Pippo Baudo e le partite di calcio. Poi è successo che il Circolo è rimasto improvvisamente senza soldi e, non solo non ha pagato il padrone di casa, ma si è venduto pure i biliardini che teneva in fitto. Basta: la fabbrica di flipper ha sporto denunzia e l’altro giorno è arrivato l’ufficiale giudiziario a mettere i sigilli. Io adesso però mi ero abituato a vedere la televisione a colori e con quella in bianco e nero non mi trovo più: ecco perchè me la devo comprare per forza!”

“Se fossi nei tuoi panni, Carminiè, denunzierei pure io Benedetto Croce” suggerisce ’o maresciallo sforzandosi di sembrare serio. “Praticamente loro, con te, si sono comportati come gli spacciatori di droga: prima te l’hanno data gratis e adesso ti fanno pagare”.

“Marescià, voi sfottete e quello, Carminiello, ha perfettamente ragione” ribatte Tonino. “E già, perchè, nell’episodio che ci ha raccontato prima, il Circolo, con la sua permissività, gli ha fatto contrarre un aumento del tenore di vita a danno della sua ricchezza relativa. Vi faccio un esempio: supponiamo che nei prossimi giorni voi licenziate Carmine…”

“E questa è una cosa che può succedere veramente> replica ’o maresciallo <dal momento che passa più tempo a chiacchierare che a portare le pizze ai clienti…”

“…E supponiamo che il povero Carmine venga da me per cercare un lavoro…” continua Tonino ignorando le interruzioni.

“Donn’Antò, vi avverto” avvisa Carmine “io di elettricità e di automobili non ne capisco niente!”

“…E mettiamo il caso che, data la vecchia amicizia, io gli facessi questo discorso: caro Carmine, dal momento che ho bisogno di un segretario personale, ti assumo e ti do uno stipendio di un milione e mezzo al mese…”

“Fosse ’a Madonna!” sospira Carmine.

“…Questo per il primo anno, dal secondo anno in poi, invece, per motivi personali, sono costretto a diminuire lo stipendio a un milione al mese”.

“Come!” protesta Carmine. “Il primo anno un milione e mezzo, e il secondo solo un milione! E che facciamo, donn’Antò: invece di andare avanti, torniamo indietro? Mi meraviglio di voi: un bravo dipendente dopo un anno ha diritto a un aumento di merito”.

“E io invece sono pazzo: pago di più all’inizio e di meno l’anno successivo” insiste Tonino. “A questo punto, caro Carmine, ti avrei rovinato: e già, perchè durante il primo anno tu ti abitueresti a vivere con uno stipendio di un milione e mezzo, e poi ti sentiresti sotto pagato per tutto il resto della vita. Se invece sei furbo, che fai? Durante il primo anno prendi quel mezzo milione in più e lo vai a regalare al poveretto che sta all’angolo della chiesa. Così dopo un anno, a te non succede niente, dal momento che continui a vivere la tua vita di sempre, e chi resta fregato è il poveretto all’angolo della chiesa. Direbbe:- Ma che fine ha fatto chillu signore tanto gentile che ogni mese me purtave sempre miezo milione? Ed ecco come la parabola del povero beneficato può far capire il segreto del benessere”. conclude trionfante Tonino. “La ricchezza è solo uno stato d’animo: basta non avere bisogni per potersi sentire automaticamente straricchi. Vuoi la felicità? Non ci sono problemi: ricordati che coincide con la tua libertà personale. Io, per quanto mi riguarda, ho già ridotto al massimo il mio tenore di vita: questo mi consente di lavorare solo mezza giornata e di dedicare il resto del mio tempo all’amicizia e alla conoscenza del mondo”.

La paura di crescere: mancanza di elasticità mentale, assenza di buoni principi o paura di invecchiare?

Crescere, per definizione significa aumentare trasformando, in bene o in meglio: ma, come andrà, noi non lo sappiamo all’inizio; un po’ come quando si fa una torta o una pizza: si lascia lievitare, si mette in forno facendo attenzione a non aprire lo sportello per evitare d’interromperne la cottura. A volte, però, la pietanza (per qualche errore di procedura) non “cresce” adeguatamente e allora il risultato lascia a desiderare.

Se noi non siamo adeguatamente aiutati nel capire che la vita è difficile (ma lo è in funzione di quello che non sappiamo fare) cerchiamo delle strade alternative frenando le nostre aspirazioni, i nostri sogni, la nostra voglia di crescere per paura di trasformarci in qualcosa che potrebbe anche non piacerci.

È compito dunque di chi ci sta accanto, metterci nelle condizioni, soprattutto attraverso l’esempio, di capire che sicuramente sarà dura, ma è proprio nel gusto della sfida e nel provare a riuscirci che sta l’essenza stessa della vita.

