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Queste riflessioni nascono come conseguenza della pseudorivoluzione politico sociale del lontano 1994. Vista la particolare (anche se cronicizzata) condizione in cui dibattiamo le nostre coscienze, ci è sembrato idoneo tirarlo fuori dai cassetti, “spolverarlo”, arricchirlo e proporlo alla valutazione di chi vorrà dargli uno sguardo. Ci permettiamo di offrirlo alla lettura di chi vorrà, rendendoci conto di proporre una visione un po’ utopica (a partire dall’immagine di copertina. La speranza è che, un po’ alla volta, un certo modo di pensare rientri in un ambito di normalità. D’altronde, l’utopia non è qualcosa che inesorabilmente tende a trasformarsi in realtà?  Costi quel che costi

BUONA LETTURA

Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane, ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiate. Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone, togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace. Liberi, com’eravamo ieri, dei centimetri di libri sotto i piedi… per tirare la maniglia della porta e andare fuori, come Mastroianni tempo fa, come la voce guida della pubblicità: ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già… (Samuele Bersani)

Cari Lettori, è di tutta evidenza il nostro vivere in un momento particolarmente negativo, non solo a causa della pandemia.

La disuguaglianza regna sovrana e l’art. 3 della Costituzione (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali )resta largamente inapplicato.

Se non si rimuovono gli ostacoli che impediscono a molti di vivere con dignità, come potremo dire di essere una Società realmente civile?

Dignità è una parola che risuona spesso in prestigiosi interventi ma se non la si correda di contributi reali, rischia di restare vana parola. Come la libertà che è tale quando è anche e soprattutto libertà dal bisogno, dalla fame, dallo sfruttamento.

Le nostre lamentazioni, i nostri commenti impietosi verso chi, a vario titolo, ricopre cariche politiche non bastano più, non hanno senso, se mai senso hanno avuto.

Basta con commenti da “bar dello sport” di antica memoria, con imprecazioni fini a sé stesse. Dobbiamo scendere in campo e assumerci le nostre responsabilità. Non bisogna accettare passivamente quel che accade né vederlo con fatalità.

La Politica non è una cosa sporca. Se spesso appare tale è anche grazie al nostro disimpegno, alla nostra indifferenza.

Si può parlare di Politica, Morale e Società, cercando di armonizzare i tre elementi, soltanto se ci si riferisce all’elemento fondamentale che è l’essere umano il quale, nel corso della propria vita, fa Politica e vive nella Società sulla base di leggi morali.

Infatti, l’essere umano partecipa alla gestione (fa Politica, quindi) della comunità in cui vive (la Società) sulla base di ciò che si riferisce ai costumi, agli atti, ai pensieri umani, considerati rispetto al bene e al male (questa è la Morale).

Se ti disperi perché non puoi vedere la luna, non piangere, altrimenti le lacrime ti impediranno di vedere finanche le stelle!”. (Cit.)

L’essere umano:

  • si è trovato da sempre nella necessità di appagare dei bisogni, a cominciare da quelli indispensabili fino a quelli che gli consentono di sviluppare la propria identità correttamente (cioè essere in grado di capire se stesso) e, quindi potere immaginare di desideri di maggiore realizzazione;
  • ha lavorato e sofferto per conquistare sistemi di vita adeguati alle proprie necessità.

Perché l’obiettivo sia raggiunto, bisogna conoscere a fondo chi siamo e consapevolizzare ciò di cui abbiamo, realmente, bisogno per vivere e non, semplicemente, sopravvivere.

Per fare questo, abbiamo due possibilità: chiedere se in giro c’è qualcuno in grado di indicarci la strada giusta da percorrere, oppure cercarla da soli.

Nel secondo caso, bisogna dirigere la propria attenzione e il meglio delle proprie capacità, nell’osservazione della Natura (e delle sue leggi fondamentali). Che poi, è come dire… cercare di capire qual è il senso da dare alla propria vita per non avere la percezione di girare a vuoto “senza” senso.

Come mai è possibile affermare una cosa simile? Perché, chi ci ha creato, ha voluto che fossimo a sua immagine e somiglianza!

Gli esseri umani, possono essere considerati:

  1. Uguali (nei costituenti sub atomici)
  2. Simili (nei bisogni e nei desideri)
  3. Diversi (nelle elaborazioni di pensiero).

