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Ogni volta che ci investe la notizia di un atto di guerra, nella mente c’è indelebile il rumore sordo delle assenze improvvise. Come una fotografia impolverata dal tempo, lo sguardo della memoria riporta ai tanti ieri riesumati. La sensazione è di aver di fronte dei sognatori che negli ideali tentano di dare giustificazione a un sogno maledetto che non si avvererà mai.

 Libertà, libertà, libertà, si grida nelle strade, nelle celle, nelle piazze, sui pavimenti imbrattati di sangue.

 Libertà rincorsa come una prostituta, una libertà priva di interdipendenza, di interrelazioni, di consapevolezza di sbagliare, di ferire, di morire. Proprio in questa follia scorgo segnali concreti che sconsigliano il perpetrarsi di queste tragedie, perché l’intorno reale non é quel reale inventato a misura di chi si reinventa guerriero e paladino di una rivoluzione che non può più esistere.

 Oggi quelle masse compatte e simpatizzanti di una giustizia dell’ingiustizia, non sono più ben allineate e intruppate sul campo delle ideologie. Oggi il consenso alla lotta armata è in disuso, é di per sé… fallimentare. A fronte di tanto sangue gettato ai lati delle coscienze, sorprende constatare il vuoto di memoria delle nuove generazioni, certo, una dimenticanza colpevole per un preciso momento storico del nostro paese, della nostra storia recente, anzi recentissima.

 Anche per questa assenza di memoria storica è doppiamente pericolosa la strategia in atto.

 I giovani non conoscono assolutamente il dramma degli anni di piombo, cosa hanno significato quei teatri di guerra in termini di assenze eterne e di paralisi riformistica. Nelle classi, negli oratori, nelle Università, ci sono plotoni e reggimenti di giovani che non sono documentati né hanno voglia di conoscere uno scenario che per loro é sepolto dal benessere e dal successo da conseguire a tutti i costi. Ma forse, proprio in questa osservazione vi é intrinseca la solitudine suicida che attraverserà la recita macabra di qualsiasi fantasma del passato.

 La clessidra dei secoli non s’é fermata, le parole non si riuscirà ancora una volta a piegarle agli slogans, ai concetti di immagine, di contrapposizione ideologica, di dottrine che non hanno più presa né scaltri consumatori.

 L’araba fenice in questo senso non risorgerà.

 Ora e ancora mani armate decantano inni e lodi alla rivoluzione, ora e ancora ci saranno autorappresentazioni, o peggio autocelebrazioni, ma nulla si potrà di allora, nulla si ripeterà di ieri. Soprattutto nulla potrà ovviare alle grandi responsabilità che ci si assumerà nei riguardi dei tanti ragazzi al palo della vita, di tanti coetanei e propri simili con gli sguardi perduti e già stanchi a vent’anni.

 Un mio amico filosofo un giorno mi ha detto; “guai a tradire se stessi e guai a tradire gli altri”.

 Oggi è Pasqua, e proprio perché non è una ricorrenza, gli auguri miei stanno tutti in questa preghiera: non tradite voi stessi, tradendo la possibilità di scegliere di tanti altri.

 Vincenzo Andraous (11 aprile 2004)