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PREMESSA

Cari Lettori, come sempre, più o meno in questo periodo, mi permetto di riproporre delle riflessioni su come vivere, al meglio, un periodo particolare che dovrebbe servire a “ricaricare le batterie”, soprattutto in un anno difficile come questo. Non è un modo per costringervi a leggere sempre le stesse cose quanto, piuttosto, un invito a riflettere su verità oggettive che rimangono tali nonostante il passare del tempo. Soprattutto in un Mondo in cui le paure sono talmente opprimenti da aver bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e ci rassicuri, promettendoci (anche se illusoriamente) che tutto andrà bene… Comunque, come sempre, nel rispetto di chi legge, il lavoro è stato, in qualche modo, arricchito, diventando una sorta di monografia. “Oltre”, è stato difficile andare, perchè avrei rischiato di farvi annoiare nella lettura generando un paradosso, visto che si parla di vacanze.

Sarà una bella passeggiata insieme, nel rispetto della considerazione proposta da Luciano de Crescenzo. E come nei gelati di una volta che, alla fine, c’era la sorpresa di cioccolato, in fondo all’articolo troverete la possibilità di ammirare un bellissimo video realizzato da Paolo Chiaia e di scaricare una simpatica sequenza a fumetti, realizzata dal sottoscritto durante un periodo di vacanza di 26 anni fa.

BUONA LETTURA

Il video proposto, è tratto dal famoso “Viaggi di nozze” di Carlo Verdone e dimostra l’incapacità, non solo di sapersi divertire (da parte dei più giovani, soprattutto) ma, addirittura, di non riuscire a trovare il minimo spunto utile per dare un senso compiuto alla propria vita terrena. Diciamo che questo, in parte, è un problema legato all’incomunicabilità intergenerazionale per cui, i più giovani, si trovano di fronte a degli adulti nei confronti dei quali sviluppano un senso di inferiorità camuffato da distacco, disinteresse, aggressività e assenza di rispetto.

Il “gustoso” dialogo che segue, rafforza quanto esposto finora.

Io certe volte vorrei chiedere alla gente per strada: scusate, ma perché andate di fretta?”“Forse perché sono giovani!””Ma siamo sicuri che sono giovani?””In che senso, scusi?””Ingegné, ditemi la verità, avete mai visto ballare i giovani d’oggi? Io lo so perché ho due figli: il più grande ha 22 anni e la ragazza, 18. Qualche volta invitano gli amici a casa, a fare quattro salti. Ebbé, mi dovete credere, li ho visti ballare tante volte ma non li mai visti saltare! Dico io: ma me lo chiamano ballo, quello là? Tutti con una faccia appesa, come se avessero passato chissà quale guaio! E poi… un’aria di sofferenza, una tristezza che non vi dico; ognuno che balla per conto suo senza guardare in faccia la persona che gli sta di fronte. La nostra generazione era tutta un’altra cosa! Il valzer, il cha cha cha, il charleston, i cotillon… Ma io ho una teoria che spiega tutta la tristezza della gioventù moderna: noi siamo nati in casa, nella stanza da letto di mammà e papà, tra mura amiche, questi sono nati in clinica. Ingegné, questa è gente d’Ospedale! Il massimo che hanno visto, appena nati, è stata la faccia di un dottore o un flacone di plasma per un’eventuale trasfusione…”

Questo è il dialogo iniziale fra il Cav. Alfonso Carotenuto (erede della famosa ditta di calzature “Carotenuto e figli”) e l’Ingegner Luciano de Crescenzo, riportato nel libro di quest’ultimo, intitolato “Usciti in fantasia”. (Mondadori Editore)

Molta gente per un certo periodo di tempo, fin quando non ha capito come funziona la vita, ha creduto che fosse necessario inseguire degli obiettivi che portassero ad una scalata nel sociale per potere poi ottenere una buona ricaduta, possibilmente con un enorme paracadute, sul piano economico in maniera tale da potersi consentire dodici mesi di vacanze l’anno, un divertimento continuo, un paese di Bengodi con un po’ di pista verso il paese dei balocchi di collodiana memoria.

