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In un percorso di crescita personale, cosa è bene mettere in discussione e cosa, invece, bisogna mantenere (come “tradizione” cui ispirarsi) per potersi migliorare?

A SPASSO VERSO UN FUTURO MIGLIORE

Salve dottore, leggendo il suo articolo Il percorso (in cui viene spiegato cosa succede durante un trattamento di psicoterapia, secondo il modello del dott. Giovanni Russo) ho rivissuto, mentalmente, le varie tappe del percorso analitico realizzato fino ad oggi, rivivendo anche momenti di sofferenza, che, però, ormai ho superato…

Non è stato agevole lavorare sul materiale di Giovanni Russo (uno dei miei principali maestri), per renderlo divulgativo ma, a quanto pare, ne è valsa la pena.

Lei ha spiegato che, per cambiare comportamento, occorre cambiare le idee di base, cosa che comporta difficoltà e che, comunque, costantemente nell’arco della vita bisogna dubitare di se stessi, cioè mettersi in discussione, per poter continuare a migliorare…

Quest’affermazione ha un senso particolare che va “preso” nella giusta maniera perché, altrimenti, potrebbe dare adito ad interpretazioni scorrette, e convincersi del fatto che non si possono avere convinzioni stabili.

Effettivamente… l’ho pensato anch’io!

Ci sono delle certezze che possiamo definire assolute. Ad esempio, ognuno di noi ha bisogno di mangiare, di bere, di dormire e di respirare per sopravvivere. E’ una realtà assoluta e non relativa, perché, senza appagare queste necessità, non è possibile alcuna forma di vita animale: siamo d’accordo su questo?

Si, certamente.

Così come è una cosa certa che, se non ci si realizza in qualcosa nella vita, saremo degli insoddisfatti. Potrò dare un senso alla mia esistenza scrivendo poesie, aiutando a crescere le mie figlie, edificando una casa, verniciando una macchina, rincorrendo un’autoaffermazione più matura… questo dipenderà da quali saranno i miei ideali. L’importante è che non me ne stia con le mani in mano. Anche questo è un dato certo: siamo d’accordo?

Si!

Ma allora, cosa dobbiamo rimettere in discussione?

Gradualmente, le proprie convinzioni, basate su acquisizioni ” a scatola chiusa”, per accertarne la veridicità.

Ma anche il bisogno di realizzarsi dovrebbe essere una convinzione…

…se, dopo aver verificato, riscontro di aver ragione… basta, non ci penso più! Quanta gente cerca di realizzarsi rincorrendo ideali sbagliati, che gli fanno “bruciare” il tempo a disposizione e, a volte, danneggiano gli altri?

In che senso?

Sono sempre più frequenti le notizie che riportano atti di speculazioni a fini meramente economici. Secondo lei, a quali valori si ispirano coloro i quali vanno a perpetrare tali nefandezze?

Al danaro, a discapito altrui!

Capovolgiamo il fronte di valutazione: quante volte noi, di una persona, pensiamo che sia scorretta, disonesta, che abbia sbagliato nei nostri confronti, e poi, dopo riflessioni più accorte, ci rendiamo conto che avevamo sbagliato noi a giudicare? Questo accade, perché non avevamo tutte le informazioni necessarie, e, quindi, finiamo per restare vittima di pregiudizi.

Ma, della vita, non si ha sempre una visione parziale?

E’ per questo che bisogna evitare di giungere a decisioni irrevocabili! Non ricordo se le ho mai parlato del maestro Riccardo Colella, famoso personaggio di uno dei libri di Luciano de Crescenzo…

Credo di no…

Deve sapere che il maestro Riccardo Colella era un anziano docente di filosofia molto particolare; le riporto un simpatico dialogo fra lui e Luciano de Crescenzo: “Caro Ingegnere, nel mondo ci sono i punti interrogativi e i punti esclamativi, i soldati del Dubbio e quelli della Certezza Assoluta. Quando incontrate un punto interrogativo non abbiate paura, è sicuramente è una brava persona, un democratico, un uomo col quale potete discutere ed essere in disaccordo. I Punti esclamativi, invece, sono pericolosi; sono i cosiddetti uomini di Fede, quelli che, prima o poi, prendono le decisioni irrevocabili. Ora ricordatevi quello che vi dico… la fede è violenza, qualsiasi tipo di fede, religiosa, politica e sportiva. Dietro ogni guerra c’è sempre un uomo di Fede che ha sparato il primo colpo. A me, papà insegnò che il Dubbio è il padre della Tolleranza e della Curiosità. Chi ha Fede, non è disposto a riconoscere i propri errori e noi, senza l’aiuto degli errori, non siamo nessuno! Ma, caro maestro, un minimo di fede ci vuole, però, per iniziare un’impresa.

