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Per interessare. Senza esagerare.


 

Il segreto del successo – 2 ©



“C’è adrenalina nell’aria, carne fresca che gira. Polvere sulla strada e gente che se la tira… E tutto si arroventa e tutto fuma, per le strade di Roma… Ci sono facce nuove e lingue da imparare… E c’è chi arriva presto e chi è arrivato prima, per le strade di Roma. E c’è un tempo per vendere e un tempo per amare. E c’è uno stile di vita e un certo modo di non sembrare… E a tocchi a tocchi una campana suona, per i ragazzi che escono dalla scuola e sognano di fare il politico o l’attore e guardano il presente senza stupore. Ed il futuro intanto passa e non perdona e gira come un ladro per le strade di Roma” (Per le strade di Roma – Francesco De Gregori).


Ci siamo soffermati, nell’incontro precedente
, sul naturale bisogno di realizzarsi in qualcosa, secondo ruoli e competenze corrispondenti, insito nella condizione umana. Ma che differenza c’è fra il successo e la gestione del potere? Come mai vengono considerati, spesso, come elementi concatenati? Il termine “successo”, nella lingua italiana, connota l’effetto ultimo di un susseguirsi di elementi, in un’attività dall’esito favorevole. Il “potere” identifica l’esercizio della propria volontà nei confronti del mondo esterno. Resta da accordarsi sugli obiettivi che si intende perseguire, differenziandoli in aspirazioni (voglia di migliorarsi) e ambizioni (ricerca di comandare sugli altri).

Sembrerebbe ovvio concludere che la ricerca della sottomissione altrui evidenzia una fase non propriamente matura del proprio percorso di crescita. Però, bisogna fare i conti con gli esempi da emulare, le scorrettezze degli altri, gli ostacoli sul cammino, la ricerca di scorciatoie per giungere a destinazione prima che il credito del tempo a disposizione sia terminato, etc. Possiamo concludere che ogni volta che usiamo il nostro cervello per cercare di dominare sugli altri, piuttosto che individuare la strada per evolversi in armonia, dichiariamo inconsapevolmente una resa incondizionata rispetto a quanto di buono la vita può riservarci, in termini di autoaffermazione e autostima.

“Credo che la Natura sia stata eccessivamente generosa nel donarci un sistema nervoso complesso. Per l’uso che ne facciamo, sarebbe bastato il midollo spinale” (Albert Einstein).

Dal momento che, per realizzare qualunque disegno programmatico, abbiamo necessità di ottenere l’interesse del mondo esterno, per contare su collaborazioni attuative e collaborative, diviene imperativo diventare appetibili proponendo utilità ed evitando esibizionismi su base narcisistica. “Molti possono compenetrarsi nel dolore di un amico. Quasi nessuno riesce a godere del suo successo” (Oscar Wilde). In altre parole, per stare al centro dell’attenzione (nella giusta misura, ovviamente), bisogna fare di tutto per interessare… senza esagerare!

Riflessioni programmatiche…

È chiaro che, a seconda degli eventi con cui ci si trova a dover fare i conti, cambia la strategia da adottare però, in linea di massima, è possibile elencare una serie di indicazioni fondamentali che ci aiutino a proporci nel modo migliore.

  • Cercare di conoscere in anticipo, per quanto ci è possibile (mediante un’indagine preliminare o un’attenta osservazione dei convenuti), gli elementi peculiari della personalità (in termini di carattere
    , comportamento
    e capacità di ragionamento
    ) di chi incontreremo: riusciremo a stabilire come porci nel modo migliore.
  • Ogni volta che abbiamo la necessità di ottenere qualcosa di importante dalla relazione con gli altri, è bene cercare di preparare, in linea di massima, le basi fondamentali degli argomenti di discussione che potranno attivare le motivazioni nei nostri confronti.
  • È bene porsi come obiettivo, quello di mettersi nelle condizioni di entrare in contatto con un ventaglio di persone il più ampio possibile relativamente a ciò che riteniamo esserci utile: questo ci consente di aumentare le possibilità di esperienze positive.
  • Risolvere problematiche personali che potrebbero costituire elementi di pregiudizio su ciò che si ascolta: potremmo ingenerare negli altri sentimenti di ambivalenza conflittuale.
  • Conoscere il settore degli argomenti da trattare: per essere attori e non spettatori.

 

Caratteristiche fondamentali da acquisire e manifestare nel rapporto con gli altri


 

Caratteristiche comunicative


  • Essere in grado di stimolare interesse e curiosità.
  • Proporre argomenti adeguati al momento e agli interlocutori, con brevi premesse e risposte sintetiche (perché rimangano impresse)
  • Mettere in condizione gli altri, di “spaziare” nella conversazione, evitando di imporre binari rigidi.
  • Fornire una guida “subliminale” da cui prendere spunto: valorizzeremo le capacità altrui e, in conclusione, lasceremo il ricordo che, con noi, si sta veramente bene.
  • Mostrare una partecipazione emotiva che renda l’idea di un interesse sincero, senza eccessi od ostentazioni.

