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“La mano del mio babbo è duemila volte più grande della mia. Con un passo, fa cento metri. Se non sta attento, batte la testa nei tetti delle case, perché è molto alto. È buono e mi vuole bene. Vuole bene anche alla mamma. Però un po’ di più a me. Il mio babbo non si lamenta mai. Io da grande voglio essere come lui.”

Credo che non ci sia nulla di meglio di questo quadro emotivo di un sé bambino per spiegare il senso della Pasqua inteso come bisogno della protezione e della “parola” del Padre.

Apparentemente, Dio, lascia suo figlio da solo e lontano dalla casa celeste ma, se ci rifacciamo al la chiamata di Abramo e al suo invito al “distacco” (“Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre…”) scopriamo che, nell’ebraico biblico, “Vattene” si scrive “Lechlechà” che però, nella sua accezione “Lech le-chà”, diventa “vai verso te stesso”.

Quale che sia la nostra Fede, il nostro Credo, non possiamo non condividere la realtà in base alla quale, dal sacrificio della Crocifissione, risorge la speranza di una nuova vita interiore che si può e si deve addentellare con i gesti di solidarietà, di cui possiamo essere ancora capaci generando un simbolico poema del silenzio in cui, il grazie di chi ci sorride, diventa tutto l’ascoltabile. In quella sorta di impossibile da dire che, di fatto, è la preghiera.

Anche quella laica

Alla fine dei nostri giorni, non ci verrà chiesto quanto siamo diventati importanti ma, semmai, il motivo per cui abbiamo perso di vista noi stessi.

Una Buona Pasqua. A tutti.

Canale Youtube “Infinito Presente”

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