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Anche chi è in stato vegetativo può essere cosciente.


  

News neuroscienze

 

Il gruppo di lavoro sullo “stato vegetativo e di minima coscienza” istituito dal ministero della Salute dopo il caso di Eluana Englaro, stabilisce che questi pazienti percepiscono il dolore e quindi vanno trattati con medicine adeguate. Non si può escludere quindi la presenza di elementi di coscienza nei pazienti in stato vegetativo. Il livello e la qualità di tali elementi di coscienza variano, verosimilmente, da paziente a paziente, anche in dipendenza dal contesto ambientale e, soprattutto, dai motivi che hanno generato il coma.

Contrariamente a quanto finora sostenuto, lo stato vegetativo non è caratterizzato dalla mancata coscienza di sé e dell’ambiente.

Il presidente del gruppo di lavoro, il sottosegretario Eugenia Rocella aveva dichiarato, all’indomani della morte di Eluana, la sua contrarietà all’eutanasia di Stato e annunciò che il vuoto normativo sul tema del fine vita non sarebbe stato più lasciato all’interpretazione della magistratura, ma sarebbe presto stato colmato da una legge.

Per gli esperti della commissione ministeriale (Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman) questi pazienti caratterizzati dalla “mancanza di coscienza del sé e dell’ambiente”, in realtà, percepiscono il dolore. Nel loro stato di “incoscienza a occhi aperti” soffrono; pertanto il gruppo di lavoro raccomanda di “estendere la prescrizione di antidolorifici a tutti quelli in stato vegetativo ai quali siano diagnosticate verosimili fonti di dolore come ascessi e piaghe da decubito”. Quello su cui erroneamente ci si è concentrati finora, però, riguarda solamente la percezione delle sensazioni dolorose inviate da recettori periferici specifici: i cosiddetti “nocicettori”. In realtà, la domanda più affascinante e, al tempo stesso, sconvolgente, è la seguente: “che emozioni prova, una persona in coma? È cosciente della propria situazione? Potrebbe vivere l’angoscia di una mente prigioniera di un corpo inerme”?

Non si è in grado di stabilire quanto una persona si connetta emotivamente col mondo esterno, in particolari condizioni come quelle del coma. Di sicuro è che, la comunicazione relativa al rapporto con se stessi (almeno sul piano inconsapevole) non cessa e, anzi, determina una modalità di funzionamento “protettivo” tale da facilitare un distacco emotivo rispetto alle cose del mondo esterno. In sostanza, chi osserva la persona in coma, soffre pensando che, quest’ultima stia patendo per la propria condizione senza sapere che, in realtà, è completamente distaccata e disinteressata, essendo connessa con la parte più profonda di sè. È come se fosse preparata ad attendere la ripresa o l’exitus come uno spettatore molto indifferente.

Fonti

  • La Repubblica, pag. 1. 15.
  • www.edott.it7 giugno 2010

 


Giorgio Marchese – Medico Psicoterapeuta – docente di Psicologia fisiologica c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico (SFPID) – ROMA