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In questo lavoro, così come negli altri della medesima categoria, si riportano estrapolati di colloqui analitici, finalizzati ad affrontare argomenti di interesse pubblico. L’operazione, con il consenso degli interessati, rispetta tutti i dettami della legge sulla Privacy ed i principi del rispetto e della correttezza professionale.

BUONA LETTURA

Caro Dottore, dopo aver affrontato tematiche personali e dolorose, questa volta, pur partendo da condizioni personali, vorrei essere più “tecnico” e trattare il tema della dispercezione, di cui non avevo mai sentito parlare prima di incontrarla.

Vorrei capire come si determina un meccanismo simile. Difatti mi capita di percepire in maniera alterata e magari di lasciarmi trascinare da una serie di emozioni e di sensazioni che mi oltrepassano e che mi danno visione non giusta dell’accaduto. Questa è una cosa che mi angoscia.

Cerchi di essere più concreto, perché io abbia la possibilità di analizzare il contesto e fornirle la risposta più adeguata.

Farò un esempio pratico, sull’attività che faccio più spesso: guidare. Dopo avere effettuato una manovra, mi capita spesso la sensazione di non averla fatta bene, anche se consapevolizzo di avere agito bene; però, poi, mi vengono questi ripensamenti.

Mentre effettua la manovra, o a seguito di riflessioni successive?

Accade dopo.

Allora è possibile che si tratti di valutazioni non aderenti alla realtà. Mi spiego meglio: la dispercezione è un’alterata visione di quello che sta accadendo; la motivazione può essere di tipo organico, psicologico o per intossicazione da farmaci, alcolici o droghe. E’ organica nel caso di patologie che intossicano il sistema nervoso. E’ psicologica (ed è il caso più frequente) perché, essendo la percezione una funzione “periferica” del pensiero, qualunque disturbo (stanchezza, conflitti, condizionamenti di vario genere, etc.) può creare le condizioni perché si prendano lucciole per lanterne. In pratica, si cerca in memoria qualcosa con cui comparare quello che si deve riconoscere e si sbaglia a scegliere il dato, per cui erroneamente si percepisce qualcosa che non esiste.

Il suo problema, piuttosto, riguarda una valutazione scorretta che mette in atto dopo aver percepito adeguatamente: lei in realtà effettua una manovra corretta, ma per motivazioni legate a frustrazioni, innesca un meccanismo ossessivo che la convince di aver sbagliato; siccome sa che, se sbaglia a guidare si innervosisce (e così non pensa a problematiche più gravi), questo diventa un meccanismo di protezione. La valutazione è un meccanismo che avviene “a valle”, la percezione si determina “a monte”.

Si è vero, però in alcuni momenti mi perdo nei vortici dell’inconsapevole e non riesco a valutare se una cosa è stata fatta bene o meno o se c’era qualcosa altro da fare , tanto che finisco per farmi trascinare…

Questo è quello di cui si rende conto ma è dovuto ad una serie di riflessioni messe in atto per distoglierla da elaborati sofferenti e importanti. Se, per esempio, lei svolge un’attività lavorativa non gratificante, il rifletterci tutto il giorno diventerebbe insostenibile. Siccome il lavoro incide considerevolmente sull’autostima e sull’autoaffermazione, lei arriverà ad un punto da non poter sostenere questa insoddisfazione se teme di non riuscire a cambiare la sua professione, a meno che non produca dei disturbi (per cui prenderà dei farmaci che la ottundiranno) o vivrà delle ossessioni che la allontaneranno da questi pensieri. Ovviamente, se sarà disponibile a migliorare l’aspetto frustrante della sua attività professionale, il meccanismo che le ho descritto, non si metterà in atto.

Ma perché non riesco ad eliminare le ossessioni dalla mia mente?

Si definisce ossessione quello stato psicologico in cui un’idea si ripete incessantemente a “vortice”, incontrollabilmente e determinando una situazione di angoscia. Alla luce di questa spiegazione, possiamo affermare che l’ossessione le serve per distrarre la sua attenzione dai veri problemi (che ritiene insormontabili). Per raggiungere lo scopo con efficacia, si pone degli interrogativi assurdi, che non possono trovare una soluzione. Più cerca inutilmente un filo logico, più girerà “a vuoto” trascorrendo, in tal modo, la giornata e allontanandosi dal rischio di vedere crollare le sue certezze.

Lei si estrania e si allontana dai veri problemi, ma non dalla realtà, perché risente di fenomeni reali anche se distorti: non è che si costruisce un mondo virtuale entrando in un “cunicolo” psicotico, lei resta nella realtà ma la percepisce male per distrarsi.

E perché mi arrabbio, quando succede?

In questo modo, trova una giustificazione per sfogare la rabbia dovuta, in realtà all’insoddisfazione per i traguardi della vita che, ancora, non ha raggiunto.

Nei miei elaborati mi sento infastidito dal mondo esterno e sento anche un pizzico di noia.

Lei sottutilizza la sua mente e le sue capacità; posso dirle che, nonostante tutto, i suoi malesseri sono pochi rispetto alle sue frustrazioni.

