Posted on

“Un essere umano è parte di un intero chiamato Universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una specie di prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione attraverso l’allargamento del nostro circolo di conoscenza e di comprensione, sino a includere tutte le creature viventi e l’interezza della natura nella sua bellezza” (Albert Einstein). 

Questa è la storia di Blanco, un cane pastore, un maremmano che, dopo anni di onorata carriera nella difesa delle greggi dagli attacchi dei lupi, ha contratto la scabbia: una parassitosi cutanea che, di solito si cura senza troppi problemi. Non è stato così per lui che, invece, viene scacciato perché fonte di contagio. Un’Amministrazione Comunale, impietosita dalle sue condizioni disperate, gli “offre” un’appetitosa polpetta, condita al cianuro. Così, tanto per non farlo soffrire. E invece Blanco guarisce. Forse perché quel veleno, costituisce una base officinale che si trova, in tracce, nelle preparazioni galeniche contro gli acari della pelle… o forse perché incontra Italo, un maestro elementare in sintonia con l’Universo. E, fra i due, nasce una grande amicizia, fatta di sguardi, di giochi, di intese e difese. 

Questa è la storia di un’auto sportiva “old stile”, di quelle che non ne fanno più: un po’ scomoda e rumorosa; una di quelle che “da casello a casello” ti toglieva il respiro… e senza tutta la tecnologia che rende più semplice i viaggi delle auto di oggi. Ma, anche, meno affascinante.

Questa è la storia di un chicco di caffè che, una volta viaggiava dal Sudamerica per allietare i palati di chi sapeva aspettare il tempo giusto: quello necessario per tostarlo fino al color “manto di monaco”, macinarlo a mano e inserirlo, in polvere, in una capsula che, investita di acqua bollente, riusciva ad estrarne il meglio dell’aroma. Oggi, con 50 centesimi, un apposito erogatore ti riempie il bicchierino (di plastica) senza neanche l’impiccio di dover aggiungere lo zucchero.

“La vostra visione apparirà più chiara solo quando guarderete nel vostro animo. Chi guarda l’esterno sogna; chi guarda all’interno si sveglia” (Karl Gustav Jung)

Cari lettori, provando ad andare oltre l’incipit, impegnando un po’ del tempo a nostra disposizione, riusciremmo, sicuramente, ad immaginare il resto delle storie e, addirittura, scopriremmo il loro punto di intersezione.

Vedremmo, per esempioBlanco ed Italo correre felici su per i pendii di quelle montagne che ti fanno sentire piccolo piccolo, alla stregua dei pastori del presepe che colorano le scenografie di micromondi in cui ci siamo persi, con la speranza di diventare più buoni… almeno il giorno di Natale!

Ci lasceremmo andare nel riassaporare momenti di epica nostalgia, quando l’automobile (alla stregua del cavallo di westerniana memoria) rappresentava (col suo “cavallino”, “tridente” o “quadrifoglio”) un simbolo di libertà, da condurre coi guanti, il cappello e gli occhialini… così da farsi avvolgere da quello spirito animistico che le “macchine” di oggi, non ti possono donare!

Ci soffermeremmo, come al culmine di una preghiera, a sentire il gorgoglio di quell’orgasmo che scaturisce dall’incontro fra un liquido (il caffè) e un gas (l’aria circostante) in grado di generare un aroma unico e, quindi inconfondibile, che lascia, nel tempo, il segno della sua presenza.

Cari lettori, credo sia chiaro che, ciò che accomuna le tre storie, altro non è che il fattore Tempo.

“Alla gioventù si rimprovera spesso di credere sempre che il mondo cominci solo con essa. Ma la vecchiaia crede, ancor più spesso, che il mondo cessi con lei. Cos’è peggio?” (Friedrich Hebbel)

Ogni conquista, spesso, ci dona una maggiore quantità di quell’unità di misura all’interno della quale accadono gli eventi e che, appunto, si chiama Tempo.

La domanda è: “Per farci cosa?”

Tutto ciò che, una volta richiedeva tempo per essere realizzata, ci impegnava e, soprattutto se fonte di fatica, una volta raggiunto l’obiettivo, ci rendeva felici.

Perché?

Perché il segreto della vita, in fondo, è racchiuso nel bisogno di realizzare quello che ci piace e che, soprattutto, riteniamo interessante dopo aver impiegato parte irreversibile della nostra esistenza, a capirne l’importanza.

Per cui, più velocemente raggiungiamo un obiettivo, più difficilmente riusciremo a rispondere alla domanda: “E ora, che faccio?”

