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Questo bell’articolo, ripescato dall’archivio dei ricordi,è stato scritto a quattro mani con l’amico Christian Coppolino il 21 novembre 2008 sotto forma di intervista/confessione “senza esclusione di colpi”. Si è inteso riproporlo perchè, a dispetto del tempo che è trascorso (e dei cambiamenti determinatisi in quasi 10 anni) esprime, ancora, molti contenuti attuali e utili per capire cosa sia, effettivamente, la crisi (interiore o meno) e come poterne venire fuori.

BUONA LETTURA

Dottor Marchese, si presenti da sé.

Premessa: quando mi è stata prospettata la possibilità di questa intervista, ho riflettuto molto prima di aderire, dal momento che, contrariamente al solito, si vuole sapere di me… più che “attraverso” me.

Addirittura, si sente così importante, da non “concedersi” facilmente?

Semmai, il contrario. Cerco di essere attento a non mostrarmi più del necessario, per evitare di apparire per come “non” sono.

Cioè?

Interessato all’apparenza più che all’essenza.

Appunto, ci parli di lei!

Un essere umano alla ricerca di capire in che modo individuare il percorso che porta alla felicità, intesa come stato d’animo che si genera dopo aver conseguito il raggiungimento di un obiettivo per il quale ci si è impegnati in maniera consistente. Aggiungiamo il concetto che prevede il sentirci “umile” e “realistica” componente di un sistema più ampio che ci comprende e ci governa (le leggi di natura e i suoi “addentellati” con annessi e connessi) e che va evoluto e condiviso. “Un uomo, in fondo, non perde mai nulla, se mantiene l’integrità della sua persona” (Michel Eyquem de Montaigne). Ecco, questo sono io.

Prevede di restare a lungo qui o pensa di “emigrare”?

Per intanto sto cercando di rendermi utile per dimostrare che, anche in un ambiente difficile come quello calabrese, le difficoltà si possono trasformare in opportunità. È mia intenzione, in futuro, volgere l’attenzione verso aree geografiche più a Nord, dove si sta vivendo la crisi dell’era post industriale. Provare ad essere utile anche in quei contesti, sarebbe una bella sfida! Le faccio presente che, da alcuni studi condotti tempo addietro da scienziati del calibro di Hans Selye e Franz Alexander ( e da molti altri dopo di loro), siamo giunti alla conclusione che, una condizione individuale e sociale critica può essere fonte di squilibri e patologie anche gravi. Si è scoperto, però, che, nel momento che gli assetti tradizionali vengono ribaltati, si prospettano anche delle opportunità; non a caso, Selye, per tradurre nella lingua cinese la parola “stress”, ha utilizzato un ideogramma che rappresenta, al tempo stesso, “pericolo e opportunità”.

Ma in che modo pensa di poter essere così “versatile”?

Facciamo un po’ di conti. Tutto ciò che appartiene al settore “secondario”, cioè le aziende che producono beni non indispensabili, è in forte declino dal momento che, durante ogni fase di contrazione di mercato (conseguente ad una ridotta capacità di spesa) tutto quello che costituisce voluttuario, viene drasticamente eliminato dalla sfera dei propri interessi.

Allora, non resta che ottimizzare, attraverso l’evoluzione del “terziario avanzato”, tutto quello che è “primario”, onde ripartire alla volta della realizzazione di una nuova rete di servizi, in grado di consentire l’appagamento dei bisogni che qualificano e determinano una vita degna di tale nome: una sorta di “quaternario post industriale”.

Lei dirige un ente che ha chiamato “NEVERLANDSCARL” e che si occupa di formazione, consulenze e assistenza ai bisognosi. Che mi può dire, dell’aspetto “formativo”?

Il discorso nasce dalla necessità di concretizzare nella maniera più pragmatica possibile un mio bisogno…

Quale?

Quello di dimostrare e dimostrarmi che le realtà di cui mi occupo come psicoterapeuta e che mi portano ad occuparmi dei disagi esistenziali, possano essere efficacemente affrontate mediante la spinta ad osservare che, il piacere di realizzarsi anche attraverso il lavoro, sia un ottimo antidoto contro “il logorio della vita moderna”.

E quindi?

Collaboriamo con committenti (Aziende, Mondo della Scuola) disponibili a sintonizzarsi con un simile modo di pensare e formiamo loro personale “applicato” e “motivato”. In aggiunta a questo tipo di formazione, ci occupiamo di quello che considero il nostro fiore all’occhiello: i corsi di Counselor in Sviluppo e Gestione delle Risorse Umane.Può fornire maggiori chiarimenti?

La figura professionale del Counselor nasce negli anni trenta negli Stati Uniti per rispondere alle esigenze di coloro che, pur non avendo seguito studi specifici miranti alla formazione di approfondite competenze psicologiche, si trovino a svolgere un lavoro che richiede una buona conoscenza della personalità umana, o vogliano rendersi utili nel collaborare (in concertazione con figure specialistiche) al raggiungimento della realizzazione personale e professionale di chi si trova insoddisfatto della propria condizione o manifesta difficoltà nei rapporti interpersonali. In pratica, possiamo intendere quella del Counselor, come una nuova figura fatta apposta per chi (pur non laureato in psicologia o in medicina) vuole imparare a gestire i rapporti umani soprattutto, ma non solo, in situazioni di crisi. In sostanza, il Counselor può essere definito come una figura professionale capace di sostenere in modo adeguato una relazione con un interlocutore che manifesta temi conflittuali personali non particolarmente complessi (anche se emotivamente significativi), senza interferire, ovviamente, col ruolo e le competenze dello psicoterapeuta o dello psichiatra.

Il vostro indirizzo di formazione, a quali criteri si ispira?

Non proponiamo “dogmi” formativi ma, semmai, ci atteniamo a criteri epistemologicamente orientati a pragmaticità ed eclettismo che portino al raggiungimento di una figura che potremmo definire un vero e proprio imprenditore della personalità, in grado di analizzare i bisogni emergenti di singoli e gruppi (soprattutto nelle zone “a rischio”) e affrontarli impostando un programma operativo che tenga conto dei seguenti cardini:

  • Profilo della personalità e individuazione delle attitudini prevalenti;
  • Impostazione di un obiettivo di realizzazione;
  • Elaborazione di un piano di fattibilità (analisi di mercato, captazione risorse, formazione personale specifica e adeguata, etc.)
  • Assistenza fino al raggiungimento dell’obiettivo;
  • Eventuale rapporto di consulenza successiva.

Sembra un profilo interessante!

Ci crediamo a tal punto da intervenire con una borsa di studio per ogni singolo partecipante che copra parte del costo del corso stesso.

La Sua formazione di medico prima e di psicoterapeuta poi, l’ha portata ad essere sempre più sensibile alle sofferenze psichiche delle persone. Chi sono gli utenti che oggi cercano aiuto da uno specialista come lei?

Individui con una vasta gamma di aspettative, alcune corrette, altre un po’ meno.

Cosa significa?

È necessaria una premessa. Ogni essere umano, nelle sue componenti più infinitesimali, è “strutturato” come la “base” potenziale di tutto l’Universo: sei tipi di quark, un elettrone, un neutrino (A. Salam – premio Nobel per la Fisica 1979).

Per motivi su cui si potrebbe discutere a lungo, quel tipo di energia potenziale, si assembla a formare un prodotto che deve rispondere a determinati requisiti di funzionamento (come se fossero delle specifiche industriali) che si rispettano nell’appagamento dei bisogni “tipici” dell’essere umano, da quelli indispensabili a quelli necessari al raggiungimento di standard maturativi (come, ad esempio, autoaffermazione a autostima). C’è un rapporto diretto fra l’esplicazione di un percorso di vita correttamente portato avanti e un adeguato funzionamento del sistema psiconeuroendocrinoimmunitario (insieme di organi e apparati costituito da cellule che rispondono agli “output” che giungono, mediante RNA messaggero, dai costituenti atomici del loro DNA).

Per rispettare il corretto andamento di tutta la procedura il bambino, per trasformarsi in adulto, deve imparare, innanzitutto, a diventare autonomo.

In questo, fondamentalmente, consiste il lavoro dello psicoterapeuta: indurre, mediante opportune sollecitazioni (chiarimenti, suggerimenti, stimolazioni costruttive, risposte a domande,etc.), risultanze maturative che consentano di capire che direzione intraprendere per evidenziare il senso più completo della propria esistenza. In questo percorso, spesso, è necessario spiegare che ciascuno deve imparare a diventare artefice del proprio destino e che non può “consegnarsi” nelle mani di chicchessia.

Che nesso c’è tra lo psicoterapeuta e il counselor e come, queste due figure professionali possono operare a beneficio di chi vive condizioni di disagio?

L’obiettivo è comune e si pone di aiutare chi lo chiede, a capire che senso dare alla propria vita, circa il rapporto con il lavoro, gli affetti e la propria identità, in funzione del tempo storico e dell’ambiente geografico di appartenenza.

Le modalità operative cambiano perché cambia l’aspettativa dell’utente e la formazione del professionista. Cominciamo da quest’ultimo. Lo psicoterapeuta, è un medico o uno psicologo che ha seguito un corso di specializzazione presso scuole appositamente definite dal Ministero dell’Università e che, attraverso una buona pratica clinica, si occupa di varie forme di disagio personale, partendo dal profondo e senza escludere (vale per i medici, ovviamente) il ricorso all’ausilio farmacologico. Il counselor non necessariamente deve essere un medico o uno psicologo, l’importante è che sia una persona incline a volersi occupare delle difficoltà di relazione interpersonale e si formi in una scuola “valida”. Per spiegare la differenza, provo ad utilizzare un esempio: lo psicoterapeuta è in grado di calarsi all’interno dei “crepacci interiori” fino a raggiungere le profondità più estreme cui è piombato chi soffre, agganciare quest’ultimo e spiegargli come collaborare per risalire verso la luce. Il counselor interviene da questo punto in avanti per insegnargli come si impara a “volare”.

In conseguenza di ciò, non è difficile intuire quali siano le aspettative dell’utenza…

Stati d’ansia, attacchi di panico, mal di vivere, depressioni, fobie e altro ancora, da dove originano?

Per quanto strano possa sembrare, hanno tutte una una motivazione comune

Quale?

La paura.

Cos’è la paura?

Una reazione d’allarme generalizzata nei confronti di un pericolo reale o presunto.

La paura, quindi, fa parte della vita ma, quando crea limitazioni irrazionali, può condizionarla negativamente. Paura di se stessi, paura degli altri, dei luoghi affollati, del buio di rimanere da soli o di stare in compagnia: si può avere paura di tutto.

Questa reazione incontrollata, rappresenta il dazio da pagare alle richieste pressanti di una Società in crescita rapida (o in caduta libera, a seconda dei punti di vista) e si determina perché, sempre più frequentemente, non si è preparati ad affrontare il quotidiano ed il futuro a medio e lungo termine: difficoltà lavorative, del rapporto di coppia e con la collettività in genere (amici, colleghi, figli, genitori, etc.) creano le basi per lo sgretolamento del senso di sicurezza interiore.

Da cosa nascono insicurezza e malessere interiore?

Dalla discrepanza fra ciò che si è realmente e ciò che si vuole apparire.

Oggi più che mai si vive come sui trampoli, con una facciata esteriore che ostenta sicurezza e nasconde i dubbi che non si ha il coraggio di manifestare a sé ed agli altri.

I momenti più critici di una giornata vissuta in questo modo, sono rappresentati dalla sera (questo spiega il dilagare dei disturbi a carico del sonno) e dai primi istanti dopo il risveglio (perché si avverte con angoscia, il peso delle ore da affrontare). Durante il resto del tempo, si cerca l’aggregazione, ci si “rifugia” nelle compagnie, per non restare da soli con se stessi ad ammettere: “io ho paura!”.

Il gruppo e la famiglia, possono essere visti come una rete di protezione?

La famiglia può essere vista come un recinto protetto entro cui “farsi le ossa” ed il gruppo simula ciò che accade nella Società in cui abbiamo leader e gregari. Purtroppo, oggi non c’è più un modello di famiglia “regolare” ed il gruppo va dissolvendosi all’interno delle comunità virtuali di Internet, dove non c’è (molte volte) nessuna garanzia sulla trasparenza delle informazioni e sulla realtà dei messaggi.

Quali sono le conseguenze di questo vuoto di relazioni?

Il più delle volte si cerca una strada per continuare a mascherarsi da persone sicure, fino ad arrivare a sistemi come alcol e droghe che servono a stordire i sensi di inferiorità (salvo poi viverli “amplificati” alla fine dell’effetto di questi tossici).

In verità, l’individuo contemporaneo tende a bloccare il dialogo con se stesso, per non sentire il fastidio nei propri confronti, derivante da scarse realizzazioni.

Qual è la strada da percorrere?

Puntare su se stessi, imparando a valorizzare le proprie potenzialità inespresse, così da affrontare le proprie debolezze e riuscire, finalmente, a stimarsi e proteggersi.

Qual è il senso che ha dato alla Sua vita?

Quello di propormi e raggiungere la realizzazione di Obiettivi a breve, medio e lungo termine. Per il medio periodo, cercherò di giungere ad acquisire il miglior numero possibile di conoscenze al fine di avvicinarmi il più possibile alla “conoscenza”; ovviamente, come breve termine, mi devo mettere in condizione di potermelo permettere, economicamente e mentalmente.

E per il lungo termine?

Lo scoprirò man mano. Vede, la vita è come un videogame nel quale, come scopo, hai quello di giungere ai livelli superiori facendo attenzione a non impantanarti per evitare il “game over”..

E quindi?

Mi piacerebbe essere ricordato, nell’almanacco dei fatti del mondo, all’interno della sezione “Persone utili al superamento dell’angoscia legata alle problematicità della finitezza umana ed in grado di agire per lo sviluppo ed il benessere collettivo”Perché?

Perché ricerco L’autoaffermazione, in maniera corretta, nella misura in cui la consideriamo come quella condizione di chi mira ad esprimere pienamente se stesso (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) ed il proprio ruolo (essere umano integrato nel tessuto sociale, come partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.).

La scienza ci spiega che, quando nasciamo (sotto forma di zigote), riceviamo in “dote” un pacchetto energetico (che si genera dalle reazioni nucleari intracellulari) in leasing, da “restituire” al termine del nostro ciclo di esperienza terrena. Possiamo ipotizzare che l’obiettivo di madre Natura sia quello di “utilizzarci” nell’aspettativa di un “ritorno migliorativo”.

Cioé?

Con le esperienze che portiamo avanti (studio, lavoro, rapporti interpersonali, etc.), “evolviamo” la nostra persona e l’energia a nostra disposizione… e poi, un giorno, la restituiremo! Potrebbe essere questa, la base da cui trae spunto l’evoluzione globale dell’ambiente, per cui ogni generazione si ritrova più “avanti” della precedente. Ruoterebbe intorno a ciò, in fondo, il motivo per cui siamo chiamati a vivere: evolvere e condividere.

Tra l’altro, sul piano puramente “energetico”, riusciremo ad “entrare” nella mente delle persone sotto forma di ricordo di noi, tanto più difficile da cancellare quanto più saremo considerati punti di riferimento positivi o, addirittura, elementi di identificazione: Riusciremo a diventare addirittura “pulviscolo mnemonico”!

