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Secondo un’otttica più moderna ma, al tempo stesso, più aderente ai dettami del Giuramento d’Ippocrate, si comincia a cambiare orientamento sul piano della prescrizione farmacologica e, per esempio, valuta con grande attenzione la vera utilità di somministrare un antidepressivo ad un paziente con “male oscuro”.

Non bisogna infatti mai dimenticare che i medicinali possono essere di grande aiuto in casi di depressione maggiore, mentre offrono risultati del tutto sovrapponibili a quelli del placebo quando vengono impiegati nelle forme di lieve entità, ad un dosaggio commisurato al problema, quindi minore , rispetto, a situazioni, appunto da depressione maggiore.

La conclusione è stata pubblicata sul British Journal of Psychiatry ed è di Corrado Barbui, docente di Psichiatria all’Università di Verona, che ha coordinato l’analisi.

Secondo l’esperto, nelle forme depressive minori andrebbero preferiti approcci di tipo psicologico, facendo comprendere la vicinanza di chi lo prende in cura, elemento che di per sé può avere un valore terapeutico.

Gli antidepressivi, stando a criteri di appropriatezza basati sull’evidenza scientifica, andrebbero invece impiegati progressivamente nelle forme più gravi e quindi hanno chiare prove di efficacia nel trattamento della depressione maggiore.

Comunque si intenda proocedere, è utile guardare al farmaco non come ad un elemento capace di risolvere le situazioni quanto, piuttosto ad un coadiuvante nella cura dei sintomi soprattutto quando, questi ultimi, sono particolarmente pervasivi e la persona affetta dalla problematica manifesta limiti nella capacità di auto aiuto” (Mauro Minervini .- Università di Bari ).

Ad ogni modo, per avere un’idea completa del rapporto fra i farmaci e l’attività del sistema nervoso, così da capire l’effettiva interazione e scoprire perchè, a volte gli psicofarmaci non funzionano, conviene continuare la lettura…

Astrociti Superstar…

Prendiamo spunto da questa bella immagine d’insieme per porre l’attenzione sul rapporto di “forze” in termini di strategia e operatività, nel sistema nervoso, a proposito di neuroni e nevroglia. Da quello che si può notare, l’Astrocita si trova in diretto contatto con un capillare da cui trae l’ossigeno che servirà ad attivare le reazioni mitocondriali che produrranno l’energia necessaria ad attivare l’intero sistema nervoso. Inoltre, altri particolari “illuminanti” sono i seguenti:

– Anzitutto il contatto assonico fra Astrocita e neurone (questo sta a significare che l’Astrocita “modula” l’attivazione neuronale “a suo piacimento”)

– Poi, il controllo esercitato, sempre dall’Astrocita, sui bottoncini pre e post sinaptici del neurone (questo significa che l’Astrocita controlla qualità e quantità di rilascio e assorbimento dei neurotrasmettitori; tutto ciò ci spiega che l’efficacia degli psicofarmaci, che agiscono, appunto sui neurotrasmettitori, è direttamente proporzionale alla sinergia astrocitaria: in pratica un farmaco funziona” in base alla “collaborazione” offerta da chi lo assume, circa la disponibilità coerente di aiutarsi a star bene, sul piano psicologico.

In conclusione…

prima di decidere la strategia terapeutica più indicata, sarebbe veramente opportuno stabilire se, il portatore del disturbo abbia reso il proprio percorso esistenziale,un ginepraio inestricabile, alla stregua dell’immagine sotto riportata. A qual punto, meglio sarebbe (quantomeno) provare a spiegare come dipanare la matassa. Altrimenti, sarebbe come indossare un’eficace cuffia antirumore, per non sentire più i sinistri richiami di un meccanismo che “sta per rompersi”…

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