Infatti, l’impegno mentale si divide per quantità e qualità, in maniera inversamente proporzionale. Più impieghiamo a fare qualcosa, meno ci domandiamo come fare per renderla gratificante. L’ottimale sarebbe, ovviamente, applicarci, misuratamente, in cose sensate. Per spartire, equamente, quantità e qualità.

Solo così, presumo, ci si evolva, col piacere di condividere.

D’altronde, anche un Buco Nero (che fino ad ora, la Fisica individuava come una regione di spazio da cui nulla, nemmeno la luce, poteva sfuggire), si è capito che, in realtà, non si limita a consumare.

“Costui” irradia, infatti, anche copiose quantità di energia mentre divora la materia vicina. Questa sua “abitudine alimentare” rende possibile la presenza di stelle e pianeti. E noi, in forza di ciò, possiamo esistere, qui ed ora.

Ma, forse, non l’abbiamo capito.

Infatti, costruiamo case sempre più grandi per famiglie sempre più piccole; acquisiamo maggiori proprietà e perdiamo altrettanti valori; miglioriamo le cure mediche e inquiniamo, finendo per produrre nuove malattie; determiniamo maggiori comodità ma non riusciamo a scoprire come goderne; aggiungiamo anni alla vita ma priviamo, questo tempo, del senso della vita dimenticando (o ignorando) che non contano i respiri quanto, semmai, gli attimi di “eccezionale normalità” che ci tolgono il respiro.

“Ad un certo punto della vita impari la sottile differenza tra tenere una mano e incatenare un’anima. Impari che l’amore non è appoggiarsi a qualcuno e la compagnia non è sicurezza. Inizi ad imparare che i baci non sono contratti e i doni non sono promesse. Cominci ad accettare le tue sconfitte a testa alta e con gli occhi aperti, con la grazia di un adulto e non con il dolore di un bambino. Impari a costruire tutte le tue strade di oggi perché il terreno di domani è troppo incerto per fare piani. Perciò pianti il tuo giardino e decori la tua anima, invece di aspettare che qualcuno ti mandi fiori” (V. A. Shoffstall).

Ci vediamo Domani

Il mio maestro delle elementari (Antonio Dodaro), ogni qual volta riteneva chefossimo riusciti a produrre, in classe, l’impegno necessario per sentirsi soddisfatti, era solito salutarci con l’augurio amabilmente stentoreo: “Ci vediamo Domani!”

Ho capito nel tempo che, quello, era il suo modo di essere “per bene” e di educarci a fare la cose “per bene”: solo se siamo riusciti ad amare il tempo trascorso nell’impegno proficuo, abbiamo il diritto di sperare in un “Domani” all’altezza della nostra dignità acquisita e conquistata, attraverso quell’esperienza collettiva e di condivisione che ti fa vedere l’Universo (come sosteneva Marcel Proust) con gli occhi di cento altri e di vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è: solo così, noi voliamo veramente di stella in stella.

Una speranza, quindi, frutto della costanza di un corretto riempimento dell’Oggi, traendo tesoro dei valori di “Ieri”.

Ci vediamo Domani diventa, quindi, il passaporto per l’eternità

Blanco non è mai voluto entrare nella casa di Italo.

Troppo amante della Libertà.

È sempre rimasto, fedele guardiano, fuori dall’uscio. Con qualsiasi condizione atmosferica. Ma, insieme al suo amico, è riuscito, per anni, a trovare, ogni giorno, di domani in domani, il senso di ogni propria azione, col gusto pieno della vita.

Fino a quando, una mattina, ormai pago, ha atteso Italo per l’ultima volta e, dopo averlo salutato con uno sguardo di quelli che ti fanno accapponare la pelle per le intense emozioni, è andato via per diventare parte di quell’Universo che, ogni giorno ci accarezza proponendoci un “Domani” ma che, spesso, non riusciamo a sentire. 

Perché presi dalla fretta del vivere.

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Ho iniziato la stesura di questo editoriale nel lontano 25 Agosto 2012 e, ciclicamente fino ad oggi, ho aggiunto qualcosa man mano che particolari emozioni hanno avvolto il mio animo. in tutti questi anni non ho mai smesso di ringraziare Blanco (che, purtroppo, non ho conosciuto), Italo (che, invece, ho avuto il piacere di frequentare), Marina (attraverso cui, ho “saputo” di Blanco), la mia vecchia Alfa Romeo (che, ormai, riposa nella mia memoria), il mio caffè quotidiano (senza il quale, non riuscirei a sintonizzarmi con “le voci di dentro”) e Amedeo ed Emanuela (che, con i loro aforismi, regalano dei nuovi spunti per riflettere).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *