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Ci sono due modi di vivere la tua vita. Una è pensare che niente sia un miracolo. L’altra è concludere che ogni cosa sia un miracolo. (Albert Einstein).

A volte basta veramente poco per trarre ispirazione e scrivere qualcosa di interessante con cui esprimere, in maniera sintetica, il contenuto di pensieri complessi, la cui folla di idee non riusciremmo a trasmettere altrimenti.

Dopo giornate devolute a quei percorsi (a metà fra la speleologia e l’archeologia) che portano alla radice della nostra essenza trigenerazionale (da cui “discende” l’organizzazione e il funzionamento della personalità di ciascuno) cerco, come elemento necessario indispensabile, una fonte che mi riporti alla sensuale spiritualità delle Leggi di Natura per cercare risposte sempre diverse (ma pur sempre coerenti) a quelle che, credo, siano le quattro domande più importanti della vita:

Cosa è sacro;

Di cosa è fatto lo spirito;

Per cosa vale la pena vivere;

Per cosa vale la pena morire.

E, di recente, ho avuto la possibilità di rivedere un documentario televisivo (del 2011, già fonte di ispirazione per un mio editoriale dell’epoca) sulla vita (e le vicissitudini) dei salmoni del Pacifico. Questo pesce, dai fiumi, scende fino al mare per diventare forte abbastanza per risalire nuovamente i fiumi in un lungo e faticoso viaggio controcorrente, per andare a deporre le uova in acque fredde e basse, in mezzo ad una ghiaia ben “ossigenata”.

Al termine di ciò, esaurito il suo compito ed essere scampato ad aggressioni di vario genere (pescatori, orsi bruni, ostacoli naturali di ogni tipo, etc.) si avvia a morire. 

Questo, già lo sapevo. E l’ho sempre trovato triste e incomprensibile. Come la vita degli esseri umani, in fondo. Ognuno di noi cammina verso un progetto specifico (molte volte condizionato da interventi esterni) che lo porta a recitare sul palcoscenico della vita in maniera da crescere, lavorare, avere dei figli, aiutarli a crescere, a cercare un lavoro e, quindi, la storia si ripete di generazione in generazione…

Un uomo della Terra, va a trovare il Sole.

“Come vanno le cose, laggiù?” gli chiede il grande astro.

“Bene, mio Signore, tutti ti adorano”.

“Tutti? Ma davvero?”

“Beh, Signore… c’è una donna, solo una bellissima donna, che non si rivolge mai a te con devozione”.

“E chi è?”

“Si chiama Notte”.

“E dove vive, questa donna?”

“In India, mio Signore”.

Il Sole, a quel punto molto incuriosito, decide di recarsi velocemente nelle terre dove sa di poterla incontrare. La donna, però, resasi conto del suo arrivo, fugge via, dall’altra parte del mondo. Il Sole la rincorre e lei ritorna in India. Il Sole, allora, si reca in India, ma lei…

Ed è così che, il Sole, continua, ancora oggi, ad inseguire quella bella donna, senza raggiungerla mai.

Nel cuore della notte, davanti allo schermo della mia TV con, a fianco Jacke (uno dei tre barboncini), ho riflettuto sul parallelismo fra la nostra esistenza e quella dei salmoni trovando, questa “circolarità”, molto sensata rifacendomi, anche, a quanto scritto negli ultimi due miei editoriali:Lettera a Marinella e La voce del Padrone”.

La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l’accenno di un sentiero ( Hermann Hesse ).

Tutto è legato ad un programma che va oltre l’interesse del singolo, pur considerando quest’ultimo di primaria importanza. Il salmone, serve da nutrimento per la “catena” che incontra sulla propria strada, da elemento riproduttore (indispensabile per il mantenimento della specie) e da fertilizzante, durante la decomposizione (perché porta elementi fondamentali, acquisiti in mare, che garantiscono il proliferare di specie vegetali che si trovano lungo le acque di fiumi, povere di azoto, fosforo, etc.).

