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Ciò che conferisce autorevolezza a una Istituzione cosa altro è se non la sua capacità di non perdere il proprio ruolo e la propria funzione. Anche quando questa sua radice viene messa a dura prova dalla privazione non della libertà ma della dignità degli uomini ristretti. Sono di questi giorni le notizie riportate da alcuni quotidiani nazionali, in cui vengono raccontate le sequenze drammatiche dentro il carcere, accadimenti che vengono inquadrati addirittura nel reato di tortura nei riguardi di cittadini detenuti inermi.

Qui non si tratta di fare processi mediatici, tanto meno di dare giudizi senza conoscere la storia nella sua sostanza, però di fronte a chi è già privato della libertà, degli affetti, costretto a un tempo bloccato, se fosse provata questa accusa nei riguardi di operatori del comparto sicurezza, forse occorrerà domandarsi come sia possibile attuare legalità e giustizia, rimanendo deprivati di qualsiasi senso di umanità e compassione.

Quando fatti di questa portata emergono e vengono messi di lato, in sordina, silenziati, forse è anche il caso di non rimanere schiacciati dall’indifferenza trattandosi di galera e di persone che hanno sbagliato, perché allora si tratta di sopravvivere dentro e fuori un mondo non soltanto scandaloso ma sicuramente aberrante. Il carcere, questo carcere che ritengo ancora assente ingiustificato, non è accettabile né pensabile come luogo di morte, bensì come spazio di sosta, per comprendere e oltrepassare la colpa nella ritrovata responsabilità.

La pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma deve tendere alla rieducazione del condannato. Non è certo la violenza insita nel sistema carcere che può stupire, infatti non si tratta di fare le educande, in carcere si sconta la pena anche con una certa durezza a causa degli errori commessi, ma fosse vera la notizia in questione “tortura”, vorrebbe dire che da una situazione di ingiustizia, ci si è trasferiti armi e bagagli in una dimensione di gesti quotidianamente ripetuti di feroce inumanità.

Se così fosse, se fosse provata questa pratica occorrerebbe riconsiderare quella recidiva esponenziale che mina la società, perché torturare una persona significa ridurlo a un corpo estraneo, parassitario, costringendolo a una parte di futuro opposto e contrario, ciò non credo faccia parte neppure lontanamente di un preciso interesse collettivo.

No, non citerò Voltaire, ma la dignità di una persona non è pensabile si possa sminuire o annientare con la forza o con la galera, perché vorrebbe significare che il carcere non solo non rieduca ma addirittura è prerequisito per accantonare il valore stesso della vita umana. Se risultasse veritiero questo andazzo, penso davvero che non soltanto il carcere ma anche il processo penale rischierebbe di issare bandiera bianca: la giusta pena da scontare nel carcere dell’ingiustizia.

Vincenzo Andraous – Counselor, Tutor Comunità “Casa del Giovane” Pavia

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