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Le caratteristiche della personalità (in pratica, il carattere dell’individuo) interagiscono con gli stimoli ambientali nel modulare le risposte biologiche ai trattamenti terapeutici e, potenzialmente, sono in grado di svolgere un ruolo determinante nel rendere efficace, su un piano antidolorifico, una sostanza farmacologicamente inattiva.

Una sorta di effetto placebo, insomma!

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Neuropsychopharmacology“condotto presso l’Università del Michigan, alcune caratteristiche quali la schiettezza, l’altruismo, la resilienza (il riuscire ad adattarsi allo stress), aumentano la capacità del placebo di avere effetti antidolorifici; al contrario una personalità rigida e irascibile, la bloccherebbe.

In questo lavoro sono stati valutati i tratti psicologici in 50 volontari sani, in relazione alla loro capacità di produrre effetti analgesici placebo, attraverso la produzione di oppioidi endogeni e la riduzione dei livelli di cortisolo, che è l’ormone dello stress.

Ai volontari è stato detto che sarebbe stata iniettata una soluzione fisiologica nei muscoli della mascella che avrebbe provocato una sensazione dolorosa ma che, contestualmente, avrebbero assunto un antidolorifico (in realtà, un placebo).

I volontari, che avevano una età compresa fra i 19 e 38 anni sia maschi che femmine, sono stati sottoposti, preliminarmente, ad una serie di test per la valutazione dei tratti della personalità e sono stati monitorati nella loro attività cerebrale attraverso la PET (tomografia ad emissione di positoni).

Dall’analisi statistica, è stato dimostrato che una personalità flessibile, con una migliore capacità di adattarsi agli eventi avversi, alle difficoltà e allo stress rispetto ad una irascibile e diffidente, permette di sfruttare l’effetto placebo grazie alla produzione di endorfine indotte dalle attese positive. Una personalità irosa, insofferente, maleadattabile o, comunque, rigida, si mostra, al contrario inefficace.

Questi risultati, una volta replicati in campioni più grandi, suggeriscono che, grazie all’analisi della personalità (e spingendo sulla strada della maturità e della flessibilità), si può puntare a migliorare la risposta individuale, tanto al dolore persistente, quanto ai vari eventi potenzialmente stressogeni.

Fernanda Annesi – Biologa C.N.R.

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