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Tutela risarcitoria e tutela ripristinatoria.


Il
mobbing non trova nel nostro ordinamento giuridico una normativa
specifica ad esso dedicata, però, le varie forme di
comportamento che ad esso sono ricondotte rientrano, spesso, in
fattispecie già delineate dal legislatore.

Principali
riferimenti normativi:

  • Art.3
    Costituzione: sancisce la
    pari dignita’ sociale e l’eguaglianza davanti alla legge di tutti i
    cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
    religione, di opinioni politiche, di condizioni personali
    e
    sociali, e prevede che devono essere rimossi gli ostacoli di ordine
    economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta’ e
    l’eguaglianza tra i cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
    persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
    all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

  • Art.32
    Costituzione: definisce
    “la
    salute” come fondamentale diritto
    dell’individuo ed interesse della collettività.

  • Art.35
    Costituzione: prevede che è
    compito dello Stato tutelare il
    lavoro in tutte le sue forme.

  • Art.39
    Costituzione:
    garantisce la
    libertà sindacale.

  • Art.41
    Costituzione:
    sancisce la
    libertà di iniziativa economica privata, che, però,
    non può svolgersi in contrast
    o con l’utilità
    sociale, o se reca danno alla sicurezza, alla libertà e alla
    dignità umana.

  • Art.2043
    Codice civile:
    prevede che
    chiun
    que ponga in essere un fatto, doloso o colposo, che
    provochi ad altri un danno ingiusto, è obbligato al
    risarcimento del danno.

  • Art.2087
    Codice civile:
    impone al
    datore di lavoro l’ad
    ozione di tutte le misure e cautele
    necessarie per tutelare l’integrità fisica e la
    personalità morale dei lavoratori.

  • Art.
    2049 Codice civile:
    prevede
    che il datore di lavoro è responsabile per il fatto commesso
    dal proprio dipendente (responsabilità indiretta).

  • Art.2103
    Codice civile: vieta il
    trasferimento del
    lavoratore se non per provate ragioni
    tecniche, organizzative e produttive, e vieta di adibire il
    lavoratore a mansioni inferiori a quelle da ultimo svolte.

  • Art.571
    Codice penale: <<Abuso dei mezzi di correzione o di
    disciplina -Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina
    in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui
    affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o
    custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è
    punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o
    nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva
    una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli
    582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la
    reclusione da tre a otto anni>>.

  • Art.572
    Codice penale:
    <<Maltrattamenti
    -Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente,
    maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni
    quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a
    lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza
    o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è
    punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva
    una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a
    otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da
    sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da
    dodici a venti anni>>.

  • Art.582
    Codice penale:
    <<Lesione
    personale. Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla
    quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito
    con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una
    durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle
    circostanze aggravanti previste negli articoli 583 e 585, ad
    eccezione di quelle indicate nel numero 1 e nell’ultima parte
    dell’articolo 577, il delitto è punibile a querela della
    persona offesa>>.

  • Art.
    583 Codice penale:
    <<Circostanze
    aggravanti. La lesione personale è grave e si applica la
    reclusione da tre a sette anni:

    1.
    se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della
    persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di
    attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai
    quaranta giorni;

    2.
    se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un
    organo;

    [3.
    se la persona offesa è una donna incinta e dal fatto deriva
    l’acceleramento del parto.]

    (numero abrogato)

    La
    lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da
    sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
    1. una malattia
    certamente o probabilmente insanabile;

    2.
    la perdita di un senso;

    3.
    la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto
    inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della
    capacità di procreare, ovvero una permanente e grave
    difficoltà della favella;

    4.
    la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso;
    [5.
    l’aborto della persona offesa.]

    (numero abrogato)>>.

  • Art.
    590
    Codice penale: <<Lesioni
    personali colpose. Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione
    personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la
    multa fino a euro 309.

    Se
    la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a
    sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è
    gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da
    euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono
    commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
    circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni
    sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da
    tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena
    per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre
    anni.

    Nel
    caso di lesioni di più persone si applica la pena che
    dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni
    commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non
    può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a
    querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e
    secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione
    delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative
    all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia
    professionale>>.

  • Art.610
    Codice penale:
    <<Violenza privata – Chiunque, con
    violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere
    qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro
    anni>>.

  • Art.629
    Codice penale:
    <<Estorsione.
    Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o
    ad ammettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un
    ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la
    reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a ero
    2.065. La pena è della reclusione da sei a venti anni e della
    multa da euro 1.032 a euro 3.098 se concorre taluna delle
    circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo
    precedente>>.

  • Art.660
    Codice penale
    : <<Molestia
    o disturbo alle persone – Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al
    pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro
    biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è
    punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro
    516>>.

  • Decreti
    legislativi nn. 215/2003 e 216/2003:

    rispettivamente di attuazione della direttiva 2000/43/CE, in tema di
    parità di trattamento indipendentemente dalla razza e origine
    etnica, e della direttiva 2000/78/CE, per la parità di
    trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro,
    definiscono e disciplinano la ‘discriminazione’ anche in sede di
    occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di
    carriera e le condizioni di licenziamento.

Il
mobbing come malattia professionale.

