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Impossibile per me non risponderle dopo aver letto il suo articolo Una questione di senso in cui ho rivisto i miei tormenti quotidiani.

“Allora, cos’è che ancora sfugge?”. Sfugge, forse, il concetto di accettazione. O, se si vuole essere più brutali, “rassegnazione”. Parola detestabile e odiosa al punto che la maggior parte delle persone neanche vuole sentirla nominare. Eppure ha un suo fascino, proprio perché così tanto rifiutata e non considerata, proprio perché talmente brutta da non voler essere mai presa in considerazione. Rassegnarsi al fatto che le cose stanno così e non possiamo far niente per cambiarle. Ci possiamo mettere tutto il nostro impegno, possiamo scovare in noi forze sconosciute, una volontà che non credevamo di avere – quella stessa che ci aiuta tendendoci la mano a rialzarci quando siamo col sedere per terra e proprio non riusciamo ad andar su da soli -, diventiamo capaci delle riflessioni più profondamente sagge, percepiamo stati emotivi che ci fanno sentire diversi da una massa di gente che domande come le sue non solo non se le è mai poste ma che guarderebbe con gli occhi sgranati se le rivolgessimo loro. Riusciamo a studiare concetti difficili per molti e farli nostri, scopriamo affascinanti meccanismi del cervello umano che ci forniscono le risposte ad inquietudini di ogni sorta e bla bla bla, ma… Ma alcune cose proprio non cambiano! E allora, tanto vale accettarle! Farsene una ragione e rassegnarsi! Ipocrita dirle che è possibile adattarsi ad esse creando un nuovo equilibrio. La verità è che a certi terrori della mente non ci si può adattare in nessun modo, si possono solo subire. Bene, che sia. “Quello che non ti uccide ti fortifica”. Basta ribellarsi con tremila perché fino a perdere il sonno “quando si credeva di aver trovato un po’ di pace”!, basta pensare che non si è stati capaci di aiutarsi e cambiare le cose!, basta credere che in certi casi è come se “non fossimo mai davvero partiti”! Il percorso di crescita non solo lo abbiamo seguito affrontato e gestito ma abbiamo raggiunto e conquistato tappe inimmaginabili all’inizio! Ce l’abbiamo messa tutta a cambiare, di più non potevamo, sarebbe stato come sputarsi in faccia allo specchio, qualcosa di noi dobbiamo pur conservarlo! E salvarlo.

Oppure. Un’alternativa c’è.

Continuare a porsela ogni mattina quella domanda. Per sentirsi autentici, diversi e vivi. Vivi per davvero dico. Vivi in modo originale e unico. Sentirsi “speciali”. E amare ogni cruccio dell’anima perché è quello che ci fa da sprone a non appiattirci ed uniformarci ad un mondo sempre più insipido. Troppo speciali perfino per essere amati.. e si! Perché quando poi si diventa così preziosamente rari è un bel problema trovare un altro così preziosamente raro in giro che voglia essere la tua metà mela! Paradossale? Sì. Essere speciali è una cosa rara e bella; e per tutte le cose belle bisogna sostenere un costo.

Perdersi più volte al giorno. E ritrovarsi almeno la metà delle volte.

“La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. E’ più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. E’ difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta. L’altra cosa che io ripeto, e spero che tu la capisca, è di essere cosciente di quello che ti succede. Non prenderlo alla leggera. Bisogna essere all’erta e prendersi dei momenti da soli, di silenzio, di riflessione, di distacco. E guardare” (T. Terzani – La fine è il mio inizio).

Cordialmente,

Maria

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