Posted on


Quando viene meno la dimora abituale?

La residenza di una persona, ai sensi dell’art.43
del codice civile, è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè
dall’elemento oggettivo dellapermanenza in tale luogo
e dall’elemento soggettivo
dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle consuetudini di vita e
dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.

Ai sensi dell’art. 2 della Legge 24 dicembre 1954, n. 1228,
che disciplina l’ordinamento delle anagrafi della popolazione residente, ognuno
ha l’obbligo di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la
potestà genitoriale o la tutela, l’iscrizione nell’anagrafe del Comune di
dimora abituale, con obbligo di denuncia del trasferimento di quest’ultima sia
all’anagrafe del Comune della nuova residenza sia all’anagrafe del Comune di
precedente residenza.

Come precisato dalla giurisprudenza, l’iscrizione anagrafica relativa alla residenza di una persona ha pur sempre
valore di presunzione semplice in ordine alla rispondenza della situazione di
fatto a quella di diritto, sicché, pur dovendosi presumere che la residenza
effettiva coincida con quella anagrafica, l’efficacia presuntiva delle
risultanze anagrafiche è superabile con ogni mezzo di prova, purché idoneo a
dimostrare la volontaria e abituale dimora di un soggetto in un luogo diverso.

 

La stessa norma citata -art.2 Legge n.1228/1954-
prevede che “L’assenza temporanea
dal Comune di dimora abituale non produce effetti sul riconoscimento della
residenza
”. Ciò vuol dire che la durata della dimora non va intesa come assoluta continuità
della medesima in un luogo, ma soltanto come abitudine
alla dimora, che non viene meno, ad esempio, nel caso in cui si lavori in altro
luogo, purché si confermi l’abitazione nel primo e vi si ritorni quando è
possibile.

Pertanto, il requisito della “dimora abituale” in un determinato luogo non vien meno in presenza di spostamenti di carattere contingente e
transitorio.

 

 

Erminia Acri-Avvocato