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Se ripenso al giorno in cui ti ho conosciuto è impossibile non ricordare il tuo volto, le tue gambe larghe, le mani in tasca, stavi lì piantato davanti a me e ai tuoi compagni, a ben pensarci un passo avanti a tutti.

No, non era casuale.

Tra me e me mi sono detto: ecco un’anima inquieta, di quelle che sanno tutto del mondo e di ciò che sta dietro l’angolo, di quelle che non hanno bisogno di nessuno, perché i problemi se li risolvono da se.

Mi hai squadrato per bene, come a volermi dire: “E tu che vuoi, chi sei, che cerchi da queste parti?”

Ero lì perché il mio amico don, mi aveva chiamato per svolgere qualche incontro, per rappresentare un testo teatrale, per fare due chiacchiere con la parte più giovane che mi ha attraversato e che soprattutto mai più ritorna.

Ascoltavo le tue scorribande, osservavo la tua mimica, mi rammentavi gli errori, le scelte sbagliate, quando anch’io ero inquieto, un’anima ribelle, che non voleva più niente, più nessuno, volevo godermi la vita, così come veniva.

La sera c’è stata la rappresentazione teatrale, seguita dall’incontro, le tante domande, i silenzi più rotondi di qualsiasi perfetta comprensione.

“Ah tu sei Vince? Ma quanti anni hai, da quanto sei ritornato in libertà?”

Una sequela di interrogativi sparati come certezze risapute, conosciute, quasi riducendo tutto a qualcosa di banale.

Mi ricordo eccome di te, di me come ero prima di incontrare te.

Talmente bene che mi sono sentito in dovere di tacere e ascoltarti, consapevole del rischio dell’impatto in cui andavi incontro, quando quasi gridando mi dicevi che è meglio non fidarsi mai di nessuno perché tutti ti fregano, meglio fai da te e fai per tre.

Mi veniva su dalla pancia una rabbia da fare paura, perché era una sorta di copia-incolla visto troppe volte, per le persone sbagliate incontrate, per la convinzione che è sempre colpa di qualcun altro, mentre più semplicemente il vero problema sei tu.

Tu in attesa del botto, della battaglia, del salto nel buio, tu che scommetti con la morte, ma lei vince sempre e non lo sai.

Non so perché ma quel giorno sono ritornato a casa con l’amaro in bocca, non riuscivo a darmi pace, mi domandavo se tu eri il risultato di una rappresentazione della realtà criminale in quanto tale o dalla spettacolarità del modo in cui essa è rappresentata.

Ecco allora l’emulazione, la fascinazione del male, avevo di fronte a me, il maledetto per vocazione, ma anche quello che è convinto che mal che vada, è tutto un gioco alla play station, si resetta e si ritorna da capo. Invece non è stato così.

Mi ricordo, eccome, di te!

Vincenzo Andraous

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