Infatti, “energeticamente siamo tutti uguali”, in quanto costituiti da particelle elementari (i quark, per esempio) e, di conseguenza, sottoposti alle stesse regole, portandoci in dote una immensa forza potenziale: la stessa da cui, attraverso il Big Bang, si è formato l’intero Universo.

“Siamo simili nei bisogni” perché ognuno di noi, per sopravvivere (innanzitutto) e migliorarsi in seguito (realizzandosi con se stesso e nella Società), deve appagare una serie di esigenze “standardizzate”, che la Natura ci mette di fronte.

Non siamo uguali nei bisogni ma soltanto simili perché non tutti gli esseri umani sono messi nelle condizioni di conoscerli, per poterli appagare.

“Siamo diversi nelle elaborazioni dei pensieri” perché, all’interno della nostra mente, esiste tutto un mondo fatto di ingranaggi che “girano” per ogni essere umano, in maniera diversa, determinando strategie funzionali proprie di ciascuno.

Tale diversità, è il risultato dell’esperienza di vita e delle relative e conseguenti “capitalizzazioni”, più che di codificazioni genetiche.

Dopo tutto ciò, non è difficile capire come mai, in effetti, siamo uguali a chi ci ha creato: siamo energia, così come tutto l’Universo, d’altronde.

Ed è per questo che, studiando la Natura e le leggi che la governano, noi possiamo trovare molte risposte ai tanti interrogativi che, fin dalla comparsa dei primi pensatori, ci siamo posti, in quanto pensatori.

“Odio gli indifferenti – ha scritto Gramsci – l’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.

Il male è pertanto legato all’indifferenza, all’assenteismo di molti.

Riteniamo che la strada migliore consista nel determinare il nostro miglioramento, attraverso la conoscenza, innanzitutto per utilizzare apprendimenti corretti in favore sia del singolo che della collettività, al fine di far vivere meglio la propria realtà umana all’interno della Società secondo leggi morali se, per morale, intendiamo “il prodotto della efficienza migliore degli esseri umani finalizzata alla convivenza in un rapporto di scambio corretto”.

C’è chi paragona la politica ad un ranch dove, per fare un buon lavoro, bisogna necessariamente sporcarsi le mani!

Infatti, i risultati sono sotto gli occhi di tutti!

L’impegno della politica e dei politici (i quali sono essere umani e quindi hanno necessità di conoscersi, ciascuno per se stesso, per essere quello di cui tutti noi abbiamo bisogno), “deve” essere quello di uscire da uno stato di freddo morale e conquistare posizioni più alte sul piano sociale per far sì che non esista una disarmonica distribuzione di risorse, fisiche e mentali.

D’altra parte la società è così articolata che non c’è solo l’impegno politico diretto, cui si arriva tramite meccanismi spesso criticabili. Ci sono tanti modi per associarsi e far sentire la propria voce per aiutare la crescita civile e la riduzione delle disuguaglianze sociali.

Dobbiamo mettere da parte lo scetticismo e riscoprire la passione dell’impegno sociale da esplicare nei tantissimi modi che la Costituzione consente.

La Democrazia è un modo organizzativo della Società che consente più di ogni altro regime la partecipazione dei cittadini a dare il contributo per il bene comune.

Nel 1902, Papa Leone XIII proprio mentre rigettava e sconfessava il materialismo, non poteva fare a meno di soffermarsi su una più avveduta giustizia sociale, su un giusto riconoscimento da assegnare al lavoro ed ai lavoratori, per rendere possibile il determinarsi di un fraterno sentimento di intesa dal momento che, per sua natura, l’essere umano è proprio a ciascuno, ma simile a tutti.

Ciascuno di noi quindi, nel rispetto di se stesso e degli altri, deve contribuire a migliorare la Società, se opportunamente preparato.

La democrazia, ha scritto Bobbio in pagine memorabili, é una forma di governo che consente, a livelli alti, l’incontro tra etica e politica.

La divisione dei poteri, quando è proficuamente funzionante, consente di dar valore all’agire politico che, se fatto in nome e per conto dei cittadini tutti, non può non avere un respiro etico. Il fine della politica è la ricerca del bene comune e pone come impegno inderogabile il tentativo appassionato di risolvere problemi per contribuire a rendere sempre più vivibile l’esistenza di tutti.