Ma poi però, quando ti ci avvicini, quando osservi chi è ci arrivato, ti accorgi che le cose non stanno per come le avevi immaginate perché, un conto è la “favola”, un altro paio di maniche, invece, è la realtà.

E allora, non c’è speranza?

Che cosa si può notare nel frame di “viaggi di nozze” (di cui non si riportano i dialoghi perchè, trascritti, perderebbero tutta la loro efficacia) e nei dialoghi di de Crescenzo? Sostanzialmente, simbolicamente, metaforicamente, una domanda: “Che cosa dobbiamo fare per apparire strani, diversi, per uscire dalla massa?”.

Che significa?

Proviamo a toglierci da un concetto di omologazione; qual è il problema di essere tutti uguali, simili agli altri? Partiamo dal principio che l’essere umano è contemporaneamente uguale, simile e diversouguale perché vive secondo gli stessi principi (ognuno di noi ha dei bisogni indispensabili da appagare); simile perché li appaga in maniera oggettiva e condizionata (in funzione del tempo storico, della localizzazione geografica, delle proprie possibilità); diverso, perché ognuno produce emozioni del tutto personali.

Ma se non riusciamo a stare bene a cavallo ed all’interno di queste tre istanze finisce che perdiamo il filo di ogni tipo di discorso. E allora osserviamo gli altri, proviamo a seguirli, poi ci rendiamo conto che, identificandoci in loro, questo comportamento ci sta un po’ stretto perché può andar bene a loro, ma non a noi, dal momento che abbiamo delle motivazioni differenti, siamo persone diverse sul piano emozionale. E allora proviamo a sganciarci per vedere se esistono altre esperienze da poter fare. Poi sommiamo a tutto questo un altro elemento: il bisogno di attirare l’attenzione degli altri perché ci mettano al centro dei propri interessi affinché possano dire di noi, verso di noi e con noi:

…e tutto questo mentre, in noi, nel prima e nel durante (un po’ anche nel dopo) sale la tensione di non essere all’altezza della situazione; “prima”, per paura di sbagliare; “durante”, per paura di non reggere lo stress e “dopo” perché, in fondo, iniziamo a temere che ci abbiano preso in giro. Perché non è possibile che ci adulino in questo modo.

E allora, qual è il bandolo della matassa e dove trovarlo?

Molte volte noi sapremmo come fare, ma non ce lo possiamo permettere per una serie di motivazioni di tipo ambientale, di tipo familiare, di tipo personale.

Cosa significa divertirsi?

Qualcuno nel passato ha detto: il problema della nostra umanità è che cresce, nel tempo, non tanto sul piano quantitativo quanto sul piano qualitativo e, paradossalmente, diventa controproducente perché, da bambini, noi ci divertiamo trovando il tutto nel nulla; da adulti scopriamo che, nel tutto, non c’è proprio nulla perché smettiamo di saper osservare nella maniera migliore.

E quindi, quando tu raggiungi dei risultati e lì non trovi quello che ti aspettavi, è come quando prenoti una vacanza magari avendo raggranellato nell’anno tutto quello che ti serviva in termini di tempo, in termini di soldi, in termini di pensieri per poter dare il meglio di te, vai in quel posto e scopri che non è quello che ti aspettavi perché, probabilmente, ti hanno preso in giro!

Come ci si diverte? Cos’è il divertimento?

Il divertimento consiste nel provare delle sensazioni diverse dalle solite, di tipo gratificante al punto tale da volerle ricercare e, quando ci proviamo, nel ricercarle, non le ritroviamo perché tutto quello che ci ha fatto divertire in un determinato momento, se diventa un’abitudine, non ci fà divertire più. Quindi, non esiste un divertimento standardizzato.

Se potessimo andare nei Paesi del divertimento per antonomasia e restare lì per una serie di giorni a trascorrere del tempo senza sapere bene come organizzarci per trarre il meglio da quella situazione, ma aspettando che sia l’esterno a consentirci di prendere ciò che serve per star bene, dopo un po’ finiremmo col restar delusi perché, scopriremmo che nessuno può interpretare nella maniera più corretta i nostri bisogni, i nostri desideri, le nostre aspettative, le nostre necessità.

