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Coloro che desiderano la pace dell’anima e la felicità, devono credere e abbracciare la fede; quelli che, invece, desiderano perseguire il vero, debbono abbandonare la pace mentale per dedicarsi alla ricerca…” (F. Nietzsche). 

Ogni persona, consapevolmente o meno, spende il suo tempo cercando di dargli un senso.

E allora, proviamo a pensare a quanto siamo, veramente, liberi, dal momento che, per trovare il bandolo di una maledetta matassa, ci arrabattiamo provando, in realtà, ad occuparci d’altro…

Quanti di noi si trovano nella condizione di chi ha la possibilità di agire senza essere soggetto all’autorità o al dominio altrui, riuscendo a trarne godimento? E inoltre, siamo in grado di discernere il vero dal falso, riuscendo a dare conformità alla realtà delle cose e dei fatti?

E allora, le teste che cadono sotto le lame di gente senza testa, i proclami di cambiamento  che “fanno tremar le vene e i polsi”, i raid aerei militari, i ricchi che pagano chi gli sfoglia il giornale (per non colorarsi le dita d’ìnchiostro…) e i tanti che si spengono, privi di pane e di amore…sono le contraddizioni del nostro tempo, che traumatizzano chi vuole capire… 

Cosa stiamo vivendo? 

Un film dell’orrore senza sceneggiatura. Un film d’azione dove, i protagonisti, improvvisano scene eclatanti

Siamo spettatori di scene di tragica e inutile violenza, prevaricazione e sopraffazione: economica, fisica e psicologica. Gli aguzzini sanno spettacolarizzare la guerra ovunque ci sia la parvenza di una richiesta di (anche relativa) libertà di pensiero, con una ferocia che non si ferma più nemmeno davanti alle telecamere dei giornalisti…

Ed è ancor peggio quando, questa guerra, viene combattuta in (apparente) democrazia generando destabilizzazioni sociali e politiche adducendo di agire nel bene del popolo. Che, poi, sarebbe come quell’ascia che vuole convincere gli alberi della foresta a fidarsi di lei dal momento che il suo manico è di legno e, quindi, possono considerarla “tranquillamente”, una di loro…

Ognuno brucia la sua vita e soffre per il desiderio del futuro, per il disgusto del presente. Ma chi sfrutta per sé ogni ora, chi gestisce tutti i giorni come una vita, non desidera il domani né lo teme. Non c’è ora che possa apportare una nuova specie di piacere. Tutto è già noto, tutto goduto a sazietà. Del resto la sorte disponga come vorrà: la vita è già al sicuro. (Seneca – De brevitate vitae)

E noi?

Noi abbiamo imparato ad attivare l’ortosimpatico (quella parte di sistema nervoso che prepara allo stress) per sentirci, paradossalmente, vivi, solo di fronte a simili storture con un conflittuale impasto di irritazione mista ad angoscia.

Alla nostra vita si può aggiungere ma non togliere. E aggiungere come del cibo a uno già sazio e pieno che non ne ha più la voglia ma ancora la capienza. Non c’è dunque motivo di credere che uno sia vissuto a lungo perché ha i capelli bianchi o le rughe: non è vissuto a lungo, ma è stato al mondo a lungo. Come credere che ha molto navigato chi la tempesta ha sorpreso all’uscita del porto menandolo qua e là in un turbine di venti opposti e facendolo girare in tondo entro lo stesso spazio. Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto. (Seneca, De brevitate vitae)

La nostra debolezza, forse, consiste nella ricerca di qualcuno che ci riporti nel lago del tranquillo narcisismo primario quando, abbracciati alla mamma, sembrava che nulla potesse turbare la nostra pace assoluta.

Tutto questo, però, Dante Alighieri la definiva “ignavia” e, ai giorni nostri, diventa, totale mancanza di dignità.

Se guardiamo all’Italia, per esempio, non posiamo non dolerci del fatto che negli ultimi decenni, abbiamo sepolto i nostri ideali, nel senso che abbiamo accettato passivamente qualunque credo, politico, economico, sociale, etc.

Di conseguenza, all’estero, si sono convinti che Santi, eroi, navigatori e poeti, abbiano lasciato il posto ad una paccottiglia inconsistente di malaffare “alla casereccia”.

E’ come dire che abitare in Calabria (ma anche, in Campania, in Sicilia, nel Lazio, in Lombardia…), significhi vivere in una regione retta, “esclusivamente”, dalla delinquenza.

Corrado Augias docet…

Il pregiudizio di paragonare, ancora oggi, ad esempio, gli spaghetti italiani all’immagine più deleteria di quello che rappresentiamo (Mammasantissima & Co.), svilisce la nostra identità: cioè, il rapporto con noi stessi, oltre che quello con la realtà circostante.

In Campania ci si “tatua”, indelebilmente, con i fumi della stupidità e dell’ignoranza, a Roma si beve acqua all’arsenico, in Calabria ci si fa il bagno in un mare dove “dormono” relitti radioattivi…

L’uomo, talvolta, crede di essere stato creato per dominare, per dirigere. Ma si sbaglia. Egli è solamente parte del tutto. La sua funzione non è quella di sfruttare, bensì di sorvegliare, di essere un amministratore. L’uomo non ha nè potere, nè privilegi. Ha solamente responsabilità” (Oren Lyons, Onondaga)

Ecco, io, di fronte a questi spaccati di realtà avverto uno stato d’animo simile a quello che ha spinto Jung a scrivere che ci sono tante cose che riempiono la vita (le piante, gli animali il giorno e la notte e l’eterno, nell’uomo): come lui, quanto più mi sento incerto di me stesso tanto più si sviluppa, in me, un senso di affinità con tutte le cose.

Cari Lettori, come sosteneva Umberto Eco, c’è una sola cosa che si scrive esclusivamente per se stessi: la lista della spesa. Serve a ricordarti che cosa devi comperare e, subito dopo, puoi distruggerla perché non ha più alcun valore. Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa, sperando che venga ascoltata…

Il mio  Amico Enzo Ferraro (persona di grande cultura, da cui ho capito l’esempio dell’ascia) ha detto di me che, nel tunnel di ognuno, sarei in grado di aiutare a trovare un poco di luce che potrà essere l’inizio di un chiarore energetico…

Io non so se merito una simile considerazione ma partendo dalla suggestiva immagine di copertina, mi rivedo nell’adolescente che, attraverso la “scoperta”, riesce generare nuovi mondi di idee e aspettative trasformando se stessa in continuazione così come vuole la simbologia della farfalla, la quale rappresenta la rinascita spirituale, la creatività, l e l’abilità di sperimentare le meraviglie della vita…

Come ho avuto modo di scrivere altre volte, anche se è vero che, nelle speranze deluse e nel pianto di chi resta, nudo, di fronte al freddo dell’assenza morale un Dio muore e che, nel dolore di chi non può curare il proprio figlio un Dio, probabilmente, neanche nasce, è ancor più vero che, nella voglia di riscatto un Dio risorge e, soprattutto, nel Mondo che faremo, un Dio (ri)nascerà. 

Con Amore.

E, questo, è un dovere di tutti.

Quello che il bruco, infatti, chiama “fine del Mondo”, il resto del Mondo, lo chiama Farfalla! (Laozi)

Giorgio Marchese – Direttore La Strad@

Ringrazio l’amica Rosa Mannetta (docente, giornalista e poetessa), con cui ho realizzato la prima stesura di questo editoriale nel lontano 19 settembre 2014

Un abbraccio affettuoso anche ad Amedeo Occhiuto per la certosina ricerca degli  aforismi proposti

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