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Un vero e sincero sentimento di solidarietà non conosce distanze…


Forse, a qualcuno, questa intitolazione potrà suonare retorica, se non forzata;

in realtà, questo mio saluto, a chi mi è vicino per spiritualità, vuole essere l’espressione di un sentimento di viva solidarietà verso chi ha saputo emergere dall’oceano del male per approdare alle fresche aure dell’umida spiaggia purgatoriale di dantesca memoria.

La vicenda umana di Vincenzo – Vince – avrebbe, certamente, interessato il più grande saggio dell’antichità: parlo di Socrate, se a Socrate fosse capitato di dialogare con Vincenzo Andraous; ma, a conforto del percorso del suo rinnovamento morale, prendo a prestito il messaggio di umana solidarietà e comprensione che Socrate esprime nel famoso dialogo platonico dal titolo “l’Ippia minore”.

In sintesi, il grande filosofo Socrate considera persona malvagia chi commette colpa involontariamente, rispetto a chi tale colpa commette, invece, in pieno esercizio della volontà. A prima vista, l’argomentazione socratica sembra un’assurdità che resta inconcepibile nella coscienza della collettività e, soprattutto, nelle determinazioni codificate della legge penale; in verità, l’originalità della tesi socratica non è paradossale, nè repellente; eppure, chi viola la legge, chi compie mendacio non può che essere colui che sa, perché ha consapevolezza del male che compie o della menzogna che afferma; mentre colui che non sa può solo dire cose errate, e la sua colpa non sarà dolosa, ma involontaria.

Allora ci si domanda: quale delle due persone – tra colui che sa e colui che è ignorante – è da preferire? Socrate non ha dubbi: egli preferisce l’errore di chi ha una indole buona, perché costui sarà sempre capace di riconoscere il male commesso, oltre che elevarsi alle vette della libertà, perché cosciente e libero di rinunciare alla violenza; non così l’ignorante, al quale è deficitaria la volontà e, quindi, la saggia facoltà di scegliere tra il male ed il bene.- Non a caso, il fondamento della fede cristiana è costruito sul “libero arbitrio”, proprio perché pecca chi sconosce il Bene, ma è assai più deprecabile colui che avviato per i sentieri dell’amore, devia dagli stessi per ignavia di indole e pochezza di intelletto.

Ormai Vincenzo è un’anima libera, affrancatasi dal male, non più offuscata dai tumidi pensieri della violenza, rinato e svincolato dal peccato, dai corrucci e dal sangue; né le ferree grate del suo reclusorio potranno frenare il suo sguardo verso il mondo delle Idee platoniche.

 

Questo il mio saluto affettuoso a Vincenzo, al quale invio il mio augurale voto per il riacquisto di una libertà piena che si assommi alla libertà del suo pensiero, mentre elevo la mia preghiera a quanti vorranno associarsi a questo mio messaggio di solidarietà, affinché Vincenzo possa, in un prossimo futuro e definitivamente, lasciare il maleodorante pagliericcio del suo reclusorio.

Giuseppe Chiaia ( preside ) – 27 settembre 2003