Per riagganciarci all’inizio dell’articolo, è vero che, nel momento in cui si decide di andare in vacanza, sembra fuori luogo parlare della gioventù depressa…. ma pensateci un po’: quanti di voi si sanno, effettivamente, realmente divertire?

Non posso dimenticare che, frequentemente, io ascolto nel mio studio di analista, espressioni del tipo: “l’ultima volta che mi sono veramente divertito, è stato quando ho bruciato i libri scolastici, a fine anno… ed insieme ai miei compagni abbiamo fatto una grande festa!” Siccome, il termine divertimento, viene dal latino (divèrtere) e significa “volgere altrove la propria attenzione distraendo l’animo da pensieri molesti”, tutto quello che può servire all’animo umano per sollevarsi dalle incombenze quotidiane, contribuisce allo scopo.

C’è un però!

Dal momento che lo svago mentale si ottiene mediante un temporaneo allontanamento da una consuetudine, a scopo di riposo e di ricreazione, tutto quello che diventa abitudine, non fa più divertire!

E quindi?

Ecco perché ci sono sempre più giovani che sfidano la morte obnubilandosi con pasticche “fumo” e superalcolici, sempre più sindromi da Stress estivo, sempre più noia ed insoddisfazione….

Molte volte la realtà ci insegna che, per quanto ci si si provi, non si riesce a divertirsi a pieno. E questo dipende da una serie di elementi: i cosiddetti benpensanti direbbero che è colpa del benessere economico che ci ha fatto perdere di vista tutto quello che ci vuole per riuscire a dar valore alle cose di cui possiamo disporre. In parte è vero ma, fondamentalmente, manca la cultura del rispetto di sé e del proprio tempo vitale.

Insomma, la verità è che non riusciamo a realizzarci a pieno in un lavoro ma, nel contempo, non sappiamo neanche come goderci il tempo del “non far nulla”.

Per rendere l’idea, si riporta un estrapolato de “il Giorno”, componimento del poeta Giuseppe Parini che mira a rappresentare in modo satirico l’aristocrazia decaduta di quel tempo. Il poemetto era inizialmente diviso in tre parti: Mattino, Mezzogiorno e Sera. L’ultima sezione venne in seguito divisa in due parti incomplete: il Vespro e la Notte.

Ecco come Parini suddivideva la giornata ideale del suo pupillo, “il giovin signore”, appartenente alla nobiltà milanese.

Mattino

Il Giovin Signore si sveglia sul tardi, in quanto la sera prima è stato sommerso dai suoi onerosi impegni mondani. Una volta alzato deve scegliere tra il caffè (se tende ad ingrassare) o la cioccolata (se ha bisogno di digerire la cena della sera prima), poi verrà annoiato da delle visite importune, ad esempio un artigiano che richiede il compenso per un lavoro. Seguono le cosiddette visite gradite (per esempio il maestro di francese o di piano); dopodiché non resta che fare toeletta e darsi ad alcune letture (in senso mondano, tese a sfoggiare poi la propria “cultura”). Prima di uscire, viene vestito con abiti nuovi, si procura vari accessori tipici del gentiluomo settecentesco (quali coltello, tabacchiera, etc.), e sale in carrozza per recarsi dalla dama di cui è cavalier servente

Mezzogiorno

Il Giovin Signore, arrivato a casa della dama dove verrà servito il pranzo, incontra il marito della suddetta, che appare freddo e annoiato. Finalmente è ora di pranzo, e i discorsi attorno al desco si susseguono, fino a che un commensale vegetariano che sta parlando in difesa degli animali, fa ricordare alla dama il giorno funesto in cui la sua cagnolina, la vergine cuccia, venne lanciata nella polvere da un cameriere a seguito di un morso ricevuto al piede (opportunamente punito per la sua sfrontatezza con il licenziamento, dopo anni di servizio, lasciando l’ex-dipendente e la sua famiglia nella povertà. In questo passo, l’ironia sorridente di Parini si trasforma in vero sarcasmo). Segue lo sfoggio della cultura da parte dei commensali, il caffè e i giochi.