Per questo bisogna vigilare con tutti i canali democratici a disposizione affinché la gestione del potere sia sempre democraticamente controllabile e risponda a inderogabili codici etici.

Se manca la Morale, infatti, la politica diventa mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza a operatività pericolose per l’avvenire stesso della umanità.

Non bisogna, d’altronde, dimenticare che la vigilanza “obbliga” chi ha responsabilità politiche a ben comportarsi, perché, quando i poteri sono tutti ben funzionanti, ognuno è un controllore a sua volta controllato.

Questo lavoro dà risultati migliori quando, nelle varie tornate elettorali, i cittadini scelgono persone moralmente valide e competenti, in grado di ben fare ed operare.

Bisogna dare fiducia a elementi che abbiano una buona dose di “disinteresse” e amino la ricerca del bene comune.

Come si migliora la Società?

Sembra ovvio ma, a distanza di millenni da quando si è arrivati a capirlo, ancora non si è trovata una risposta più adeguata… e cioè: “costruendo ciò che manca, cominciando dal singolo”.

Ognuno di noi necessita di conoscere il motivo per cui utilizza se stesso e il proprio tempo vitale. Questo significa avere una buona comunicazione con se stessi, anzitutto (cioè un corretto sviluppo della propria identità), altrimenti si vive sempre “col coltello nella schiena”, in allarme continuo, in crisi perenne.

Bisogna necessariamente ricondurre tutto alla migliore conoscenza dell’essere umano, perché:

  • La Società è l’insieme di tanti esseri umani.
  • La Morale è il prodotto della migliore efficienza espressa dagli esseri umani per convivere in una dimensione di equidistanza rispetto al positivo e al negativo.
  • La Politica è la gestione della conduzione degli esseri umani nella Società. Da qui la necessità di migliorare gli esseri umani, il che porta, logicamente, allo sviluppo positivo della Società attraverso una politica che tenga conto anche delle indicazioni morali.

La Politica, può essere vista come un tentativo di dialogo nelle leggi sociali, che miri a creare le condizioni necessarie indispensabili, affinché i cittadini vengano messi in grado di capire come appagare ciò di cui hanno bisogno.

Questo non è facile; infatti si dice che: “se fai credere a qualcuno che egli pensa, ti sarà riconoscente; se lo indurrai a pensare, ti avverserà!”

Però è pur vero che la migliore garanzia di sviluppo, poggia sugli sforzi che tutti compiono, dopo aver ricevuto gli apprendimenti necessari, ciascuno al proprio livello.

C’è bisogno di educatori che ci insegnino a godere di interagenze pacifiche, ad avere consapevolezza del proprio spazio vitale per poterlo difendere dagli insulti di chi ci vuole prevaricare. C’è bisogno di “cervelli” che ci mostrino come assaporare uno scambio di opinioni e di servizi. Abbiamo ” fame ” di professionisti che ci insegnino a gustare una comunicazione fatta anche , in alcuni momenti , di silenzio, di solitudine per riflettere e “ritrovare” se stessi.

La Politica, a certe condizioni, può addirittura essere vista come un atto d’amore per la collettività, col quale non si separa la ragione morale dalla ragione politica.

Bisogna saper individuare i bisogni reali della gente, tenendo presente che il lavoro è la condizione necessaria perché ogni persona possa avere Dignità.

Buoni politici non si nasce ma lo si diventa in base ai valori su cui si poggia.

Una politica mirante ad ottenere una Società migliore, deve avere come obiettivo quello di aiutarci a crescere rendendoci indipendenti, in grado cioè, di verificare i messaggi che ci vengono trasmessi.

Questo conduce alla convivenza pacifica in un consorzio umano che lavori compatto per il benessere di se stesso, così come la Psiche e il Corpo, insieme, “collaborano” per il mantenimento della nostra salute globale.

Parafrasando un concetto di Elio Vittorini nel suo libro “Uomini e no”, potremmo dire che la conoscenza dei requisiti per lo sviluppo e la maturazione della Società, rappresenta un patrimonio che non è dell’uno soltanto ma dell’uno e di tutti; “un tale inestimabile valore deve costituire un momento di unità fra tutti, un’occasione di stare insieme, vivere insieme (ognuno nel rispetto dell’altrui spazio vitale), insieme lavorare e credere nell’avvenire”.

