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Cosa sono le nanotecnologie? Qual è il legame coi tumori?

Molto più di quello che immaginiamo.

Come noi vediamo il futuro.

Bellissima questa frase iniziale a trasferire le nostre capacità, interessi, il nostro progetto, sempre tassello da incastrare nel già ricco panorama scientifico internazionale.

Per nanotecnologie si intende tutto quello che ha a che fare con dimensioni comprese fra 100 e 1 nanometro ossia un miliardesimo di metro, quindi quello che è invisibile all’occhio umano. Il vantaggio di ciò si traduce principalmente in una minore distanza fra le particelle interagenti e, applicando questo concetto alla biologia e medicina, si intuisce che migliora l’interazione con le cellule e le molecole organiche.

Negli ultimi anni l’applicazione della nanotecnologia alla medicina ha subito un notevole incremento date le potenzialità di questo strumento. Una particella di dimensione nano, opportunamente funzionalizzata, potrebbe essere in grado di raggiungere in maniera selettiva un determinato organo o apparato, entrare nella cellula, identificare e riconoscere i marcatori di una patologia, essere “caricata” di farmaci, raggiungere il sito desiderato e rilasciare solo ed esclusivamente lì quello che trasporta. In queste possibilità risiedono molti concetti importantissimi per la medicina, che vanno dalla diagnosi alla cura, e, a volte anche insieme, come vuole la teragnostica, termine adoperato per indicare una serie di tecniche che sfruttano le proprietà di alcune nanoparticelle per effettuare contemporaneamente diagnosi e terapia.

La prima cosa indispensabile da studiare, in ogni caso, è l’interazione fra questi nanomateriali e i sistemi biologici. Nonostante le piccolissime dimensioni, la possibilità di essere funzionalizzate e quindi di essere indirizzate in maniera specifica, il comportamento della materia a livello nano può avere degli effetti collaterali non trascurabili. Le nanoparticelle potrebbero essere eliminate così velocemente da non svolgere la loro azione e di contro accumularsi nei tessuti od organi e causare fenomeni di tossicità. A tale riguardo gli studi, in relazione ai nanomateriali usati, sono numerosissimi e la letteratura è in fase esponenziale crescente e riguardano soprattutto i test sperimentali sulle colture cellulari.

Una particolare classe che ha suscitato notevole interesse è rappresentata dalle nanoparticelle d’oro. L’uso dell’oro rispetto agli altri metalli è giustificato da una serie di vantaggi: può essere facilmente funzionalizzato con una varietà di composti chimici, la sua ossidazione è molto debole, l’oro non è citotossico. Esiste poi una proprietà ottica che ne fa uno strumento ottimale: attivate da una sorgente laser, le nanoparticelle d’oro hanno la capacità di convertire la luce in calore, diventando nano-sorgenti ideali di calore e diventando ideali per le applicazioni biologiche.

Sfruttando le proprietà di questi nanomateriali, una delle più importanti applicazioni biomediche si propone di trattare i tumori, come terapia alternativa a quelle già esistenti. Parliamo della PTT (Photothermal Therapy) che si basa essenzialmente su questo concetto: l’attivazione con un raggio laser di moderata intensità permette alle nanoparticelle d’oro di generare calore che può essere utilizzato per indurre il danneggiamento delle cellule tumorali. Per ottenere un trattamento efficace i requisiti richiesti alle nanoparticelle sono molti, ma uno dei più importanti richiede il trasporto specifico all’interno dei tumori per limitare la generazione del calore nei tessuti circostanti sani. In tal modo il bersagliamento è specifico ed in questo si differenzia dalle altre terapie attualmente in uso, come la radioterapia o la chemioterapia, che non sono in grado di discriminare fra tessuti sani e malati. Per ottenere il trasporto specifico la superficie delle nanoparticelle d’oro viene ad essere funzionalizzata con anticorpi, proteine, o altre molecole in grado di riconoscere i recettori espressi sulla membrana delle cellule tumorali, favorendo quindi il legame e il riconoscimento.

Per dare una idea di come la ricerca lavora in tal senso ed i progressi raggiunti citiamo un paio di lavori che riguardano le applicazioni, precisando che innumerevoli sono quelli pubblicati fino ad ora.

Una delle proprietà delle cellule tumorali è la capacità di vivere in condizioni di poco ossigeno e per far fronte a questa carenza esprimono sulla loro membrana un enzima, l’anidrasi carbonica 9. Sfruttando questa caratteristica, in un recente lavoro italiano, Ratto, F., Witort, E., Tatini, F., Centi, S., Lazzeri, L., Carta, F., Lulli, M., Vullo, D., Fusi, F., Supuran, C. T., Scozzafava, A., Capaccioli, S. and Pini, R. (2015), Plasmonic Particles that Hit Hypoxic Cells. Adv. Funct. Mater., 25: 316–323., nanoparticelle d’oro sono state funzionalizzate con un inibitore di questo enzima in grado di raggiungere e riconoscere le cellule tumorali. Legandosi in maniera selettiva a queste cellule le nanoparticelle con l’inibitore dell’enzima vengono attivate da un raggio laser generando calore che viene utilizzato per distruggere le cellule tumorali. Questi importanti esperimenti sono stati finora condotti sulle colture cellulari dimostrando che in tal modo le cellule cancerose possono essere riconosciute e distrutte. Questo strumento apre ora l’importante strada ai test sui modelli animali.

Un altro importante lavoro, Paviolo, C., Chon, J. W. M. and Clayton, A. H. A. (2014), Inhibiting EGFR Clustering and Cell Proliferation with Gold NanoparticlesSmall., sfrutta il ruolo dei fattori di crescita che sono coinvolti nel 20% dei tumori. I fattori di crescita stimolano la crescita cellulare attraverso il legame ai recettori presenti sulla membrana delle cellule. Una volta avvenuto questo legame si ha una variazione conformazionale dei recettori che inviano alla cellula un segnale che stimola la proliferazione. In questo studio i ricercatori hanno inibito la crescita cellulare utilizzando cellule HeLa, una linea cellulare cancerosa della cervice uterina e funzionalizzando con fattori di crescita delle nanoparticelle d’oro. Queste si legano ai recettori delle cellule HeLa impedendo il raggruppamento dei recettori stessi necessario per il funzionamento e prevenendo in tal modo fisicamente il corretto legame dei fattori di crescita ai recettori spegnendo così il segnale di crescita cellulare.

Come noi vediamo il futuro.

Beh, indubbiamente lavoro ne è stato fatto tanto in tal senso, ma tantissimo ancora ce n’è.

C’è spazio per partecipare e offrire un nobile contributo?

Noi, ce la mettiamo tutta.

Ferdinanda Annesi Biologa C.N.R.

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