Senza la fede non avremmo scoperto l’America e la Penicillina.

Deve essere, però, caro Ingegnere, una fede che nasce dal Dubbio… che sappia imparare dagli errori, quella che io chiamo… Fede ad occhi aperti!

Come sarebbe?

Si può essere dubbiosi, ovvero scettici e continuare ad avere un’idea per cui battersi. Io sono uno scettico, ma ciò non toglie che io sia anche cristiano, comunista e tifoso del Napoli. L’importante è essere cristiano scettico, comunista scettico e tifoso scettico!”

Interessante…

Tornando al nostro discorso, è vero che riusciamo ad osservare “spicchi” di realtà, ma possiamo riferirci a delle conoscenze di tipo assoluto. Le ho fatto l’esempio del bisogno di mangiare: io non sono andato a chiedere a tutti gli esseri umani del mondo se hanno bisogno di mangiare, ma ho capito che è un dato certo e ho ricavato che, nessuno al mondo, può evitare di mangiare. Si può far passare un lasso di tempo più o meno lungo fra due pasti, possono passare anche giorni ma, prima o poi, si deve cedere al cibo.

Però le certezze di questo tipo sono poche.

Sì, le ho parlato di bisogni indispensabili e di bisogni primari necessari per lo sviluppo di un’identità corretta che portano a desiderare un’esistenza migliore. Una persona che non socializza, ad esempio, ha comunque problemi di integrazione che la porteranno all’isolamento: questo è un dato certo. Non esiste un essere umano al mondo, che abbia questa difficoltà e che possa, al tempo stesso, dichiarare di stare veramente bene.

Cosa significa “star bene”?

Le risponderò citando una interessante spiegazione di Jean Bergeret nel suo “Personalità normale e patologica” del 2002: “Veramente sano non è semplicemente colui che si dichiara tale, né tantomeno un malato che si ignora come tale, bensì un soggetto che conserva in sé le fissazioni conflittuali della maggior parte della gente, e che non ha ancora incontrato sulla sua strada difficoltà interne o esterne superiori al suo bagaglio affettivo ereditario o acquisito, alle sue facoltà personali difensive o adattive; che si permette un gioco abbastanza elastico dei suoi bisogni pulsionali, dei processi primario e secondario, sia sul piano personale sia su quello sociale, tenendo in giusta considerazione la realtà e riservandosi il diritto di comportarsi in modo apparentemente aberrante in circostanze eccezionalmente anormali”

In maniera un po’ più sintetica posso riportarle il concetto di autoaffermazione “definito” negli anni da Giovanni e Sara Russo: “Condizione di chi mira ad esprimere pienamente se stesso (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) e il proprio ruolo (essere umano integrato nel tessuto sociale, come partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.)”

Poco più di una anno fa ho consapevolizzato molte mie carenze. Questo mi ha fatta sentire sgretolata, perché avvertivo l’esigenza di dover demolire quasi tutto dei miei apprendimenti e di ricostruire un database corretto. Ricordo con grande sofferenza quel periodo, che ora ho superato grazie al suo aiuto. Però, a distanza di tempo, mi chiedo se è stato fisiologico ciò che ho provato, oppure ho vissuto quella fase in modo abnorme.

Per poter rispondere in maniera adeguata, le debbo accennare il concetto di “IO” interiore (che Giovanni Russo, identificava con la parte più inconsapevole dell’Identità). L’Io, secondo la visione psicodinamica / psicoanalitica, è quella parte (inconscia) di struttura portante della nostra personalità capace di:

  • generare una mediazione tra Es (che ci porta alla ricerca del piacere), Super-Io (la parte assoggettata al senso morale) e la realtà oggettiva;
  • costruire una corretta immagine di sé;
  • determinare un orientamento spazio-temporale;
  • determinare una capacità di giudizio;
  • consentire un controllo delle pulsioni;
  • produrre tolleranza alle frustrazioni

In una struttura di personalità sufficientemente sviluppata, l’IO si definisce “integro”, ci si rende conto degli aspetti contraddittori di se’ e degli altri, l’esame di realtà è adeguato e si ha consapevolezza della propria sofferenza.