Quanto incide la nostalgia di momenti del passato che non potranno essere mai più vissuti, a frenare la voglia di crescere?

Partendo dall’assunto che la paura di crescere può essere legata non solo ad alcuni aspetti intuibili (invecchiare, morire, perdere i propri cari, non sapere affrontare l’ignoto, non sopportare di sbagliare), possiamo aggiungere che, una forte componente possa essere legata anche alla nostalgia di momenti del passato che non potranno essere mai più vissuti.

Intanto si resta in bilico tra gli attimi di ieri e il domani incerto. Che fare per evitare rimpianti?

Partendo dal principio che:

  • Il passato costituisce il pianeta dei ricordi (che, in genere, si vivono con nostalgia o rammarico).
  • Il futuro rappresenta l’occasione per sperare in qualcosa.
  • Il presente “incarna” l’opportunità di concretizzare.

I criteri da usare per organizzare al meglio la propria vita, diventano:

  • Il Tempo a disposizione;
  • Le risorse da destinare;
  • La motivazione all’agire.
  • I nuovi obiettivi che si appalesano, man mano che invecchiamo “crescendo”.

“Quando fantastichiamo sul futuro non usiamo soltanto la fantasia. Perché, per immaginare il domani sfruttiamo soprattutto i ricordi del passato. Fisicamente gli esseri umani vivono nel qui e ora, ma con il pensiero sono per lo più, nel domani. Sia che ripercorriamo mentalmente gli impegni della giornata, sia che annotiamo le scadenze nell’agenda o che progettiamo le vacanze, ci facciamo sempre delle idee molto concrete sugli eventi futuri. In che modo il nostro pensiero padroneggia questo compito? Per quanto possa sembrare paradossale, lo fa attraverso il ricordo. Secondo i neuroscienziati, infatti, nel fare previsioni sul futuro usiamo soprattutto la nostra memoria”. Mente &Cervello, luglio 2009, n. 55 C’era una volta domani Di Thomas GrÃter

Il “secondo” cantico dei cantici

Per non impazzire dovevi non pensare che fuori c’era il mondo, proprio non pensarci, dovevi dimenticarlo, eppure sai gli anni passavano, sembrava che volassero. Strano, ma è così quando non fai niente, ma due cose non riuscivo a togliermi dalla mente: la prima era Dominique quando prima di morire mi disse: “sono inciampato!” e l’altra eri tu. Tu che mi leggevi il Cantico dei cantici, ricordi? “Oh figlia di principe quanto sono belli i tuoi piedi nei sandali”. Sai che leggevo la Bibbia tutte le sere? E tutte le sere io pensavo a te. “Il tuo ombellico è una coppa rotonda dove non manca mai il vino, il tuo ventre un mucchio di grano circondato da gigli, le tue mammelle sono grappoli d’uva, il tuo respiro ha il profumo delicato delle mele”. Nessuno t’amerà mai come t’ho amato io. C’erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo Debora esiste è la fuori esiste e con quello superavo tutto. Capisci, ora, cosa sei per me?

C’è la voglia del riscatto, la voglia di fare, di costruire. Ma c’è anche la paura di rischiare, mettendosi in gioco…

Solo per oggi

cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta.

Solo per oggi

avrò la massima cura del mio aspetto: vestirò con sobrietà, non alzerò la voce, sarò cortese nei modi, non criticherò nessuno, non cercherò di migliorare o disciplinare nessuno tranne me stesso.

Solo per oggi

sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo.

Solo per oggi

mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei desideri.

Solo per oggi

dedicherò dieci minuti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio, ricordando che come il cibo è necessario alla vita del corpo, così il silenzio e l’ascolto sono necessari alla vita dell’anima.

Solo per oggi,

compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno.

Solo per oggi

mi farò un programma: forse non lo seguirò perfettamente, ma lo farò. E mi guarderò dai due malanni: la fretta e l’indecisione.

Solo per oggi

saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che l’esistenza si prende cura di me come nessun altro al mondo.

Solo per oggi

non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nell’Amore. Posso ben fare per 12 ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita.

(Papa Giovanni XXIII)

Il senatore Bailey

Siamo nel 1968. Noodles va al cimitero, in una sontuosa cappella che il misterioso sconosciuto ha costruito per accogliere i corpi dei suoi tre amici uccisi molti anni prima. Da una incisione all’interno pende una chiave; il testo su questa è dedicato a Noodles che, quindi, la prende. Egli non ha dimenticato il passato e intuisce immediatamente l’uso del piccolo oggetto metallico. Si reca alla stazione ferroviaria e apre una cassetta per i bagagli. Questa volta la cassetta contiene una valigia piena di soldi, e su una delle fascette di banconote c’è scritto: “In pagamento del prossimo contratto”. (Da Wikipedia)

Successivamente, Noodles viene invitato ad un imporante ricevimento, organizzato dal Senatore Bailey, scampato ad un attentato e coinvolto in un importante processo di corruzione per il quale sono già stati assassinati due testimoni.

