Questa sera viaggiano in ogni direzione, si infilano in tutti i distretti, fanno soffrire.
Da che cosa nasce la solitudine?
Sono stanchissima in questo istante. Correre solleva, ma vorrei di più. Attivarsi, mangiare, passeggiare piacevolmente. Poi di nuovo casa a fare mille cose, risistemare allegramente.
La consapevolezza del controllo, senza capirne il senso. O forse si….
Perché si osserva bene dentro, si guarda dappertutto senza lasciare sfuggire nulla? Diventa un logorio mentale che sfibra, distrugge i pensieri migliori e si finisce per perdere la libertà.
Mi sento piena, ormai so che quando questa sensazione pervade devo prendere la penna, devo scrivere, qualche cosa verrà fuori. Forse di bello, chissà!
La mia musica accompagna i momenti più importanti, fin dal mattino presto quando riapro gli occhi al mondo, quando chiacchiero, quando sono in compagnia, in viaggio, in volo sulle mie gambe. Sempre.
Ma… sento un peso a fianco, quest’oggi non mi vuole proprio abbandonare. E’ un peso che riempie un vuoto che ormai, sono quasi convinta, non riuscirò mai più a colmare. Non so cos’è che è mancato, forse l’affetto di chi è andato via troppo presto o di chi non è mai riuscito ad arrivare e non serve conoscere il perché. In fondo lo so bene…
E’ importante rafforzarsi, oppure si ha bisogno di “più”? Perché quando sento di viaggiare sulla giusta lunghezza d’onda improvvisamente mi trovo a sprofondare? Come posso spegnere i pensieri, anche solo per mezz’ora? Quest’ora è tarda, non si può fare molto.
Mi spaventa la fragilità delle persone: penso a chi soffre senza capire e mi affliggo come se succedesse a me.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime e non reggo le violenze, provo rabbia e vorrei fare di più.
Protendo verso un periodo di solitudine, ma temo nel restare con me stessa.
Vorrei non parlare più, ma in fondo lo faccio già.
Preferisco il lato che affaccia sulla finestra quella grande, vedo così un pò di casa mia e un pò di montagne. E mi piace. E lì ad un certo punto ogni tanto finisco per raccontare i miei sogni, quelli che faccio più spesso, che denotano le mancanze e lasciano un po’ di dispiacere.
Mi viene facile descrivere senza dare la possibilità di fare la domanda. So bene che non è corretto però, verso gli altri e soprattutto verso me stessa. È come parlare una lingua incomprensibile, che non si ascolta, svanisce nello stesso momento in cui viene fuori. E anche se allevia un po’ il dolore non fortifica, è solo un modo per non contare nemmeno sulla propria persona.
È un freddo che ci si porta dentro il letto. Nulla riuscirà a riscaldare. Beato chi riesce a dar voce alle proprie lacrime.
Guidano il percorso della mia vita le insicurezze, ma ciò non mi spaventa, anzi lo preferisco alla pienezza delle certezze. Voglio sbandare quando accelero, perdere la strada e sfibrarmi alla ricerca della casa. Anche se ha un caro prezzo da pagare.
Alla fine di questa serata mi accorgo di non aver levato via tutti gli abiti, potrei però andare avanti così tutta la notte. È fantastico, mettere le attività di pensiero nelle parole. Potersi esprimere. Lo so che sarebbe meglio urlare a voce alta, ma, anche questo è un modo, dà una mano. A smaltire l’ansia. Ormai non ricordo più come si viveva quando non la si conosceva.
Sperare di trovare un po’ di pace nel silenzio della notte. L’ultima cosa che sfiora il mio pensiero accarezza la strada che corre alla ricerca di un tramonto da catturare. Forse è preferibile aspettare, non avere troppa fretta.
Biologa CNR, Counselor. Responsabile “gestione area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line