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Un lavoro per rendere più efficaci gli scambi interpersonali e per affrontare timidezza e paure nelle relazioni pubbliche.



Alla fine del Countdown (conto alla rovescia) che ha portato alla nascita dell’Universo, è nata la comunicazione per come gli scienziati hanno imparato a conoscerla, cioè “un processo di scambio di informazioni e di influenzamento reciproco che avviene in un determinato contesto”.


In effetti, la forza gravitazionale, quella elettromagnetica ed altro, hanno reso possibile, con flussi coesivi o disaggreganti di particelle, la creazione di tutto ciò che esiste, in giro per le galassie.

Nella vita di tutti i giorni, “quanti” (pacchetti) di informazione, trasmessi via etere (onde radio) o via cavo (fotoni luminosi, elettroni ed altro) consentono di tenerci aggiornati sui fatti del mondo mediante i Network di comunicazione (Tv, Radio, Internet).

E l’essere umano?

Nasce dopo che ovocita e spermatozoo si scambiano, “dialogando”, i loro patrimoni genetici (serbatoi di notizie “fondamentali”), vive grazie ai flussi di informazioni (generate durante le elaborazioni delle idee) che consentono la coordinazione psicofisiometabolica cellulare (il dialogo continuo che si chiama “identità”) e si relaziona mediante parole, temperamento e prossemica.

In breve

Nella comunicazione verbale si evidenzia un contenuto (il significato specifico delle parole che si utilizzano durante il discorso) e dei significanti paraverbali (che riflettono tono, tempo, volume e pause del contenuto espositivo).


Nella comunicazione non verbale si riconoscono il temperamento e la prossemica:



  • il temperamento indica tutto ciò che può essere osservato quando un essere umano comunica i contenuti delle proprie emozioni ( attraverso una comunicazione diretta, mediante i movimenti, gli sguardi, la mimica, la postura, i suoni ed i rumori prodotti, i messaggi scritti, il silenzio ed altro; attraverso una comunicazione indiretta, mediante il proprio vestiario, il modo di mangiare, i cibi preferiti, il tipo di mezzo di trasporto, la disposizione della casa, l’arredamento, le letture preferite, etc.) e che ne qualifica, in generale, l’umore;
  • la prossemica studia il significato che lo spazio assume nel comportamento sociale dell’essere umano; in qualunque tipo di comunicazione umana si determina un codice delle distanze, in base a parametri che privilegiano criteri di affettività (nell’intimità, da zero ad 1 metro; durante le conversazioni affettive, fra 1 e 2 metri; in caso di ostilità, distanze maggiori), aggressività (dal contatto psicofisico, alla massima distanza d’ascolto) e “professionalità” neutrergica (nel dialogo, 1,5 metri; in riunioni di lavoro, conferenze, etc. si possono superare i 5 metri).

In questo lavoro, vedremo come rendere più efficace la comunicazione interpersonale ed in che modo affrontare le principali difficoltà nelle relazioni pubbliche, in quei rapporti umani, cioè, caratterizzati da una sistematica continuità con un gruppo di individui uniti da interessi comuni.


Il filosofo medievale Averroé (Ibn Rushd) sosteneva che, per essere dei buoni comunicatori, si dovesse racchiudere, all’interno delle proprie capacità, tre anime ben distinte: quella dei filosofi “che dialogano fra loro”, quella dei teologi “che spiegano ai loro allievi” e quella dei predicatori “che parlano alle masse”. In effetti, questa raccomandazione che proviene da secoli non tanto “bui”, evidenzia la necessità di saper essere flessibili, attenti ad una acquisizione delle istanze altrui (mediante l’ascolto delle necessità e delle aspettative) e capaci di una revisione organizzativa (mediante riflessioni per migliorare la propria gestione).

Siccome comunicare significa trasmettere ad altri ciò che è proprio, mettendolo in comune, ogni relazione interpersonale deve mirare ad ottenere dall’uditorio stima, consenso e collaborazione. Il tutto, ovviamente, mediante un dialogo basato su reciproca comprensione, fiducia e cooperazione. Ecco perché Victor Hugo, confidava agli amici che i veri oratori, così come i grandi scrittori, sono quelli il cui pensiero sia in grado di far vibrare tutti gli angoli e le pieghe dell’animo umano, capaci, cioè, di far riconoscere dei messaggi, anche nuovi, come qualcosa che ci appartiene da sempre, di familiare, di conosciuto, di “proprio”.


I libri migliori sono proprio quelli che dicono ciò che già sappiamo. (George Orwell)


Il matematico Richard Bandler, creatore della Programmazione Neurolinguistica (la famosa PNL), ha valutato che, in una qualunque conversazione fra esseri umani:

  • il significato del contenuto incide per il 7%;
  • il significante del paraverbale incide per il 38%;
  • il non verbale incide per il 55%.


Questa evidente realtà, deve indurci alla seguente conclusione: piuttosto che stabilire se sia meglio porsi in modalità One Up / One Down (tipico stile cattedratico con l’oratore in posizione privilegiata) oppure One Down / One Up (condizione in cui si cerca di intenerire chi ascolta, assumendo un contegno “fantozziano”) è molto meglio costruire un’autorevole strategia interattiva e multimediale, di tipo “aforistico”, che coinvolga attivamente l’uditorio tenendo conto della curva dell’attenzione che ha dimensioni sia fisiche che psichiche. La mente può assorbire, infatti, quanto il fondoschiena può sopportare!


