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La vita non può consistere nel solo resistere perché non avrebbe senso; continuare a resistere ha senso solo se abbiamo un obiettivo da raggiungere. Pensiamo ad un soldato solo, accerchiato, che resiste dietro la sua trincea; prima o poi si lascerà andare perché sa che potrà resistere ma non potrà fare altro e, quindi, prima o poi cederà e si farà colpire.

Non basta, quindi, solo resistere; bisogna dare un senso a ciò perché tutti, chi più chi meno, resistiamo. A cosa? Agli urti della vita nelle varie forme in cui si manifestano; ma se non abbiamo un obiettivo prima o poi molleremo perché ci sarà talmente evidente l’inutilità della resistenza che non troveremo ragione alcuna per continuare. E’ bene, peraltro, che il nostro obiettivo lo scriviamo e lo teniamo sempre presente perché, nei momenti più duri, quando la tentazione di mollare sarà più forte del solito, potremo osservarlo e trarne la nostra motivazione per andare avanti.

Non c’è, poi, da spaventarsi o da meravigliarsi se ci verrà voglia di mollare; è normale perché il percorso è difficile e, quindi, anche lo scoraggiamento è “previsto”; non saremo i primi né gli ultimi a sperimentare questo stato d’animo. Basta osservare la velocità che ci impone la contemporaneità cioè i ritmi frenetici che siamo costretti a tenere per rimanere al passo con gli altri e che peraltro tutti, più o meno, mal tolleriamo. Ci sarebbe, peraltro, da chiedersi: chi li ha stabiliti?

C’è, poi, da osservare che ci sono vari modi per mollare; per arrendersi, infatti, non è necessario togliersi la vita basta far finta di vivere oppure ammalarsi oppure limitarsi a sopravvivere come un vegetale. Quando si spegne quella luce che ci illumina lo sguardo questo significa che stiamo mollando e non va bene perché ognuno di noi ha un potenziale immenso dentro di sé ed anche se nel corso di una intera esistenza riuscirà a metterne a frutto una minima parte già solo per questo vale la pena di impegnarsi per portare avanti il nostro progetto.

E se un progetto non lo abbiamo o meglio ci sentiamo confusi e non sappiamo ancora cosa vogliamo fare, cosa vogliamo diventare e come farlo? Anche questo fa parte del “gioco”: lo scopriremo solo vivendo. L’importante è vivere mentre lo scopriamo perché il tempo è troppo prezioso per poterlo sprecare e quello passato non si recupera quindi possiamo solo evitare di perderne dell’altro. Allora è importante durante il percorso – l’intero percorso sia quello che ci porta a scoprire cosa faremo e cosa diventeremo sia quello che ci porta verso il nostro obiettivo – osservare tutto e godere delle nostre conquiste così anche se i troppi ostacoli e gli imprevisti non ci consentiranno di raggiungere il nostro obiettivo nel frattempo potremmo dire di avere vissuto comunque.

Alla fine, quindi, è imprescindibile avere un progetto per essere motivati a superare gli ostacoli che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada ma la vera vita si svolge durante il percorso per raggiungere la meta e non dopo che vi si è giunti perché in realtà non c’è una meta definitiva cioè un risultato raggiunto il quale potremmo dirci arrivati. Questo è il bello ed il brutto dell’essere umano perché siamo programmati per evolvere di continuo, quindi, non ci è consentito fermarci per cui passiamo dal raggiungimento di un obiettivo all’altro e, pertanto, la vera vita è nel mentre.

Durante il percorso, tra l’altro, dovremo anche convivere con la paura di non farcela, con il senso di inadeguatezza ma anche questo fa parte del “gioco”; è una sensazione frequente e comune perché, del resto, è solo sperimentando le nostre capacità che ci rendiamo conto che ce la facciamo ma le difficoltà ci sono.

Cadiamo e cadremo più e più volte: l’importante è rialzarsi; sbagliamo e sbaglieremo: l’importante è accettare le conseguenze del nostro errore e migliorare noi stessi imparando dagli errori commessi, accettare che sbagliare è normale quando si fa esperienza, che senza l’esperienza non si cresce e, quindi, che è impossibile evolvere senza fare esperienze e senza sbagliare. Tutto ciò può essere difficile da accettare ma chi ha detto che il percorso sia facile?

E’ chiaro che il viaggio sarà più gradevole se si accompagneranno a noi belle persone ma anche da soli non sarebbe corretto nei confronti di noi stessi rinunciare al nostro percorso. E poi se ognuno di noi riuscisse realmente a godere della compagnia di se stesso, potrebbe dirsi solo? Ed ancora il fatto di non avere un/a compagno/a, dei figli, una famiglia oppure di non avere un buon rapporto con essa significa davvero essere soli? Perché non potremmo trovare sorelle, fratelli, figli in persone con sui non abbiamo alcun legame di sangue ma che condividono con noi lo stesso percorso e sono sulla nostra stessa lunghezza d’onda?

Buon viaggio a tutti noi.

Stefania Giampà – Avvocato, Docente, Counselor – 13 luglio 2012

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