 

Come si suscita l’interesse negli altri?

Molto ruota intorno agli elementi che saremo in grado di raccogliere, mediante un’accurata osservazione e un attento ascolto. In genere, il nostro prossimo, chiede di essere considerato sul piano umano, fondamentalmente. Quando si accorge di avere incontrato chi è in grado di capirlo e comprenderlo, comincia ad aprirsi abbassando man mano, quel muro di diffidenza che serve a proteggere la propria riservatezza dal giudizio degli altri. A quel punto, non sarà difficile ricavare gli elementi importanti che ci faranno “brillare” ai suoi occhi. Ognuno, infatti, inconsapevolmente, quando si esprime, fornisce un mare di informazioni circa la propria personalità, le difficoltà correlate e, dato non trascurabile, le soluzioni che preferirebbe applicare.

Raggiunto questo obiettivo, non rimane altro che avviare una conversazione misurata che tenga conto del “target” del dialogante, che colpisca la sua attenzione e lo metta in condizione di potervisi identificare per ciò che aspirazioni represse e “sogni nel cassetto”. Dobbiamo solo ricordarci di articolare correttamente, nella comunicazione verbale, la regola delle “5 w” (con una “fondamentale”, che trascina le altre): who (chi), what (cosa), where (dove), why (perché), when (quando).

“Tutto ciò che ha valore nella società umana dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni individuo” (Albert Einstein)




2 – CONTINUA…

 






Proponiamo, a questo punto, un estrapolato dell’intervista di Catena Fiorello ad Armando Arcangeli, 62 anni, presidente del Calzaturificio Valleverde, azienda leader nel settore (che ha posto al centro della sua filosofia aziendale il benessere, realizzando scarpe in grado di rispettare l’anatomia del piede ed essere, al tempo stesso, esteticamente molto apprezzabili), pubblicata nel libro “Nati senza camicia”- Baldini & Castoldi Editori – MILANO 2003.



La sua azienda in vent’anni si è consolidata sia a livello nazionale che internazionale, passando da quasi 10 miliardi di lire di fatturato del 1980 a circa 220 miliardi di lire nel 2001. Oggi Valleverde vende più di 2 milioni e mezzo di calzature all’anno, grazie ai 2300 punti vendita nel mondo, esportando in quasi tutti i Paesi del mondo. E tutto questo partendo da un piccolo calzaturificio sulle verdi colline di Riccione. Cavaliere, vogliamo ripercorrere insieme il cammino umano e professionale che l’ha portata a diventare l’imprenditore della scarpa più conosciuta d’Italia?

Io sono nato a Riccione nel 1944, praticamente verso la fine della seconda guerra mondiale; ho imparato sin da piccolo che per vivere e migliorare la propria condizione bisognava lavorare. Infatti già all’età di 11 anni ho cominciato a darmi da fare. In seguito, mi sono diplomato in ragioneria, approfondendo lo studio delle lingue. Mi sono anche iscritto alla facoltà di Economia e Commercio frequentandola però per soli due anni. Ho preferito sviluppare le mie qualità nell’ambito lavorativo. In pratica tutto ciò che non sono riuscito a ottenere dagli studi mi è stato ridato in termini di gratificazioni dal lavoro.

E la sua famiglia di origine?

Mio padre era cantoniere, mia madre casalinga. Una vita di stenti e sacrifici; basti pensare che affittavamo, come molti dei nostri compaesani, la casa ai turisti d’estate per mettere da parte qualcosa per l’inverno. Ho una sorella, attualmente laureata, che però non si interessa di imprenditoria e quindi conduce una vita più serena e meno stressata della mia.

Se guarda al passato, alla sua giovinezza, cosa pensa che le sia stato davvero utile nella sua formazione?

Indubbiamente la scelta di dedicarmi sia allo studio che al lavoro. Questo mi ha portato a soli 24 anni a essere un giovane ma espertissimo manager, in grado di gestire aziende di prestigio. Sono stato anche direttore di un albergo e, finito il servizio militare, ho avuto la fortuna di lavorare per un piccolo calzaturificio senza grandi prospettive.

Cosa l’ha spinta a studiare scarpe innovative e confortevoli?

