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Inizia un corso per trasformare chiunque (ne abbia voglia), in un valente oratore!


 

CAPITOLO I°

“Giove ci impose due bisacce; ci mise dietro quella piena dei nostri difetti e davanti, sul petto, quella con i difetti degli altri. Perciò non possiamo scorgere i nostri difetti e, non appena gli altri sbagliano, siamo pronti a biasimarli”. (Fedro)

Visto che comunicare agli altri comporta delle difficoltà perché sottoponiamo al vaglio continuo delle valutazioni e dei giudizi altrui, i nostri pensieri, qual è il motivo che ci induce ad “esporci”?

Tenendo presente che con il termine comunicazione si intende una qualunque trasmigrazione di energia (attraverso parole, gesti o altro) dal mondo interno al mondo esterno o viceversa, possiamo concludere che si comunica con gli altri per il bisogno di trasmettere le idee prodotte che, altrimenti, affollerebbero le nostre menti.

Cari lettori, prima di addentrarci nel cuore della discussione, è bene porsi alcune domande:

“Parliamo solo per noi stessi?”

“La gente ascolta veramente quello che diciamo?”

“I nostri discorsi, lasciano un segno?”

Chiunque voi siate (un imprenditore che deve intervenire ad una colazione di lavoro, il preside di un liceo alla riunione di fine anno, un politico al pranzo del “ringraziamento” o, semplicemente, voi stessi in un qualunque momento di una qualsiasi giornata), è bene che impariate a comunicare tenendo conto del fatto che, per appagare i vostri bisogni, è necessario rispettare le esigenze altrui.

Da indagini statistiche, ciò che la gente pensa in merito alle caratteristiche peculiari di un oratore di successo, può racchiudersi nei seguenti enunciati, che esprimono (da parte degli intervistati) un mix di velleitarismo, autosvalutazione e vittimismo:

  • Ha qualcosa di interessante da dire;
  • Ha il tempo di prepararsi;
  • Ha esperienza;
  • Ha carisma;
  • È sicuro di sé.


il quadro che emerge, invece, in merito agli elementi inibenti ad un successo oratorio, viene espresso dai seguenti “stilemi”:

  • Non ho nulla di interessante da dire;
  • Il pubblico mi intimidisce;
  • Non ho tempo di prepararmi;
  • Non ho fiducia in me stesso;
  • Non sono estroverso.


In conclusione, ciò che molte volte si frappone fra noi ed una corretta comunicazione con gli altri è l’assenza di idee chiare, con l’aggiunta di una buona dose di condizionamento sulla base di ciò che gli altri pensano di noi.


A parte il fatto che, secondo lo scienziato Niels Bohr “L’esperto è una persona che ha fatto in un campo molto ristretto tutti i possibili errori”, probabilmente è necessario riosservare in voi, il concetto di timidezza che si accompagna sempre al senso di inadeguatezza.

I dizionari italiani, identificano con il termine timido, ciò che è schivo e riservato, incerto, esitante, che si impaurisce facilmente, e lo riferiscono a persone che provano soggezione, disagio, imbarazzo di fronte agli altri. In realtà, il termine timido, deriva dal latino timidus e pavidus, che significa temere, aver paura, quasi a dire titubanza, che viene da riverenza. Posso aggiungere che, in greco, significa stima da venerazione e timore da riverenza nei confronti degli altri. Quindi, in pratica, chi è timido si sente inadeguato rispetto a ciò che pensa essere lo standard stabilito da altri: di conseguenza, preferisce non “mettersi in gioco” mettendo in atto la paura di mostrarsi, come protezione.

Cosa si può fare?

MOLTO!

Come spiegano Ruth Ann Lake e Gordon Bell (esperti di comunicazione impegnati nei corsi della GLAXO Management School) “E’ importante imparare a distogliere l’attenzione da ciò che ritenete essere l’obbligo di rendere al massimo sempre, comunque e dovunque. Chi è il pubblico? Un gruppo di persone simili a voi, con i vostri stessi problemi (famiglia, lavoro, tasse, etc.) che viene ad ascoltarvi con le migliori intenzioni. Si aspettano da voi, nove volte su dieci, che siate chiari brevi e semplici e che non affatichiate troppo le loro menti.”


Dal momento che il pubblico, “undici volte su dieci”, non ha interesse per voi finché quello che dite non comincia a riguardarlo, converrà agganciare ciò che avete da dire, ai suoi bisogni.

Come vedremo nei prossimi lavori, infatti, è fondamentale “conoscere” l’uditorio.


Isaac Newton con le sue leggi sul moto, è riuscito a dimostrare che un dato stimolo crea la medesima risposta se le condizioni rimangono costanti: il pubblico, però, non è mai un fattore costante! Di conseguenza, fra i vostri obiettivi, aggiungete senza dubbio quello di imparare a diventare flessibili, malleabili e non presuntuosi al punto da ritenere che uno stesso schema sia sempre “vincente”, qualunque siano le condizioni! Ogni persona razionale, d’altronde, inizia con uno scopo ed un progetto: cosa accadrebbe se il costruttore di un’autostrada, iniziasse i lavori dipingendo le segnalazioni chilometriche delle località da raggiungere?

Sperando che abbiate trovato interessante la lettura di questo elaborato, vi do appuntamento per la prossima puntata (Come coinvolgere l’uditorio?) invitandovi a riflettere sulla seguente massima di Giosuè Carducci:

“Chi riesce a dire con venti parole ciò che può essere detto in dieci, è capace pure di tutte le altre cattiverie!”


G. M. – Medico Psicoterapeuta