In presenza di problemi di tipo “borderline” o, addirittura “psicotico”, l’Io ha un funzionamento altalenante, non si riesce a tollerare le frustrazioni o a posticipare il soddisfacimento di un impulso con un esame di realtà abbastanza compromesso

Quello che possiamo ricavare è che, lei, ha retto all’urto della consapevolezza di una realtà che le avevano voluto fare ignorare.

Il processo cui è andata incontro è stato fisiologico, il modo di viverlo risentiva dell’allarmismo che ha imparato nell’ambiente in cui è vissuta. Ne abbiamo parlato più volte. A casa sua, ogni evento che uscisse un po’ fuori dalla norma produceva paura, panico, allarme di ogni genere, e, siccome lei ha osservato questo tipo di comportamento, ha imparato ad agire allo stesso modo, senza accorgersene. Quindi, il modo di reagire ha risentito di quel sistema e, perciò, è stato, di fatto, amplificato; ma una sensazione di scombussolamento, di incertezza, di dubbio è fisiologica proprio perché si mettono in discussione le proprie convinzioni e, addirittura, le si cambia. Ecco perché è importante la frequenza dei colloqui analitici; durante l’incontro con il proprio psicoterapeuta, si mantiene alta l’attivazione al cambiamento e si acquisisce la consapevolizzazione di essere nel giusto, pur dubitando riguardo alle vecchie certezze.

Questo, però, non fa vivere con un senso di precarietà?

Sì, ma è limitato al periodo in cui si cambiano determinate certezze “profonde”, anche se sbagliate.

Però, se nella vita bisogna migliorarsi in continuazione, questo processo è destinato a ripetersi sempre?

Non necessariamente e non con questa frequenza perché, durante un percorso analitico, si cambiano aspetti della personalità che, come abbiamo visto, penalizzano; inoltre, man mano che va avanti questo processo, si determina l’implementazione delle proprie capacità (cioè tu migliori quello che già sei): quindi cosa devi rimettere in discussione? Se si parte da una base corretta e si va avanti, c’è poco da mettere in discussione, c’è soltanto da migliorare. Non si deve più cambiare idee, c’è da aumentare il numero delle idee corrette: quindi ogni nuova conoscenza genererà delle nuove certezze.

A proposito della trasformazione delle idee lei spiega che, innanzitutto, non bisogna essere rigidi e che bisogna liberarsi del vecchio modo di essere, in modo da fare spazio, altrimenti le nuove idee non si possono generare, per questioni “logistiche”. Cosa succede, in pratica? Prima vengono inseriti i nuovi messaggi e poi, nella fase di cambiamento, si devono eliminare i vecchi dati?

Quando due idee vengono a confronto, si determina l’attivazione del meccanismo inconsapevole della riflessione che porta a far prevalere l’una sull’altra, sostituendola oppure integrandola parzialmente o globalmente, seguendo un percorso ben preciso: scombussolamento, accomodamento, assestamento.

Ma, per sostituirla alla vecchia, bisogna eliminare quest’ultima?

Bisogna rendersi conto che il nuovo messaggio è più corretto del precedente. Ad esempio, se io sono abituato a spostarmi (comprendo lunghe distanze) a dorso di mulo, qualcuno mi spiegherà, prima o poi, che esistono mezzi di locomozione decisamente più moderni. Non difendere la mia convinzione, significa verificare l’utilità di queste nuove opportunità che non conoscevo, per cui concluderò che è bene usufruirne. Il meccanismo che avrò portato avanti a livello inconsapevole è il seguente: ho sostituito la mia idea con la nuova; è assurdo andare a dorso di mulo, a meno che non si decida di fare una gita specifica e di dedicare l’intera giornata a fare pochi chilometri. Io, però, ho accettato la possibilità che i nuovi messaggi fossero migliori dei vecchi. Finché sono in dubbio difendo la mia posizione. Quando non tentenno più, dal momento che ho verificato che mi è stata proposta una condizione migliore, se non sono rigido e, per “partito preso”, non difendo il mio modo di pensare, cambierò sistema, altrimenti rimarrò nell’antico, come fanno tante persone.

E’ possibile continuare a mantenere una posizione rigida e di difesa su alcune idee, anche quando si è già nel corso di un percorso analitico, iniziato da qualche anno, durante il quale sono state mutate molte convinzioni, come nel mio caso?

