Pubblicato su Lo SciacquaLingua
Due parole, due, sulle scarpe. La scarpa, usiamo il singolare, non è voce schiettamente italiana, sembra sia arrivata a noi dal germanico ‘skarpa’ (tasca di pelle, sacca di pelle).Le scarpe, infatti, a ben vedere, non sono una tasca in cui si infilano i piedi? Queste tasche hanno dato origine a molti modi di dire; citiamo i più comuni: non essere degno di lustrare le scarpe a qualcuno, vale a dire essere inferiore; rimetterci anche le scarpe, rovinarsi economicamente; mettere le scarpe al sole, morire di morte violenta (e improvvisa); essere una scarpa vecchia, essere, cioè, una persona considerata inutile; fare le scarpe (fingersi amico di qualcuno per “rubargli” il posto che occupa); avere le scarpe che ridono, ossia scucite.
Quest’ultimo modo di dire, forse poco conosciuto, si spiega con il fatto che quando si cammina con le scarpe scucite il movimento del piede solleva la tomaia (la parte superiore della scarpa) dalla suola e le scarpe, quindi, sembrano… ridere.
A cura di Fausto Raso
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.