Vespro

Si apre con una descrizione del tramonto. Il Giovin Signore e la dama fanno visita agli amici e vanno in giro in carrozza, ma solo dopo che la donna ha congedato pateticamente la sua cagnetta e il Giovin Signore si è rassettato davanti allo specchio. Poi si recano da un amico ammalato (solo per lasciargli il biglietto da visita) e da una nobildonna che ha appena avuto una crisi di nervi, mentre discutono su una marea di pettegolezzi. A questo punto interviene il Giovin Signore che annuncia la nascita di un bambino, il figlio primogenito di una famiglia nobiliare.

Notte

I due amanti prendono parte ad un ricevimento notturno, ed il narratore inizia la descrizione dei diversi personaggi della sala, in particolare degli “imbecilli”, caratterizzati da sciocche manie. Poi si passa alla disposizione dei posti ai tavoli da gioco (che possono risvegliare vecchi amori o creare intrighi) e infine ai giochi veri e propri. Così si conclude la “dura” giornata del nobile italiano del 1700, che tornerà a casa a notte fonda per poi risvegliarsi il mattino dopo, sempre ad ora tarda.

Al di là dell’ironia e del sarcasmo, al di là della vita vuota di questo soggetto, quanto somiglia questa vita a quella che abbiamo visto riportata nel dialogo iniziale e nel frammento del film di Carlo Verdone, a distanza di tre secoli?

Allora non è cambiato niente e non cambierà nulla se non cominciamo a cambiare dentro di noi qualcosa. Ma anche chi porta avanti onestamente il proprio lavoro per riuscire a tornare a casa con quello che serve per sbarcare il lunario, molte volte sente il peso di ciò che è costretto a fare, in un vuoto di gratificazioni ed è inutile provare a pensare al momento di vacanza che cambierà la propria vita.

La vera vacanza, per quanto strano possa sembrare, dovremmo riuscire a costruirla dal primo giorno in cui finiscono le canoniche vacanze, di solito estive, all’ultimo giorno in cui termina il lavoro e ricominciano le vacanze estive.

Questo perché siamo strutturati in maniera tale da doverci inventare la vita momento per momento e allora, abbiamo bisogno, perché non siamo educati abbastanza, di qualcuno o qualcosa che ci guidi, che ci governi, che ci indichi, che ci suggerisca o che ci imponga un sistema, per lo più attraverso il lavoro, che è un grande escamotage anche quando il lavoro non piace.

La verità è tutta qui.

Quando qualcuno dotato di intelligenza, come tutti noi, prova a pensare in maniera un po’ diversa da noi, si rende conto dell’inutilità di questo schema e allora, quando questo qualcuno prova a ribellarsi, se non lo sa fare bene, diventa un “pericolo” e finirà con l’essere allontanato dalla Società anche e soprattutto perché gli altri guardando chi che sta usando un po’ meglio il cervello e, forse, sta provando a divertirsi in maniera meno omologata, proveranno non poco fastidio.

Vorrei riportare un piccolissimo aneddoto che ho vissuto qualche anno fa, proprio in questo periodo, nel mio studio, dove ho un bell’acquario di oltre trecento litri.

All’interno di questa vasca, insieme agli altri pesci, c’era un pesce pulitore che sapeva divertirsi giocando con le pietre del fondale ed evitando la compagnia degli altri. Gli altri pesci, più piccoli, evidentemente incuriositi e, al tempo stesso, infastiditi da un simile comportamento,hanno pensato bene di dargli fastidio mordicchiandogli la coda e aspettando le sue reazioni.

Questo Ancistrus, non gradendo simili attenzioni, si è innervosito, manifestando atti di aggressività al punto tale da doverlo togliere dalla vasca. E che cosa ho imparato? Che anche quando ti fai i fatti tuoi, se chi ti sta intorno non sa usare il cervello e tu non ti sai adattare abbastanza bene al sistema, finisce che lui “rimane” e tu te ne “vai”!

Cosa possiamo intendere, realisticamente, per “vacanza”?

Partendo dal principio che “vacanza” e “divertimento” stanno in rapporto relativo (perché ci si può divertire anche lavorando, per esempio), i dizionari della lingua italiana parlano di vuoto, assenza di qualcosa

Di cosa?