Sì, perché il lavoro non è finito.

Il lavoro non è finito perché ci vuole del tempo per affrontare le varie problematiche o perché ancora si difendono alcune idee?

Perché ancora non ha risolto del tutto il problema che l’ha costretta, negli anni scorsi, a costruire una personalità rigida, per proteggersi dagli attacchi del mondo esterno. Una personalità flessibile è aperta a messaggi nuovi, ad esperienze nuove ed è più libera di modificarsi con una certa velocità. Se si cresce in un ambiente malsano, si è costretti a proteggere la coesione della propria identità, per non rischiare di diventare psicotici, arrivando quasi ad impedire l’ingresso di dati nuovi. Quindi, costruendo una torre d’acciaio, più che d’avorio, si limiterà il proprio modo di essere, ma si rimarrà, comunque, nei binari di una certa normalità mentale.

Questo atteggiamento quindi, può rimanere anche quando una persona ha già realizzato dei cambiamenti?

Finché non si è sufficientemente solidi, ma più porta avanti questo lavoro, più diventa solida e minore è la rigidità. Oggi mi sembra più disponibile a fare cose che, nel passato, le sembravano molto difficili.

Così, però, si allungano moltissimo i tempi dei cambiamenti.

E’ una questione qualitativa più che quantitativa. Non è tanto importante osservare quanto ci si impiega, ma come si procede; è innegabile che, attualmente, lei sia in grado di produrre una qualità delle vita incommensurabilmente migliore rispetto a quella di due anni fa o, anche, dello scorso anno. Certamente in un futuro a medio termine le cose andranno meglio quindi, il cambiamento positivo non si arresterà, nella sua vita, così come nell’esistenza di nessuno. La cosa importante è che lei, oggi, abbia la prova di vivere meglio che nel passato.

Sì, eccome! Solo che non avevo ben chiaro il meccanismo della rigidità che mi ha spiegato, perché pensavo che, una volta fatta cadere la barriera difensiva e avviato il processo di cambiamento, non ci fossero più resistenze.

Comunque, il fatto di sapere che una persona può lavorare sugli aspetti negativi per cambiarli, non dovrebbe impedire di avere delle reazioni di fastidio con se stessi? Io lo dico, ma non ci riesco!

Sì, è vero, ma è che ha imparato a reagire in maniera eccessiva. E’ una questione di software mentali! Continuando in ciò che ha iniziato, un po’ alla volta modificherà la risposta in uscita.

Io, tempo fa, pensavo che, una volta imparato il funzionamento della logica, avvenisse automaticamente l’eliminazione dei dati scorretti!

E’ vero, ma in parte. Bisogna sempre proporsi dei nuovi messaggi, altrimenti lei demolisce quello che non va e, in cambio, cosa ci mette? Ad esempio, a me non piace la struttura dove lavoro e la demolisco… e poi dove vado, in mezzo alla strada?

Si ricorda che io, ad un certo punto, avevo pensato di studiare moltissimo per accelerare i cambiamenti?

Si, lo ricordo. Però poi ha scoperto che bisogna digerire gradualmente i nuovi messaggi, si devono ricevere le giuste spiegazioni e c’è bisogno di fare tanta esperienza, perché quest’ultima fornisce il carburante costruttivo delle convinzioni che modifichi.

Io avevo pensato ad un procedimento più meccanico.

Effettivamente ci troviamo di fronte ad percorso tecnico, che segue procedimenti di fisica, ma presenta degli aspetti complessi che rispecchiano un andamento che si può studiare e di cui stiamo parlando. Un conto è parlare di flusso delle particelle elementari (ed e quello che accade nel microscopico, all’interno degli atomi delle cellule pensanti) un conto è osservare la macromanifestazione. Nel primo ambito è tutto semplice, perché si rispettano le leggi dell’energia, nelle macromanifestazioni la cosa si complica perché bisogna tenere conto di una serie di fattori, di cui stiamo parlando da molto tempo.

Ha ragione… ma potrebbe salutarmi con un’aforisma? Ormai ci sono abituata!

Due cose sono infinite: l’universo e la presunzione umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi. (Albert Einstein)

Grande, come sempre!

Io, o l’aforisma?

Entrambi.

G. M. – Medico Psicoterapeuta (14 dicembre 2009)

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