Avendo fatto il direttore d’albergo sapevo bene quanto fosse importante avere ai piedi scarpe comode e adeguate al proprio piede. In quel ruolo passavo molte ore in piedi senza poter mai manifestare stanchezza. A seguito di queste considerazioni, iniziai un rapporto di collaborazione con il proprietario di un’azienda tedesca di scarpe, conosciuto all’epoca del mio lavoro di direttore d’albergo, che ci portò a produrre la prima scarpa con plantare in Italia; per l’esattezza un sandalo con plantare. Il primo esperimento del genere nel nostro Paese. Una podologa di Rimini mi portò, dopo tante insistenze, a Bologna, all’Istituto Rizzoli, dove tenevano corsi di Podologia. Lì imparai tantissime cose talmente interessanti che, alla fine, mi innamorai di questo lavoro iniziando così l’avventura di una delle aziende più famose nel mondo, in grado di produrre scarpe belle e comode.

Il suo percorso è stato difficile?

Sì, pieno di problemi… Si immagini gli inizi… metti in commercio una scarpa completamente nuova che è una via di mezzo tra una scarpa ortopedica e una scarpa alla moda: abbiamo sovvertito dei canoni rigidi. Sì, è stato un cammino duro e pieno di sacrifici. Con grande pazienza e caparbietà ho lottato per far capire alla gente che non può esistere una scarpa senza plantare; sempre che si voglia pensare alla salute del piede!

C’è stato un momento in cui lei ha capito di avercela fatta?

È difficile rispondere a questa domanda; un imprenditore non è mai arrivato. Vede, una volta, quando non ero quello che sono oggi, avevo obiettivi più piccoli, debiti più piccoli, e mete più piccole. Oggi, che abbiamo la necessità di diventare globali per essere più competitivi abbiamo più lavoro da fare e più obiettivi da raggiungere. Forse è più difficile oggi che ieri. Nella nostra realtà c’è più concorrenza, più stress. Più necessità di competenze specifiche. E più rischi imprenditoriali, per cui vivi giorno per giorno, impari a guardare agli obiettivi con la speranza di realizzarli tutti, ma sempre con un po’ di paura, che è tipica dell’imprenditore.

Fa differenza nascere ricchi o poveri nella vita?

Io credo che non sia nascere ricchi o poveri, che possa fare la differenza nella vita. Temo piuttosto che alcuni atteggiamenti negativi di certi genitori benestanti, che tendono a dare troppo, possano danneggiare i loro figli. Il fatto di non lavorare presto, o poco, potrebbe indurli nell’errore che non sia necessario lavorare per vivere e realizzarsi.

Cambia la vita, cambia il lavoro, cambiano le abitudini… E gli amici di una volta, dove andranno a finire?

I miei amici sono sempre gli stessi. Io vivo qui a Riccione (dove sono nato) e il sabato gioco ancora a scopone scientifico con gli amici di una volta. Sarei pazzo se non riconoscessi nel passato la mia forza e la mia identità. Certo conosco persone che con il cambiare della loro situazione economica cambiano amici, moglie, città; ma quello è un errore enorme; sono persone che pagheranno con la loro coscienza un errore così profondo.

C’è stato un momento della sua vita in cui ha capito di essere diventato veramente ricco?

Ad essere sincero, io nella vita non mi sono mai sentito povero; ho sempre avuto un carattere forte, da leader, che mi ha sempre portato, in qualche modo, ad avere un ascendente sugli altri.

Ha mai avuto come fine ultimo solo il guadagno?

L’unica cosa che mi ha spinto sono stati gli obiettivi professionali. Non mi è mai interessato lavorare per fare i soldi, non avrebbe avuto alcun senso. È molto più gratificante guadagnare come conseguenza della realizzazione di un’idea.

Che cosa le ha insegnato la sua famiglia di origine?

La serenità e la gioia con cui è bene affrontare la vita affrontava la vita. Il tutto, condito con un forte sentimento di onestà, scevro da invidia.

Secondo lei, in affari, quale condizione può diventare ostica alla realizzazione dei propri obiettivi?

Sembra strano a dirsi ma posso concludere che, a certe condizioni, l’affare stesso, diventa nemico di se stesso.

Cioè?

Intanto non credo negli affari facili. Non esistono. Se un affare è semplice, se non fai fatica a portarlo a termine significa che ha qualche difetto. E poi bisogna stare molto attenti negli affari, io ad esempio non lascio mai nulla al caso, sto attento a tutto; è faticoso, oggi più di ieri.

Cosa prova, quando riconsidera i traguardi che ha raggiunto?

Non sono uno che si esalta per poco. Però il consenso della gente mi dà molta soddisfazione.

Pensando alla possibilità di poter perdere tutto cosa prova?

Guardi, credo che, in una simile circostanza, mi inventerei qualcosa di nuovo. Non sono uno che si perde d’animo!

Ritiene possibile raggiungere il successo da soli, o comunque è sempre un gruppo che vince?

E innegabile che il successo sia il risultato del lavoro di un team affiatato. Inoltre, nel mio caso posso aggiungere di avere avuto la fortuna di una moglie che mi ha aiutato, collaborando pienamente, sapendomi sostenere e, soprattutto, dandomi serenità.