E anche per noi, in fondo, è così.

L’uomo è l’unico animale per il quale, la sua stessa esistenza, è un problema che deve risolvere (E. Fromm).

Il nostro problema nasce nel momento in cui, a differenza di altre specie animali, siamo in grado di porci la domanda: “Che senso ha, tutto ciò, su questa Terra?”  Le strade da percorrere durante il tempo a disposizione sono molte ma, solo poche, garantiscono un’uscita di sicurezza.

Tanti si inventano soluzioni di “basso profilo”. Non si spiegherebbe altrimenti il comportamento assurdo (che offende il senso comune e che ripugna nei termini) di chi dovrebbe rappresentare un esempio autorevole e istituzionale.

Alcuni mostrano il coraggio, nella paura, dichiarandosi non all’altezza del compito, come il papa recalcitrante di uno degli ultimi film di Nanni Moretti, “Habemus papam” (ma qui, ci si dovrebbe domandare come sia stato possibile nominarlo Vescovo e Cardinale!).

Altri, ancora, scelgono la corsia di emergenza (quella che si usa, furbescamente, quando si vuole saltare la fila) e, in nome di una presunto e preteso risarcimento per danni subiti dalla Società (nel termine più ampio), mettono in atto situazioni pericolose, eclatanti e “squlibrate”. 

La sofferenza è il male minore. Ciò che ti annienta è uno specchio senza la tua immagine (Cit.).

“il senso della vita. Il segreto è tutto qui! Perché non ce lo insegnano da piccoli? Che spreco diventa, altrimenti il nostro andare!”. Questa la conclusione di una giovane professionista plurilaureata e con ruoli ispettivi e dirigenziali, con cui ho avuto l’opportunità di confrontarmi professionalmente.

Capire il senso comporta, automaticamente, nobilitarlo, appunto, in maniera “sensata”. Siccome siamo ingranaggi di una catena (dotati di identità autonoma), qualunque azione sinergica può essere considerata corretta: amore, solidarietà, collaborazione, integrazione, semplificazione, conciliazione, empatia, risonanza, egoismo (positivo, ovviamente, per godere di ciò che facciamo e abbiamo).

Se è vero che “il pensiero come, Il mare più è profondo e più incute paura” (Jacques Cousteau ), siccome è proprio dal mare che veniamo e, come i salmoni, nel viaggio consumiamo ciò che siamo, dobbiamo per forza (e per legge di Natura) diventare persone per bene. 

Perché? 

Oltre ai contenuti consci che svaniscono nell’inconscio personale, vi sono contenuti nuovi che emergono dall’inconscio collettivo. Per questo l’inconscio non è un semplice deposito del passato, ma, anzi, è pieno di germi e di idee nuove, creative, cioè di strutture mentali psicologicamente orientate al futuro” (C. G. Jung)

Dal Big Bang in avanti si sono avute reazioni termonucleari capaci creare il cielo, con le stelle e tutti i pianeti…

Caro Lettore, in forza di quello che è sopra riportato,  se vogliamo capire quale sia il compito a noi assegnato (ma non spiegato consapevolmente) non dobbiamo fare altro che osservare il nostro DNA (simbolo dell’INCONSCIO COLLETTIVO Junghiano) come il nocciolo incandescente di un pianeta apparentemente freddo, con la sua “crosta”. Partiranno, da esso, spinte magmatiche che, come un’eruttazione vulcanica lasceranno ricadere, attraverso la pioggia piroclastica, una carica di “germi e di idee nuove, creative, cioè di strutture mentali psicologicamente orientate al futuro”

Quindi, essendo delle Creature nelle mani di Dio che, a ben guardare, sono le nostre mani, ha particolare significato l’aforisma conclusivo:

“C’è un bambino da proteggere. Ha paura del buio. Lo sguardo vago. Una spina nel cuore. Il suo nome è: Mondo!” (Anonimo) 

Altrimenti, varremo meno (ma molto meno) di un salmone…

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”