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Recensione del film ed intervista a Michele Placido, per saperne di più.

Non aveva ricevuto i consensi entusiastici auspicati il film diretto da Michele Placido “Ovunque sei”. Alla prima per la stampa ci sono stati addirittura fischi e risatine di scherno. Meglio è invece andata nella serata successiva per il pubblico della Sala grande. Ma si sa, come conferma lo stesso autore in conferenza stampa, il pubblico reagisce in maniera sempre diversa, dipende dai contesti.

Certamente quello della prima assoluta è un banco di prova difficile, un pubblico estremo quanto esigente, che non perdona nulla, nemmeno l’intenzione del regista di affrontare una tematica inconsueta per il panorama attuale del nostro cinema. Cioè un’opera che cerca il metafisico, fra l’irreale e l’immaginario, sospesi come siamo fra la vita e la morte, e che si interroga pirandellianamente sul “Chi vive, quando vive, non si vede: vive…”.

Placido si mette alla prova dopo aver ricevuto plausi e conforto per la precedente opera, pure quella in concorso a Venezia due anni fa, “Un viaggio chiamato amore”, sulla vicenda passionale di Dino Campana e Sibilla Aleramo. Anche quel film era interpretato da Stefano Accorsi, (apparso al Lido con i baffi), e in questo film in verità non sempre felicissimo nel suo ruolo come altre volte invece è accaduto (è un buon attore ma non sarà il divo più rappresentativo del Bel paese, sostengono in molti).

Anche la sceneggiatura, sebbene scritta da autori fra i più in vista come Starnone, Contarello e Piccolo (oltre allo stesso Placido), manifesta delle piccole cadute in luoghi comuni forse evitabili, ma messi lì probabilmente per fornire una patina di leggerezza al testo, in un ambito narrativo certamente difficile da dipanare. La storia è ambientata in una Roma notturna ed invernale, i colori (la fotografia è di Luca Bigazzi) sfumano al grigio per immergerci in un’atmosfera da angoscia latente e vagamente noir. Ed è qui che due coppie incrociano il loro destino: Accorsi sposato con la Bobulova, che a sua volta è amata da Stefano Dionisi. Mentre si innamora di Violante Placido, allieva di un corso ospedaliero da lui stesso condotto. Un incidente stradale e la vita cambierà per tutti. Giocato sul filo sottilissimo fra il reale e l’immaginario, Placido riesce comunque a parlarci dentro, talvolta dirompente altre volte volutamente (forse) banalizzando il tutto e ricorrendo ai luoghi consueti. La luce finale nei quali avvolge i corpi nudi degli amanti, inquadrati dall’alto, restituiscono equilibrio ed affermano la linea sottile dell’irreale. Argomenti cari ad un certo cinema non più tanto di moda, (che proviene da Antonioni, da Godard) sfiorando l’amatissimo Pirandello che Placido ha mille volte interpretato come “L’uomo dal fiore in bocca”. Tuttavia Placido è coraggioso quanto (forse presuntuosamente) consapevole che il pubblico potrebbe pure apprezzare la sfida e l’opera di una coppia (Placido-Accorsi) ben collaudata nel panorama italiano, seppure al cospetto di tematiche non proprio quotidiane.

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Andiamo a leggere insieme l’Intervista a Michele Placido.

Perché questo film davvero particolare?

“Dopo il successo ottenuto con “Un viaggio chiamato amore” di due anni or sono, volevo ancora lavorare con Stefano Accorsi. Così ho pensato ad un film che mettesse in luce le sue doti artistiche. Ed ho così manifestato l’idea ed il progetto agli autori della sceneggiatura, ne abbiamo discusso e quindi lo presentai ad Accorsi”;

Ma riteneva necessario girare un film simile in questa fase della sua carriera artistica, cimentarsi cioè con tematiche così inconsuete con le quali può essere facile esporsi anche al non gradimento?

“Ognuno fa i film che sente, e io a cinquantotto anni ho sentito il bisogno di fare una riflessione sulla vita e sulla morte”;

Il film risente di tematiche a lei care, avendo rappresentate tante volte da Pirandello.

“Dopo aver portato in teatro per migliaia di repliche Pirandello, “L’uomo dal fiore in bocca” (recitato a Lagopesole alcune stagioni fa ndr.) te lo porti dentro e non può non essere citato in un film che si interroga su tematiche care all’autore siciliano. Certo, per me il film rimane un rischio da correre”;

Temi forti in questa epoca che consuma tutto in fretta…

“Il film più che sulla morte, cerca di riflettere sul come si lascia la vita. Si muore realmente quando si viene dimenticati”;

Sin ringrazia Michele Placido per aver concesso questa intervista.

Armando Lostaglio