I suoi figli sono privilegiati sul piano economico. Secondo lei è un bene?

Io sono convinto che a dare troppo si faccia un gran danno. Se nella vita il parametro di ciò di cui abbiamo bisogno è esagerato, si rischia di non avere mai abbastanza; questa è la ragione che mi ha spinto a far capire alle mie figlie che è sempre bene avere dei limiti.

Secondo lei, un uomo senza denaro è…

Una persona che deve aver sbagliato qualcosa nella vita. O ha speso troppo, rispetto alle sue capacità, o ha difficoltà a realizzare un programma lavorativo adeguato, magari per scarso interesse applicativo. In questo caso andrebbe aiutato, soprattutto psicologicamente. Per persone così, il lavoro in sé non risolverebbe il problema di fondo per cui, individui del genere, prima andrebbero curate nello spirito e poi riconsegnate alla Società.

L’appartenenza ad un particolare contesto geografico può determinare, almeno in parte, le nostre scelte e la fortuna nella riuscita delle stesse?

Probabilmente incide sul piano dei modelli cui ispirarsi anche se, nell’epoca di Internet e dei mezzi comunicazione di massa in genere, si ha la possibilità di diventare, di fatto, “cittadini del mondo”. No, nascere in Sicilia o in Romagna non fa nessuna differenza quando hai in te la stoffa per fare certe cose. Sono convinto che, molto difficilmente, il luogo di appartenenza possa determinare il successo che rappresenta, per sua definizione, il risultato di una miriade di variabili da valutare e “risolvere” con accuratezza. Alla peggio, si prende in considerazione l’idea di trasferirsi altrove, valutando costi e benefici di una simile ipotesi.

E la cultura invece, quanto incide?

Intesa come conseguenza della voglia di apprendere e di imparare cose nuove, è determinante nel raggiungimento di buoni risultati.


È molto legato alle cose che possiede?

Più che altro valuto che, tutto quello che ho conquistato, mi è costato in termini di “consumo” di vita. Comunque, considero la necessità di avere qualcosa da parte per far fronte ai momenti di crisi che, in un’attività imprenditoriale, possono accadere.

C’è qualcosa di cui ha particolarmente paura?

In assoluto la malattia, perché è inversamente proporzionale alla possibilità di condurre una vita libera e senza sofferenze. Quando sei malato, molto spesso, perdi il “diritto” a una vita serena.


Immaginava che sarebbe successo tutto ciò?

Io non ho mai pianificato nulla; non sono partito con l’idea di… Ho fatto tutto passo dopo passo, giorno dopo giorno. E ho scoperto delle cose interessanti.

Come concilia quest’affermazione con la necessità di programmare gli eventi?

Io credo che nella vita, in genere, ci sia molta casualità… e poi l’imprenditore è uno che rischia tutti i giorni, non puoi dare nulla per scontato. Solo la professionalità e la serietà nel lavoro ti garantiscono, in un certo qual modo.

Cosa ritiene che rimanga, nel tempo, di quello che abbiamo creato?

C’è una frase bellissima che ho letto da qualche parte, secondo cui “Anche l’ultimo respiro di tuo padre è nell’aria!. La trovo piena di significato e speranza. Qualcosa di noi, rimarrà. il ricordo di noi e di chi eravamo, gli insegnamenti che abbiamo lasciato, quello che abbiamo realizzato e per cui abbiamo lottato. I nostri figli, che rappresentano, in fondo, il nostro futuro e la continuazione di un’idea.

Come si fa a realizzare un sogno?

Intanto bisogna impegnarsi molto, perché difficilmente il successo ti viene a cercare. È vero, semmai, il contrario. Partendo da questo presupposto, bisogna essere disposti soprattutto, a “cogliere l’attimo fuggente” sapendolo riconoscere e non avendo paura di seguirlo. Non è strano che certe situazioni nuove possano crearci apprensione. Per un imprenditore però il rischio, la novità devono essere quasi il pane quotidiano. Se io non fossi stato in grado di pormi davanti al “sogno” anche con un po’ di incoscienza, probabilmente non avrei realizzato tutto ciò. Io ho duramente lottato nei momenti difficili, la mia caparbietà, la sicurezza di proporre un prodotto di qualità in grado di sconvolgere le regole di un mercato “conservatore”, mi hanno spinto a sopportare la sofferenza, con la speranza che presto le cose sarebbero cambiate. Questo modo di intendere le cose, alla fine, è stato premiato. Io non sono nato ricco, questo vuol dire qualcosa. A volte basta cominciare la scalata, anche senza soldi in tasca. Poi il resto viene da sé, con l’impegno e l’intelligenza, come è stato per me.

 


G. M. – Medico Psicoterapeuta