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La parafrasi del titolo di una delle più amare commedie pirandelliane è occasione opportuna per una brevissima considerazione su alcuni degli avvenimenti politici e sociali che ci toccano da vicino; ben s’intende che qui non si vogliono trinciare e tranciare giudizi apodittici su alcuni, ma emblematici ,eventi che toccano e turbano l’occasionale lettore della stampa nostrana in genere; l’intento che ci si propone è porre tutti noi di fronte a fatti che interessano, al di là della loro specificità, la coscienza civica di ogni cittadino di questa Repubblica.

Tutti abbiamo letto la notizia relativa alle motivazioni che suffragano le pesanti condanne sanzionate dal tribunale penale di Milano, in merito alla vicenda IMI-SIR; anche se moltissimi non hanno avuto contezza completa delle 500 pagine della suddette motivazioni di cui alla sentenza, in sintesi, questa si basa sulla testimonianza di una teste le cui dichiarazioni non hanno superato, in toto, il vaglio del riscontro obbiettivo, e su di un appunto cartaceo, anonimo, di poche righe, il cui contenuto è stato riscontrato nella sentenza civile di condanna emessa dal tribunale di Roma a favore della SIR.

Ma se i giudici di Milano hanno o meno basato il loro “verdetto” sul principio del “libero convincimento”, è problema che riguarda il giurista; a noi, “quisque de populo”, rimane l’incertezza se quella sia l’unica verità processuale, visto che, a giustificare le condanne, il collegio giudicante si è impegnato in una vasta ed edotta valutazione morale del comportamento degli imputati; ma, ci si chiede, che c’entrano i giudizi morali con la certezza dei fatti? Che forse il codice penale, allorché sanziona comportamenti e pene, aggiunge, nei vari articoli, codicilli etici?

E se la testimonianza della signora Ariosto è sempre stata considerata degna di fede, perché certa stampa giudica calunniose le dichiarazioni di tale Igor Marini, in merito alla vicenda Telekom Serbia ? E perché i giudici di Palermo hanno assolto l’On.le Giulio Andreotti, nonostante la testimonianza a carico di numerosi pentiti di mafia? E perché questi ultimi giudici, quasi a voler giustificare la loro decisione assolutoria, hanno censurato, dal punto di vista storico e morale, il comportamento politico dell’On.le Andreotti durante gli anni ottanta, per poi concludere che quei fatti sfuggivano alla valutazione penale perché prescritti?

E ancora, perché nella vicenda drammatica del caso Tortora, quel procuratore che, con tanto accanimento, ha continuato a giustificare il proprio comportamento processuale, non ha poi avvertito quella resipiscenza coscienziale di ammettere il proprio erroneo convincimento, ancorché sanzionato dal giudice d’appello, ma ha continuato a confermare il proprio atteggiamento, disconoscendo, egli, sul piano dialettico, l’efficacia di un giudicato superiore?

Ed allora, dove sta la verità? Oppure le verità sono tante? Nel qual caso, esse scadono ad opinioni; e se provassimo a garantire il cittadino abolendo questo medievale principio del ” libero convincimento del giudice ” sostituendolo non solo con la prova giuridica che superi il vaglio del ragionevole dubbio, ma, altresì, con la prevalenza della scientificità della prova .

Non è possibile più che le istituzioni repubblicane siano continuamente vilipese dai feroci contrasti politici, che involvono poteri istituzionali e comportamenti economici, mentre una grave crisi economica, che sconvolge lentamente il tessuto sociale, incombe sulla tenuta dell’ordine sociale, il cui futuro immediato è tutt’altro che rassicurante.

A noi cittadini resta la remota speranza che un novello Cincinnato ristabilisca quell’operoso vivere che fu caratteristica della prima età repubblicana dell’antica Roma.

Altrimenti…continueremo a roderci nella vana ricerca dell’unica verità tra le mille che ci vengono proposte, specialmente in tempi di comizi elettorali.

Giuseppe Chiaia (14 Agosto 2003)

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