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Comunicazione: dal latino communicatio (cum – insieme, munus – comune), significa condividere, mettere in comune.

Questa valenza, però, viene sempre più a mancare nella nostra società.

La verità è che stiamo disimparando a comunicare, nel vero senso e significato del termine.

I mass media, così come le relazioni sociali sempre più superficiali e frenetiche, ci danno l’impressione di essere coinvolti in un incessante scambio comunicativo: mera illusione.

Siamo catapultati in un universo ridondante, bombardati da informazioni e parole, che rendono difficoltoso l’apprendimento e la vera esperienza comunicativa.

Questo genera inevitabilmente l’innalzamento di barriere piscologiche che ci rendono sempre meno disponibili all’ascolto reale, generando un paradosso sociale: più notizie, relazioni, informazioni, meno apprendimento, esperienza, condivisione.

Siamo, però, animali sociali: se la società dell’ informazione ci impedisce di comunicare (nel vero senso della parola), compromette il rapporto coi nostri simili sottraendoci un bisogno fondamentale inscritto nella nostra natura.

Einstein affermava che “nessun uomo è un’isola, la sorte di ognuno è legata a quella dei propri simili. L’individuo non può vivere senza il contatto con gli altri, la mancanza di questo provocherebbe conseguenza gravi a livello emotivo”.

Perché l’uomo cerca compagnia? Per il bisogno di affiliazione, di contatto sociale, per la necessità di ridurre l’ansia generata dalla solitudine involontaria e per la ricerca di informazioni che ci permettono di evolverci.

Inoltre, come sostiene l’antropologo Karl Popper, l’Altro è una componente costitutiva del Sé: così come impariamo a riconoscerci in uno specchio, allo stesso modo ci identifichiamo nelle relazioni con gli altri attraverso la coscienza che hanno di noi.

Alla base di una buona comunicazione c’è una certa maturità: saper entrare nell’ identità dell’atro, fermarsi ad ascoltare e comprendere, senza perdere la propria identità.

Si tratta di qualcosa di più del mero scambio di informazioni: è un dialogo, un andare oltre per raggiungere l’altro.

Questo è possibile attraverso l’ascolto cosiddetto Attivo: alla base di una comunicazione efficace c’è la capacità di fermarsi e concedere il proprio tempo, cosa non più ovvia alla luce dei futili scambi comunicativi in cui siamo quotidianamente coinvolti (per esempio, chat e social network, comunità virtuali e non reali).

Nella nostra società l’ascolto viene percepito come audience, strumento di potere e di condizionamento e non come ricezione e accoglienza dell’ altro.

C’è una grande differenza tra sentire e ascoltare: non dobbiamo limitarci a recepire parole, ma interpretarle e comprenderle.

Quindi, per costruire relazioni e comunicazioni positive, la prima regola è imparare ad ascoltare davvero: imparare a cambiare punto di vista, prendere in considerazione quello degli altri, praticare l’ empatia, andare oltre le proprie certezze esplorando i mondi possibili, gestire i conflitti e le emozioni, superare i propri schemi mentali (giusto-sbagliato, vero-falso, normale-anomalo).

Sulle basi si questo problema sociale, sono nati veri e propri gruppi di assistenza volti ad allenare all’ ascolto attivo.

Quanto tempo ci diamo per pensare? Imparando a darci il giusto tempo, necessario ad apprendere qualcosa di nuovo che ci spiazzi e ci consenti di evolvere, saremo in grado di migliorare noi stessi e il rapporto con gli altri, stabilendo legami sinceri e reali.

E questo, ricordiamolo, è un bisogno e diritto inalienabile.

Francesca Argentati – Dottore in Scienze della Comunicazione, Editoria, Informazione e Sistemi Documentari

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