Della routine che porti avanti durante i mesi in cui non sei in vacanza ma, se quando trascorri gran parte del tuo tempo applicato al lavoro, dedicandoti alla famiglia, in un dialogo con te stesso, tu riesci a star bene al punto tale da divertirti, ecco che non hai nemmeno bisogno di fuggire o di sfuggire te stesso o gli altri, ricercando l’impossibile perché, tra l’altro, non lo troverai, dal momento che neanche tu sai, con certezza, quello che vuoi: sai quello che non vuoi ma non sai quello che ti servirà per star bene.

In che modo ci si diverte?

Prima di rispondere direttamente, vorrei proporre l’estrapolato delle pagine di un diario, rispettivamente, tenuto da un cane e da un gatto (trovato su facebook e suggeritomi da mia figlia Mariarita)per concludere che, spesso, non è ciò che facciamo… ma come lo viviamo, a creare la vera differenza!

Per divertirci dobbiamo riuscire a realizzare queste tre condizioni:

  • applicarci in qualcosa che ci faccia dimenticare i problemi che ci portiamo dietro tutti i giorni;
  • evitare la noia;
  • ricercare esperienze nuove e costruttive con una forma mentis simile a quella dei bambini cioè, con il piacere della scoperta.

Ecco, su questi tre elementi gira tutto quello che ha a che fare con la nostra vita, non soltanto per il periodo delle vacanze.

Applicarsi in qualcosa che faccia dimenticare i problemi. Ma perché? Perché un problema, di solito, è qualcosa che genera frustrazioni dalle quali temiamo di non saper uscire. Noi sappiamo che una frustrazione: è un fastidio che proviamo quando fra noi e un obiettivo si frappone un ostacolo; però c’è un particolare: il nostro cervello è stato creato per risolvere i problemi, altrimenti si annoia e si sente inutile alla stregua di un consulente che tu chiami e a cui non fai fare il lavoro per cui è stato preparato.

E allora?

Qualcosa che ci faccia dimenticare i problemi già nasconde il vero problema: noi abbiamo paura di non saperli risolvere, i problemi, oppure, per presunzione, esageriamo nel metterceli di fronte.

Molto spesso, il tentativo di vacanza si trasforma soltanto in una fuga dagli elementi opprimenti e allora, accade che ci si stressa durante l’anno, ci si stressa quando si è in vacanza e si arriva stressati alla fine di questo percorso.

Perché?

In verità, per riuscire a godersi un periodo di vacanza divertente, bisognerebbe avere altri due periodi di una lunghezza equivalente: un periodo di disintossicazione da tutto quello che si è fatto, un periodo di divertimento, un periodo di preparazione a tutto quello che ci attenderà. Però è difficile riuscire a costruire un vacanza in tal senso perché bisognerebbe opportunamente dosare, quasi come un alchimista, i giorni, le energie e le ore a nostra disposizione.

La verità è che anche andare in vacanza è un impegno, e questo non lo dico per scoraggiare coloro i quali già o sono in vacanza o si accingono ad andare, è un impegno perché non ci regala niente nessuno e noi siamo stati programmati per sviluppare le nostre capacità e trarne piacere.

Perché, molte volte, al rientro dalle vacanze ci si sente più spossati?

Dipende da come si è vissuto il periodo di vacanza. “Lavorare è meno noioso che divertirsi” (Charles Baudelaire).

Tale affermazione non identifica, ovviamente, il lavoro come muli da soma ma, semmai, lavoro come applicazione in qualcosa che ci dia delle soddisfazioni.

E questo è uno degli altri perni importanti di cui tener conto perché altrimenti tutta la vita gira intorno a un qualcosa che ci porta a doverci impegnare per non pensare e allora, ecco che poi diventa necessario una vacanza che ci porti lontano dai problemi… e tutto questo è una contraddizione in termini perché il cervello è stato progettato per risolvere problemi, pensando.

