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Dai giornali:“Napoli è il terzo mondo d’Europa: il reportage di Le Figaro fa discutere. Città affogata dai debiti e dal problema della Camorra.” 

 Questo giudizio ha mandato in bestia molti napoletani, che hanno difeso a spada tratta le bellezze, la filosofia della vita, lo spirito artistico partenopei. Qualcuno ha tirato in ballo anche il nostro glorioso bidet, poco diffuso in Francia… 

Napoli, terzo mondo? Purtroppo, per certi aspetti, si’. 

Non molti giorni prima del reportage del quotidiano francese, in un articolo dedicato all’Afghanistan scrivevo:“Anche noi abbiamo il nostro terzo mondo. A Napoli vi sono il Vasto, il Rione Sanità… A Palermo: Zen, Brancaccio… Sarebbe ora di combattere sul serio contro i nostri talebani e cercare di bonificare il nostro terzo mondo invece di voler fare i missionari armati all’estero.” 

Cosa dire di Napoli che non sia stato già detto? Su poche città al mondo si riversa da secoli un flusso così intenso di amore e di voci e di sentimenti come avviene per la nostra “Napoli-Partenope”, città-mondo, luogo fisico, luogo mitico, luogo dell’anima. Che si pensi solo alle canzoni… 

Napoli è la città che è rimasta legata più di ogni altra al passato. Nei dialoghi del “Decamerone”, film di Pasolini, è utilizzato il dialetto napoletano.“Ho scelto Napoli”, disse Pasolini,“perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quelli che erano e, così, di lasciarsi morire”. 

È l’idea del corpo mitico che tutto assorbe. Se si vive a Napoli si finisce col diventare napoletani… 

In questa ex capitale del Regno delle Due Sicilie si aggirano i fantasmi di un passato glorioso, fatto di bellezze, grande umanità, ingegno, nobili sentimenti, programmi, speranze, attese che hanno dato luogo ad un’idealizzazione intrisa del rimpianto per ciò che fu, o – diranno gli scettici – per ciò che sarebbe potuto e dovuto essere ma in realtà mai fu. Fantasmi che danno vita alla speranza di un riscatto, che forse mai avverrà… 

Antonio Ghirelli è crudo:“La società napoletana è il risultato di tremila anni di storia locale presa nei riflessi dei grandi scontri di dominazioni opposte, dai Greci di Cuma agli Americani.” E di queste dominazioni non restano che “labili e vane tracce, niente altro che echi perduti”. 

Io ho vissuto a Napoli, città che amo profondamente. Soprattutto per una sua dimensione particolarissima che credevo immaginata, inventata da me, ma che so che esiste. Esiste come aspirazione di bellezza, di generosità, di umanità, di perfezione. Napoli dopo tutto non è tanto una realtà ma un’aspirazione, una nostalgia, un desiderio, un qualcosa di migliore di noi che però abbiamo interiorizzato e che è divenuto, definitivamente, “noi”. E noi stessi siamo diventati migliori. 

 I tanti personaggi che Napoli ha dato, e che non cito neppure parzialmente perché la lista sarebbe troppo lunga, spiegano questa personificazione di Napoli che assurge a entità vivente: città-persona e corpo mistico fatto di ricordi, leggende, racconti, aneddoti, pagine storiche. 

La personificazione di Napoli raggiunge un livello sconosciuto ad altre città pur dal grande passato: Napoli è stata tradita dagli uomini, è un tema ricorrente, quasi che Napoli fosse una creatura vivente, alle cui speranze gli uomini sono venuti meno. 

Non credo esista un’altra città cui si attribuiscano meriti e sentimenti come avviene per Napoli. La stessa Parigi, oggetto di innumerevoli canzoni d’amore, non ha raggiunto il livello di questa umanizzazione che a noi che amiamo Napoli giunge istintiva. 

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Claudio Antonelli – Giornalista, Scrittore (Montréal) 

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