Ma io, blocco le reazioni emotive negative?

No, anzi! Scaricando “fuori” si libera delle tensioni. Però, rispetto al passato, oggi lei ha una migliorata capacità di assorbimento.

Insomma, lasciando uscire queste emozioni mi lascio condizionare finendo per alterare la mia percezione della realtà. Sono tante le sensazioni che provo: paura, noia; di alcune vorrei capirne di più. È possibile?

Lo stiamo facendo. La carica dei suoi malumori è di tipo aggressivo negativo perché ha una qualità della vita non le piace. Dobbiamo darci da fare perché abbia senso alzarsi la mattina e lavorare gratificandosi. Lei ha sempre vissuto tra il configurarsi come essere incapace e una voglia di ribellione a tutto, sublimata attraverso il puntare l’indice nei confronti di ciò che non funziona, nella Società. In buona sostanza, ha portato fuori il disagio contestando il malfunzionamento ambientale, producendo ribellione rispetto alla parte di lei che era convinta di essere incapace. Ecco perché è stato così tenace nel contestare le miserie umane invece di occuparsi di sé: ha usato un meccanismo di proiezione. Tramite la psicoterapia lei impara ad osservare il problema.

E per quanto riguarda la risonanza?

Lei si riferisce alla durata di un’emozione prodotta, in noi, da uno stimolo qualunque: in pratica esprime rigidità o duttilità caratteriale. Più una persona è rigida, più a lungo rimbalzeranno, nella sua mente, i fastidi. Maggiore sarà la flessibilità, minore sarà la durata dell’energia cinetica (di fastidio) determinata dalle frustrazioni. Le riporto il seguente aforisma di Albert Camus: “Quanti delitti commessi semplicemente perché i loro autori non potevano sopportare di avere torto!”

E’ vero, io rimango troppo “agganciato”. Difatti la sensazione che mi attraversa di più è la paura, ad esempio tirando una manovra al limite, con la macchina.

Ossia, facendo una manovra azzardata?

Si esatto. Mi attraversano sensazioni di paura che non riesco ad accettare e, quindi, provo negare i miei stessi stati d’animo. A questo punto, mi lascio “attraversare” da un ideale di perfezione. Anche sul lavoro difficilmente accetto un errore, se capita; magari entro in polemica facilmente con chi mi sta attorno perché è come se volessi scaricare verso il mondo esterno, gridando “la colpa è tua!”. Questo dipende dal fatto che sono molto competitivo con me stesso?

Lei è molto esigente con se stesso ma non competitivo. Se lo fosse, cercherebbe di analizzare l’errore per evitare di ripeterlo: lei invece nega di sbagliare perciò in presenza di un sottostandard non accetta nulla!

Guidando in modo azzardato è normale avere paura ma lei cerca di negare ciò che ha provato opponendosi a errore e paura. Non accettando di averlo commesso non consapevolizza l’emozione corrispondente ma ha necessità di scaricarla: ecco perché mette in atto una serie di meccanismi quali la dispercezioni, etc.

Una cosa che ho frainteso è che il rendimento di una persona potesse essere standard perché non sapevo che dipendesse dall’efficienza del momento (legata a fattori di vario tipo). Adesso vorrei avere una valutazione più corretta degli elementi, maggiore lucidità, etc.

Ma è da poco che sta entrando nei meandri della mente umane e ha bisogno di tempo per stratificare nella memoria i dati acquisiti nelle sedute di analisi!

Come si fa ad accettare l’errore?

In due modi, secondo gli eventi:

  • se è frutto di un evento non programmato, facendo tesoro dell’esperienza;
  • se si verifica nonostante un’adeguata organizzazione di un progetto, evidentemente sono intercorsi fattori impedenti che è bene considerare in una fase ripetitiva; nonostante tutto, dovrebbe concludere che è stata una positiva esperienza.

Chi non l’accetta, non può migliorare i propri standard perché, trovando le motivazioni e scomponendole in parti infinitesimali si scopre il fattore negativo e lo si evita.

L’errore, come deve essere valutato?

L’errore è il risultato di qualcosa che è venuto meno, in relazione a fattori emotivi non valutati o a carenza di preparazione. Insomma, un qualunque fattore che disturbi la corretta processazione globale del Pensiero, può essere responsabile di errori commessi.

Io ho difficoltà perché mi scontro col mio ideale di perfezione: ma è solo un ideale irraggiungibile?

Raggiungerlo è possibile, ma siamo troppo lontani da questo standard. Ci vogliono ancora molte generazioni. Per quanto riguarda il termine “Perfezione” cerchi la definizione sui dizionari in suo possesso e affrontiamo il discorso, la prossima volta.

Il solito aforisma, prima di salutarci?

Un uomo non dovrebbe vergognarsi di confessare di avere torto… che poi è come dire che oggi è più saggio di quanto non lo fosse ieri” (Jonathan Swift)

Ci riuscirò?

Vivere senza tentare, significa rimanere col dubbio che ce l’avresti fatta!” (Jim Morrison)

Va bene, va bene così, grazie.

G. M. – Medico Psicoterapeuta