Nello sviluppo e nella valorizzazione delle risorse umane, si può determinare un essere umano migliore, per una società migliore sulla base di una migliore morale.

Come già espresso in un altro articolo, una persona che mostra di saper pensare e che risponde al nome di Antonio Chiaia (per i più intimi, familiarmente “Totino”) ci ha fatto omaggio di una interessante riflessione elaborata da un padre seminarista e che riguarda la vicenda di Lazzaro, dal vangelo di Giovanni.

Gesù dice alle sorelle: “Scioglietelo e lasciatelo andare” (v.44).

Noi possiamo leggere questa semplice frase come una frase magica di Gesù. Ma possiamo leggerla più in profondità come qualcosa che riguarda anche la nostra vita. E’ chiaro che Lazzaro è paralizzato dalle sorelle, da queste donne che lo soffocano, che gli impediscono di vivere, che gli tolgono l’aria, tutto lo spazio: sono delle donne dilaganti. Donne che prese dai loro problemi “mangiano” anche tutto lo spazio di Lazzaro. Quando esce, dice il vangelo, è avvolto da bende: e cosa sono le bende se non tutte quelle relazioni, quei rapporti che lo ingabbiano, lo legano, lo soffocano, lo stringono fino ad ucciderlo? I piedi sono la strada, l’andare, il camminare: Lazzaro non aveva nessuna autonomia, era succube nel suo andare, legato, non aveva nessuna possibilità di scelta. Le mani sono il nostro fare, il nostro produrre, la nostra creatività. Lazzaro è soffocato, legato, si trova immerso in una situazione dove non sa fare o non può fare nulla, non c’è spazio di movimento, di manovra e di libertà per lui; non può emergere ciò che vorrebbe fare, diventare; non può esprimersi, tutto è già deciso. Il volto è l’identità di una persona. Lazzaro non ha volto, è nessuno, non sa chi è, non si conosce. Che Lazzaro ci sia oppure non ci sia è la stessa cosa, perché nessuno lo vede, a nessuno interessa il suo volto. Lazzaro è av-volto. E’ chiaro che Marta e Maria si sono “mangiate” il loro fratello, e Lazzaro non trovando una sua fisionomia, soffocato, muore. Poi depongono Lazzaro in un sepolcro e vi rotolano una pietra sopra: si sbarazzano del morto.

L’insegnamento che si può trarre da questa parabola, è che Lazzaro rappresenta l’umanità intera. Tutti noi dobbiamo camminare, per andare avanti, progredire, perché ogni essere umano ha il diritto (che al tempo stesso diventa un dovere), di realizzare tutto quello che può esprimere, non quello che gli altri credono che si debba fare.

Solo chi lavora può organizzare decorosamente la propria esistenza e vivere in “social catena”.

Chi non è tenuto in condizioni di mortificante disagio può aprirsi agli altri, può “parlare” con gli altri, senza chiudersi nel proprio scontento, accumulando rabbia e rancore.

Ridurre drasticamente, con coraggiose scelte politiche e sociali, le disuguaglianze presenti nella società odierna è un obiettivo non più rinviabile.

Non possono esserci, in uno stato che ha una Costituzione avanzata come la nostra, più squilibri che favoriscono alcune categorie a sfavore di molti.

Impegniamoci tutti perché il venticello della vicina primavera porti anche un operativo agire e consenta a tutti di guardare con fiducia e con un sia pur cauto ottimismo al futuro.

L’appartenenza, non è lo sforzo di un civile stare insieme; non è il conforto di un normale voler bene. L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. L’appartenenza, non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione: l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Uomini, uomini del mio passato, che avete la misura del dovere e il senso collettivo dell’amore, io non pretendo di sembrarvi amico. Mi piace immaginare la forza di un culto così antico… e questa strada non sarebbe disperata se in ogni uomo ci fosse un po’ della mia vita. Ma piano piano, il mio destino é andare sempre più verso me stesso… e non trovar nessuno! L’appartenenza è un’esigenza che si avverte a poco a poco, si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo: è quella forza che prepara al grande salto decisivo, che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti in cui ti senti ancora vivo. Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire “NOI”. (G. Gaber)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per avere suggerito molti degli interessanti aforismi inseriti nell’articolo.

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