A questo proposito ricordo un aforisma di Emily Dickinson: “Una parola muore appena detta: dice qualcuno. Io dico che solo in quel momento comincia a vivere”.

D’altronde, basta osservare, in Natura, la trasformazione, ad esempio, di una foresta, la pianta nasce, cresce, si sviluppa dopo di ché comincia a rinsecchirsi ma, nel frattempo, ha disperso intorno a sé gli elementi fondamentali che daranno vita a nuove piante. In questo modo, la componentistica iniziale, consente la prosecuzione sine die, senza interruzione, senza soluzione di continuità di ciò che è stato, di ciò che rappresenta e di ciò che sarà.

Da studioso dell’essere umano in tutte le sue sfaccettature vorremmo da Lei un commento in merito. In che direzione stiamo andando?

Difficile aggiungere altro, a ciò che tanti “analisti di mercato” si affannano a descrivere e a smentire. Mi sento di affermare che sarebbe opportuno dirigersi, quale che siano le “condizioni atmosferiche” verso direzioni in grado di chiarire le seguenti esigenze:

  • Ricercare il senso dell’esistenza (Perché si deve vivere ?)
  • Migliorare lo standard qualitativo (Come si può “girare” al meglio ?)
  • Camminare verso la verità (In che modo si riesce a distinguere il reale dai falsi miti ?)

Ha mai pensato di entrare in politica?

Se intendiamo con Politica, l’attività di chi prende parte alla vita pubblica, allora non mi tiro indietro perché sono convinto del fatto che in un ambiente positivo si stia meglio tutti quanti. Se, invece, ci riferiamo all’insieme delle questioni, dei fatti che riguardano la vita pubblica, la gestione dello Stato, i rapporti tra gli esponenti politici, etc. allora non credo di avere caratteristiche e qualità necessarie. C’è chi se ne può occupare molto meglio di me.

Uno zoom sul Suo passato: chi era Giorgio Marchese da ragazzo?

Un romantico sognatore che si struggeva all’idea di non riuscire a vedere le stelle nelle giornate di pioggia. Qualcuno mi ha insegnato che, osservando le pozzanghere mi sarei potuto accorgere di eventuali sprazzi di sereno riflessi in esse.

Quale sarà la sua strada, da grande?

Qualche anno fa ho letto Il manuale del guerriero della luce di Paolo Coelho, e mi è rimasta impressa la sua essenza fondamentale, che provo a sintetizzare in poche battute:

“Nella spiaggia ad est del paese c’è un’isola sulla quale sorge un gigantesco tempio con tante campane – disse la donna. Il bambino notò che lei indossava strani abiti e che un velo le copriva i capelli. Non l’aveva mai notata prima. – hai mai visto questo tempio? – gli domandò lei – vai fin laggiù e dimmi cosa ne pensi .- Il bambino si recò sul luogo stabilito e dei pescatori gli spiegarono che l’isola era sprofondata molto tempo prima a causa di un violento terremoto. Solo loro, grazie alla particolare sensibilità ed alla fantasia che contraddistingue ogni lupo di mare erano in grado di sentire il suono delle campane che, come per magia, si diffondeva dalle profondità marine. Il bambino sostò su quella spiaggia, ogni giorno, per lungo tempo nella speranza, vana, di udire qualcosa. Arrivò il giorno in cui decise di abbandonare e, solo allora, libero da condizionamenti e pregiudizi, percepì nitido un armonico accordo di campane: era finalmente pronto…”

Posso dire che mi basterà riuscire ad ascoltare il suono di quella armonica via di fuga dalla mediocrità individuando, all’orizzonte, il punto esatto dove libertà e fantasia si fondono insieme. Ecco, è lì che vorrei andare. Con gli occhi di quel ragazzo… che non mi ha mai abbandonato!

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