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Rilassamento, cura di sé, attenzione per quello che attira ancora la nostra curiosità.


Esiste una metodologia per riuscire a godere pienamente, fino in fondo, di quello che è il nostro periodo di vacanza?

 

Dovrebbe essere una metodologia che è inutile cercare sui libri. Infatti, tu puoi “inzeppare” la mente di miliardi di informazioni, ma nel momento in cui non riesci ad usarle (perché non hai imparato come sapertele gustare) è come avere la dispensa di casa piena però non riuscire ad organizzare nulla per quanto concerne il pranzo.

Perché?

Cattivo utilizzo delle risorse economiche, della risorsa tempo (che è ancora più importante), di quella economica, etc.

Che metodologia utilizzare?

Quella che dovremmo mettere a punto durante tutto l’arco dell’anno, quella che dovrebbe servirci a capire che senso ha restare al mondo, che senso ha consumare questa risorsa chiamata tempo all’interno della quale noi coloriamo la nostra vita (e, in funzione di come stiamo vediamo sfumature che possono essere scure o chiare o miscelate perché le emozioni sono tante e diversamente modulate in base ai momenti).

Cos’è un metodo?

Un qualcosa che applichi dopo aver stabilito la sua validità e da cui ti aspetti un risultato. E che cosa puoi applicare? Puoi applicare te stesso in base a come gli altri te lo consentono. E allora sembra indelicato suggerire delle ricette specifiche perché facile sarebbe dire: “Allontaniamoci dalle persone che ci stancano con i loro discorsi, allontaniamoci dagli ambienti che ci opprimono con i loro fumi di ogni genere e proviamo a stare a contatto con la parte migliore della natura per cercare a ritrovare noi stessi”.

E chi non lo può fare, fisicamente parlando? E chi non lo può fare, familiarmente parlando? E chi non lo può fare, umanamente parlando? A questo punto come dovrebbe sentirsi?

Allora tribola tutto il tempo e poi si sente dire tutto ciò che non vorrebbe ascoltare perché lo porta a considerarsi come la plebe o il volgo di medievale memoria, quando passava il signore e lanciava degli avanzi di cibo o di danaro pensando di fare qualcosa di buono, ma in realtà faceva percepire al popolo la differenza che c’era fra quest’ultimo e lui o lei… e difficilmente tale cosa rendesse felice la gente.

Vogliamo dunque provare ad essere più gentili? Vogliamo provare ad essere un po’ più sinceri? Vogliamo provare ad essere un po’ più veri nell’intrinseco significato di questi termini? Vogliamo provare a rispettarci un po’ di più? Vogliamo provare a volerci un po’ più bene? Vogliamo provare a fermarci quel tanto che basta per stabilire cosa abbiamo che funziona?

Cosa abbiamo a cui non abbiamo mai dato peso a sufficienza? Che cosa potremmo perdere? Solitamente si dà valore a qualcosa, quando questo qualcosa lo hai perduto o stai per perderlo. E perché non te lo godi prima, perché non ce lo godiamo prima… soprattutto nel durante?

Una volta ho ascoltato una bellissima lezione di vita da un signore che lavorava nella stessa struttura sanitaria dove, per anni, ho prestato la mia opera professionale, soprattutto di notte. Siccome costui era sempre di buon umore, gli chiesi il motivo di questo suo modo di osservare la vita.


“Ma come fai ad essere sempre così felice?”.


“E’ una cosa semplice; voi state vedendo che bevo un po’ d’acqua… bene, immaginate se noi due in questo momento, ci trovassimo in un ambiente caldo, umido, a sudare, assetati e non avessimo acqua a disposizione… come ci sentiremmo a trovarci davanti ad un misero bicchiere di plastica con l’acqua dentro?”. Io, di rimando: “Sarei l’uomo più felice del mondo”.

“Caro dottore, io sto bevendo e sono l’uomo più felice del mondo; è questa la mia filosofia di vita”.

Quindi, cosa significa?

Diamo valore a quello che abbiamo, pensando che potremmo perderlo; ciò, non per farci del male, non per essere sadici, ma perché in questo modo andremo ad attivare la parte ortosimpatica del neurovegetativo… che è quella che tiene desta l’attenzione dei bambini quando tu racconti delle favole in cui c’è molta suspence, quello che desta l’attenzione degli adulti quando guardano quei film ad alta tensione.

Rilassamento, cura di sé, attenzione per quello che attira ancora la nostra curiosità.

 


G. M. – Medico Psicoterapeuta