L’
Inail
ha
iniziato a considerare il mobbing come
malattia
professionale indennizzabile:
infatti
esso è stato inserito nella categoria delle malattie
professionali non tabellari, cioè non comprese nelle tabelle –
con onere della prova del nesso eziologico tra l’ambiente di
lavoro e la malattia contratta a carico del lavoratore -.

Il
Decreto del Ministero del Lavoro del 27.04.2004 riporta nell’elenco
delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la
denuncia ai sensi dell’artico 139 del D.P.R. N° 1124/65, le
malattie psichiche e psicosomatiche derivanti da disfunzioni
dell’organizzazione del lavoro.

Quindi,
l’inclusione nell’elenco di patologie correlabili al mobbing,
come il disturbo dell’adattamento cronico ed il disturbo post
traumatico cronico da stress, ha reso obbligatori, da parte del
medico competente, la denuncia di sospetta malattia professionale,
anche la comunicazione del referto all’autorità
giudiziaria ai sensi dell’articolo 365 del Codice Penale.

Secondo
il decreto, il datore di lavoro, se ritenuto responsabile, dovrà
rispondere di eventuali danni nei confronti dei dipendenti.

Tutela
civile risarcitoria: la responsabilità del datore di lavoro;
la responsabilità del mobber collega della vittima.

La
responsabilità del datore di lavoro per le condotte
mobbizzanti dallo stesso poste in essere viene ricondotta alla
violazione degli obblighi di cui all’art.2087 codice civile,
che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare tutte le misure
necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del
prestatore di lavoro (responsabilità di tipo contrattuale).

La
natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro
è stata affermata anche quando il lavoratore lamenti, oltre
alla lesione di interessi di natura patrimoniale, anche la lesione di
diritti fondamentali costituzionalmente tutelati, quale, appunto, il
diritto alla salute.

Anche
se autore della condotta
mobbizzante è un altro dipendente, la gi
urisprudenza
tende a riconoscere, anche in questi casi, la responsabilità
del datore di lavoro per violazione degli obblighi di protezione di
cui all’art. 2087 c.c., o in applicazione degli artt. 1228 e
2049 c.c., in virtù dei quali il debitore – ossia il
datore di lavoro – è responsabile dei fatti dolosi o colposi
dei terzi di cui si sia avvalso nell’adempimento
dell’obbligazione. Pertanto, il lavoratore mobbizzato da un
altro dipendente può agire sia contro il datore di lavoro –
per violazione degli obblighi di protezione di cui all’art.2087 c.c.
(responsabilità di tipo contrattuale)e/o per omessa vigilanza
sui propri dipendenti ai sensi dell’art.2049 c.c.(responsabilità
di tipo extracontrattuale), sia contro l’autore del mobbing che
risponde dei danni per fatto illecito, in via extracontrattuale, ai
sensi del citato art.2043 c.c..

Quando
le condotte mobbizzanti sono poste in essere da colleghi o superiori
del mobbizzato all’insaputa del datore di lavoro, quest’ultimo potrà
rivalersi nei confronti degli autori delle condotte persecutorie per
gli eventuali danni che venga condannato a rifondere al lavoratore,
ma anche per eventuali danni subiti dall’azienda – ad esempio,
il danno all’immagine-.

Tutela
civile ripristinatoria.

Oltre
al risarcimento del danno il lavoratore ha diritto ad una tutela
ripristinatoria, ossia diretta ad ottenere l’annullamento di tutti i
provvedimenti a lui dannosi (ad esempio licenziamento illegittimo,
demansionamento, dimissioni non frutto di libera autodeterminazione,
ecc.) ed il ripristino della situazione lavorativa antecedente alla
condotta mobbizzante.

Come
si fornisce la prova del mobbing?

Il
lavoratore che lamenti di aver subito comportamenti mobbizzanti e che
intenda tutelarsi affrontando un processo deve raccogliere le prove
delle condotte vessatorie subite, in base al principio secondo cui
chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che
ne costituiscono il fondamento (art.2697 c.c.).

La
prova è più agevole per il lavoratore quando si intende
far valere la responsabilità contrattuale del datore di
lavoro, perchè, in tal caso, è a carico del mobbizzato
solo l’onere di provare gli episodi mobbizzanti, cioè la
reiterazione degli stessi, il loro carattere pretestuoso e nocivo,
nonché di fornire la prova del danno patito e del nesso
causale tra le condotte mobbizzanti ed il danno subito, danno che
deve poterne costituire una conseguenza immediata e diretta. Il
datore di lavoro, per esonerarsi da responsabilità, dovrà
provare di aver adottato tutte le misure e le cautele idonee a
salvaguardare l’integrità psicofisica del lavoratore e che
l’inadempimento è dipeso da causa a lui non ascrivibile.

Quando
si avvia un giudizio per far valere la responsabilità
extracontrattuale, la prova è più onerosa perchè
il lavoratore, oltre a dover dimostrare l’evento dannoso, il danno
subito ed il nesso di causalità, deve dare prova anche
dell’elemento soggettivo, ossia della colpa o del dolo di colui che è
ritenuto responsabile della condotta mobbizzante.


Continua…….

Erminia
Acri-Avvocato