Noodles scopre che il senatore è il suo vecchio complice Max. Quest’ultimo gli chiede di ucciderlo per evitare di finire sotto inchiesta, ma Noodles rifiuta. Sceglie di finire ” a modo suo”!

Ho rubato la tua vita e l’ho vissuta al tuo posto, t’ho preso tutto, ho preso i tuoi soldi, la tua donna, ti ho lasciato solo trentacinque anni di rimorsi per la mia morte. Rimorso sprecato! Cosa aspetti a sparare?

Eh si! Di gente ne ho ammazzata, signor Bailey. Qualche volta per difendermi e qualche volta per contratto. Venivano in tanti, da noi… ed ognuno con un suo problema: rivali in affari, soci, amanti, in certi casi accettavamo in certi altri no. Il suo non lo avremmo mai accettato signor Bailey.

È il tuo modo di vendicarti?

No, è solo il mio modo di vedere le cose.

Sono le 10:25, e non ho più niente da perdere. Un amico tradito non ha scelta, deve sparare. Fallo!

Vede signor senatore, anch’io ho una mia storia, un po’ più semplice della sua. Molti anni fa avevo un amico, un caro amico. Lo denunciai per salvargli la vita, invece fu ucciso. Volle farsi uccidere! Era una grande amicizia, andò male a lui e andò male anche a me. Buona notte signor Bailey . Io spero che quella sua inchiesta si risolva in nulla, sarebbe un peccato che il lavoro della sua vita andasse sprecato.

Finisce tutto così?

Siamo di nuovo nel 1933. Noodles è in una fumeria d’oppio, steso sul letto e inebriato dalla droga, cerca di dimenticare. E sorride, con un sorriso beffardo… “a modo suo”! 

E’ stato tutto un maledetto sogno, oppure “capire” il senso della vita, ha un prezzo talmente alto, da dover “fuggire”… di fronte alla realtà, magari edulcorandola “a modo proprio”?

Un amico fraterno, mi ha suggerito un ottimo spunto di riflessione che trovo più che adeguato per concludere, degnamente, questo viaggio iniziato col treno dei ricordi…

Ho contato i miei anni… ed ho scoperto che ho meno tempo da vivere, da qui in avanti, di quanto non ne abbia già vissuto. Mi sento come quel bambino che, avendo vinto una confezione di caramelle, le prime le ha mangiate velocemente ma, poi, quando si è accorto che ne rimanevano poche, ha iniziato ad assaporarle con calma.

Ormai non ho tempo per riunioni interminabili, dove si discute di statuti, norme, procedure e regole interne, sapendo che non si combinerà niente…

Ormai non ho tempo per sopportare persone assurde che, nonostante la loro età anagrafica, non sono cresciute.

Ormai non ho tempo per trattare con la mediocrità. Non voglio esserci, quando sfilano persone gonfie di ego. Non tollero i manipolatori e gli opportunisti. Mi danno fastidio gli invidiosi, che cercano di screditare quelli più capaci, per appropriarsi dei loro posti, talenti e risultati.

Le persone non discutono di contenuti ma, a malapena, dei titoli. Il mio tempo è troppo scarso per discutere di titoli. Voglio l’essenza, la mia anima ha fretta…Senza troppe caramelle nella confezione…

Voglio vivere accanto a della gente umana, molto umana. Che sappia sorridere dei propri errori. Che non si gonfi di vittorie. Che non si consideri eletta, prima ancora di esserlo. Che non sfugga alle proprie responsabilità. Che difenda la dignità e che desideri, soltanto, essere dalla parte della verità e dell’onestà.

L’essenziale, è ciò che fa sì che la vita valga la pena di essere vissuta. Voglio circondarmi di gente che sappia arrivare al cuore delle persone… Gente, alla quale, i duri colpi della vita, hanno insegnato a crescere con sottili tocchi nell’anima.

Sì… ho fretta… di vivere con intensità, che solo la maturità mi può dare. Pretendo di non sprecare nemmeno una caramella di quelle che mi rimangono… Sono sicuro che saranno più squisite di quelle che ho mangiato finora. Il mio obiettivo è arrivare alla fine soddisfatto e in pace con i miei cari e con la mia coscienza. Spero che anche il tuo lo sia, perché in un modo o nell’altro ci arriverai…” (Mario de Andrade Poeta, Musicologo, Narratore)

Un uomo in grado di pensare non è sconfitto. Anche quando l’apparenza ci indurrebbe a credere il contrario ( Milan Kunderra).