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L’importanza del “sorridere” alla vita.


 

News Neuroscienze P.N.E.I.

Da quindici anni, il medico indiano Madan Lan Kataria cura i suoi pazienti insegnando l’arte della risata. E’ diventato una star grazie al film del regista “Mira Nair The Laughter Club Of India” e adesso diffonde nel mondo il suo metodo ribattezzato Laughter Yoga, lo yoga della risata. Questa disciplina unisce il sorriso forzato alla meditazione e promette di curare con 15 minuti di risata al giorno, malattie come la depressione e i tumori. I meccanismi sarebbero nascosti nel rilascio di endorfine, che favorendo l’ossigenazione del sangue, porta alla produzione di emoglobuline, cioè degli anticorpi. Ma prima ancora era stata la Humour Therapy a superare le resistenze degli scettici. Il maestro Kataria sostiene che i benefici del buonumore possano essere indotti dalla risata forzata, provocata ad arte senza nessuna spiritosaggine. Sono 60 mila le persone che studiano il Laughter Yoga in 60 diversi paesi, 400 i club negli Stati Uniti dove si tengono corsi.

Al di là di tutto ciò che è possibile considerare circa il rapporto fra la risata e gli effetti positivi a “cascata”, è fondamentale partire dal seguente presupposto:

ridere (a patto che non sia una patetica autoironia) o sorridere, evidenzia un buon rapporto con la nostra identità, sul piano dell’autoaccettazione, dell’autocomprensione, dell’autoconsiderazione, dell’autoconciliazione.

La storia di come Norman Cousins (giornalista e ricercatore della facoltà di Medicina dell’UCLA -USA, che curò la propria malattia utilizzando anche gli effetti del ridere) riuscì a salvarsi, gira intorno a quella verità che gli antichi romani conoscevano bene e chiamavano “vis medicatrix naturae” -la forza curativa della natura (Tiziano Terzani – Un altro giro di giostra – Tea ed.)

A Cousins viene diagnosticata una patologia che la medicina “allopatica” non riesce a debellare e lui, con tenacia e determinazione mobilita le sue risorse interne e stimola quella spinta alla vita che ognuno di noi ha dentro di sé. L’idea gliela fornì il famoso medico Albert Schweitzer che andò ad incontrare in Africa.

Il grande medico lo portò nella foresta ad osservare l’arte medica degli sciamani che curavano con rimedi a base di erbe, o con una rudimentale forma di psicoterapia. Solo coloro che erano affetti da patologie particolari (fratture, ernie, gravidanze extrauterine, etc.) venivano inviati, da loro stessi, in ospedale.

“Dott. Schweitzer, come si può accettare l’idea di essere guariti da uno stregone?”

“Lei mi chiede di svelarle il segreto che tutti i medici, a cominciare da Ippocrate, hanno tenuto nascosto!”

“Quale segreto?”

“Gli stregoni guariscono allo stesso modo di noi medici. Il paziente non lo sa ma il vero medico è quello che ha dentro di sé. Noi abbiamo successo quando diamo a quel medico la possibilità di fare il suo lavoro!”

 

In fondo, non siamo noi a curare i nostri pazienti… semplicemente, gli stiamo vicini e facciamo il tifo mentre loro curano se stessi! (E. Fromm)

 

 

Giorgio Marchese – Medico Psicoterapeuta – docente di Psicologia fisiologica c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – ROMA