“I bambini sono divertenti proprio perché si possono divertire con poco” (Hugo von Hofmannsthal)

Siamo proprio sicuri che quando usciamo, dai nostri sonni, dai nostri sogni e, quindi cominciamo a vivere o dovremmo cominciare a vivere dal mattino fino al tramonto (e, per chi lavora di notte, fino al mattino dopo), noi siamo diversi, nelle nostre possibilità, per come madre natura avrebbe voluto?

Siamo proprio sicuri che le nostre abitudini non ci accompagnano anche quando sarebbe opportuno lasciarle a casa? Ogni abitudine, anche quella più costruttiva, rappresenta comunque una limitazione; e allora cosa esistono a fare le abitudini?

C’è un errore procedurale nell’ambito del funzionamento del nostro cervello?

Non è così: le abitudini sono comportamenti, relativamente stereotipati, che noi mettiamo in atto per averli collaudati nel tempo e che ci fanno risparmiare un bel po’ di energia neuro mentale; infatti quando mettiamo in atto delle cose che facciamo da tempo, le abitudini, noi non facciamo arrivare l’attività di consumo fino alla parte più alta della corteccia cerebrale, ci fermiamo un pochino più in basso dove le velocità sono più alte perché avviene un minor numero di calcoli, di elaborati. D’altronde l’abitudine la porti avanti, come suol dirsi, ad occhi chiusi.

Quindi, se durante il periodo della vacanza (che può essere a casa nostra, nello stesso ambiente in cui abbiamo vissuto tutto l’anno, o in un ambiente diverso), noi continuiamo a fare, mentalmente parlando, le stesse cose che abbiamo fatto durante l’anno, succede che trasportiamo i fastidi dell’anno all’interno di quel periodo che ci doveva allontanare da quel tipo di elaborato mentale.

E allora accadono scene tragicomiche in cui si ascoltano i discorsi che si sentono durante tutto il resto dell’anno, si fanno le stesse cose che si facevano durante il resto dell’anno con un’aggravante: essendo in vacanza non si va al lavoro per cui, vivendo tra l’altro in un ambiente di solito relativamente ristretto, siccome si è insoddisfatti del tempo che sta trascorrendo (su cui avevamo puntato molto) non riusciamo a scaricare le frustrazioni, trovando delle “scuse” e adducendo i nostri fastidi all’attività lavorativa e ci sfoghiamo con le persone che ci stanno intorno.

A queste condizioni finisce che i rapporti sociali peggiorano, i rapporti personali diventano insostenibili.

Si è dunque arrivati al momento della vacanza che si era sotto stress, si aumenta lo stress in quel periodo di vacanza e ci si stressa all’idea che, dopo quel periodo, ricomincerà un’altra frazione di tempo che se somiglierà a quella precedente (quella che c’era prima del periodo di vacanza) andrà peggio dell’immaginabile.

PERCHÈ È NECESSARIO ANDARE IN VACANZA?

Perché è necessario variare e perché, tra l’altro, qualunque lavoro si faccia, anche quello che piace di più, ogni tanto è bene interromperlo andando a cercare qualcos’altro che ci faccia tornare, poi, a lavorare in maniera più rilassata per ridurre il rischio di poca lucidità per eccesso di lavoro.

Riprendiamo le redini della nostra vita, cercando di capire che, qualunque attività intendiamo portare avanti, innanzitutto viene il bisogno di costruire una condizione di benessere conseguente all’appagamento del rispetto di sé. Prendiamo una vacanza dai Media che si oppongono alla nostra felicità: probabilmente i direttori responsabili vivono convinti della necessità di ricordarci sovente che… “polvere eravamo e polvere ritorneremo!” Quanto è bello decidere di non soffrire… in definitiva, per il semplice fatto di essere vivi, ognuno di noi ha l’opportunità di “ricontinuare”!

Cambiare l’atteggiamento mentale condizionato dagli aspetti deleteri di ciò che ci circonda, ricominciare a volersi bene, come quando eravamo bambini e continuare quanto di buono abbiamo fatto o visto realizzare a chi ci ha preceduto.

