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La legge sul divorzio (Legge n.898/70) prevede che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza, a condizione che:

– non sia passato a nuove nozze;

– sia titolare di assegno divorzile.

Il coniuge creditore ha diritto ad una percentuale sul trattamento di fine rapporto pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

Ai fini della determinazione della quota dovuta, nel periodo da considerare si deve includere anche quello della separazione precedente al divorzio. Pertanto, la quota deve essere stabilita in relazione alla durata del matrimonio e non a quella della convivenza.

Di questo criterio, ritenuto conforme alla Costituzione con sentenza della Corte Costituzionale n. 23 del 1991, è stata ribadita dalla Corte di Cassazione – con la sentenza n.10075 del 25 giugno 2003– l’adeguatezza alla natura ed alla funzione dell’attribuzione della quota dell’indennità, che ha sia natura assistenzialistica, presupponendo la fruizione dell’assegno divorzile, sia carattere compensativo, in relazione all’apporto personale ed economico fornito dall’ex coniuge alla produzione del reddito della famiglia.

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