Tutto ciò, per provare a disintossicarci, a disincrostarci, a fare un po’ di manutenzione del nostro sistema psico-organico. Anche un motore, dopo un certo periodo di ore di lavoro, necessita di momenti di manutenzione. La nostra manutenzione qual è? Allontanarci dalle attività che ci portano all’interno di vari meandri durante il periodo dell’anno in cui non si è in vacanza. E come facciamo a disincrostarci? Attraverso una serie di attività di cui ognuno poi è responsabile secondo i principi che ho prima enunciato. Ma l’importante è attivare dei meccanismi di spurgo dalle attività abitudinarie che finiscono con l’opprimerci. Perché è necessario andare in vacanza? Per far riposare il cervello: non significa mandarlo in vacanza totale, ma allontanarci dallo stress quotidiano, provare a ritrovare noi stessi, provare a disintossicarci quel tanto che basta al fine di renderci conto se quello che abbiamo fatto era vicino o lontano dalla correttezza comportamentale che doveva essere tipica di ogni essere umano e per capire dopo la vacanza dove andare per continuare a divertirci all’interno delle pratiche quotidiane che poi rappresentano il numero di ore maggiori della nostra vita. Tra l’altro noi non possiamo pensare di vivere soltanto il periodo in cui si va in vacanza: se noi esistiamo all’interno di questo sistema chiamato Terra ci dovrà essere un motivo e non possiamo tirarci fuori da questo motivo altrimenti stiamo usurpando delle risorse che qualcuno ci ha messo a disposizione per fare qualcosa. Che cosa? Lo dovremmo scoprire ogni giorno ma, siccome ci stanchiamo facendo ciò che portiamo avanti, lo dovremmo riscoprire durante il periodo di vacanza e siccome dovremmo riuscire a trovarlo, ci dovremmo gratificare attraverso quel vuoto, non esistenziale, ma applicativo che si chiama lavoro quotidiano.

Che metodologia possiamo applicare per riuscire a goderci adeguatamente le vacanze, soprattutto se non si ha la possibilità di concedersi un viaggio?Si può leggere quello che, in proposito, pensa, Luciano de Crescenzo. E assaporando un bellissimo filmato in grado di riconciliarci col senso della vita, ovunque noi siamo, realizzato da una persona speciale: Paolo Chiaia (Counselor)

“Io a casa mia sto in grazia di Dio, perché dovrei andare in vacanza? Quando facevo l’ingegnere all’IBM, e non ero ancora il Luciano De Crescenzo di oggi, non scrivevo libri né dirigevo film, allora sì che partivo. Ero un patito del mare. Nessuno lo sa, ma io ho un passato da criminale: avevo un motoscafo e me ne andavo in su e in giù per la costiera amalfitana, seminando rumore e panico. Attualmente invece mi definisco un pentito del mare. Partire è un’idiozia: d’estate fa caldo e la gente corre al sole, d’inverno fa freddo e vanno sulla neve. È un controsenso. La mia giornata tipo, d’estate? Ogni mattina leggo quattro quotidiani, poi vado in ufficio. Anche senza l’ispirazione? Sì, e quando non ho idee m’immergo per qualche secondo nella vasca da bagno e spengo la luce. Posso definirmi lo scrittore più pulito del mondo. La sera esco con gli amici. Come tutti i single, do molta importanza all’amicizia. Insomma, devo fare un accorato appello a chi si sta imbarcando per le Maldive: che ci andate a fare? Lì, le isole, sono tutte uguali, piene di sabbia, una striscia lunga cinquecento metri, e poi decine di palme… provate ad osservare e valorizzare i luoghi dove abitate. Infine ecco la mia proposta: istituire presso tutti gli aeroporti una commissione d’esame. L’esaminatore domanderà: “Lei ha visitato a fondo la sua città? No? …e allora torni indietro, non parta” (Luciano de Crescenzo – Il caffè sospeso – Ed Mondadori – Milano 2008) 

Cari Lettori, grazie per aver dedicato un po’ del vostro tempo alla lettura di questo articolo. Per completare questa passeggiata insieme, come promesso, cliccando qui potrete scaricare visualizzare una “gustosa” sequenza a fumetti (realizzata dal sottoscritto per una testata giornalistica, nel lontano 1994) che spiega pragmaticamente, quanto esposto finora.

Giorgio Marchese

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