L’aforista è uno scrittore che, con una manciata di parole riesce a far concorrenza a un libro intero… e con un piccolo libro, a una biblioteca. (Julien De Valckenaere)


L’ottimizzazione del rendimento, in tal senso, si ottiene seguendo delle indicazioni fornite dal medico psicoterapeuta Giovanni Russo, creatore della metodologia psicoterapeutica ad Indirizzo Dinamico, attualmente più avanzata. In sostanza, prima di esternare i contenuti dei nostri pensieri, sarebbe bene porci le seguenti domande:

  • Con chi devo parlare? (L’identificazione dell’interlocutore)
  • Cosa devo proporre? (Lo scopo della dinamica)
  • Qual è il motivo? (La motivazione)
  • Dove avverrà la discussione? (Il luogo)
  • Quando avverrà? (Il momento)
  • Cosa propongo per ciò che chiedo? (Lo scambio corretto)
  • Cosa privilegerò nel modo di pormi? (Il significante paraverbale)

“E se sono timido?”

La risposta all’apparenza più ovvia, dovrebbe essere la seguente: “Evito di scegliere la professione del comunicatore!”


In realtà, invece, la situazione è molto più complessa !

A parte il fatto che nessun lavoro può escludere del tutto il rapporto con gli altri, non esiste persona al mondo che possa definirsi, in assoluto, libero dai condizionamenti dei giudizi altrui. Se poi aggiungiamo che ognuno di noi si porta dentro il bisogno di sentirsi accettato dagli altri, possiamo concludere che nessuno, almeno una volta nella vita, si sia sentito inadeguato, rispetto alle esigenze di un determinato contesto. La timidezza rappresenta la manifestazione di uno o più conflitti prodotti dalla paura che fa seguito alla domanda: “Sarò in grado di…?”

Strano a dirsi, il timido “rifinito” (cioé quello “coerente e stabile”, nella problematica) sotto le vesti dell’incapace, nasconde l’indole del presuntuoso terribile (“incazzoso”, direbbe Luciano de Crescenzo) che “chiede” a se stesso di produrre e mantenere delle performance elevate (per cui rinuncia quasi sempre) e che, se costretto, entra in gioco solo quando sa di avere una “superiorità manifesta” rispetto all’uditorio… sempre col batticuore, per paura della critica altrui (e propria!). La paura, però, molte volte riguarda la possibilità di scoprire dei limiti rispetto agli standard che si determina da solo. Questa ingenua pretesa, lo porta a vacillare spesso ed a concludere: “preferisco non espormi!”

Ovviamente, per risolvere definitivamente il problema, è indispensabile realizzarsi nell’autoaffermazione e nell’autostima (su basi corrette): ma questo richiede uno specifico training di analisi personale.

… e nel frattempo, come si fa?


“Flight or Fight!” (“Fuggi o combatti!”) questo è il suggerimento dei guru della comunicazione d’oltreoceano. In effetti, sono due strategie antitetiche che consentono, però, di canalizzare l’ansia determinata dalla paura, verso qualcosa di specifico e decisionale.

Una via che mi sento di proporre, consiste nell’osservare che la vita di ogni essere umano è costituita dall’alternarsi di successi e fallimenti. Con il temine “successo” possiamo intendere, la fase conclusiva di un susseguirsi di eventi, avente esito positivo. Il successo è determinato da accurate elaborazioni di pensiero (frutto di conoscenze adeguate rispetto al problema su cui si sta riflettendo) a seguito delle quali si promuovono le migliori soluzioni alle inevitabili difficoltà che si incontrano per il raggiungimento di ogni obiettivo. In questo cammino verso il successo, è normale prevedere possibili fallimenti. Il progresso della scienza e della Società civile d’altronde, prevede un cammino “per prove ed errori” : se non si sperimenta il nuovo, anche sbagliando, non si dà a se stessi la possibilità di migliorare! Inoltre, dal momento che ognuno, in fin dei conti, “vive come può” condizionato dal mondo esterno (è assurdo pensare di evitare i coinvolgimenti emotivi) e non come vorrebbe, l’unica strada possibile per liberarsi dalla paura di sbagliare è quella di rendersi conto che è necessario adattarsi alla condizione di esseri umani ignoranti ma migliorabili.

“Se chiuderete la porta ad ogni errore anche la verità resterà fuori”.

Sappiamo che la paura è rappresentata da uno stato di allarme generale in prossimità di un pericolo reale o presunto e si produce quando non si ha chiarezza nell’evoluzione degli eventi, quando “non si vede chiaro”! La percezione di avere il controllo della situazione, durante una dinamica di comunicazione interpersonale, influisce molto sulla gestione positiva dello stress. In questi frangenti è importante conoscere l’uditorio e garantirgli, con il proprio eloquio, delle condizioni adeguate: stimolare la curiosità di una “crescita” personale, manifestare stima e rispetto, trasfondere quel senso di appartenenza al gruppo che determina un’amalgama di piacere e sicurezza. Se poi ci aggiungiamo, come esposto in precedenza, competenza, autorevolezza e flessibilità, “il gioco è fatto!”

È bene, però, non vivere la paura come qualcosa di patologico. Di base, infatti, esistono paure “corrette” che fanno parte integrante della vita e fanno sgorgare quelle emozioni umane  che consentono di salvaguardarsi evitando esperienze pericolose: chi non ha paura, spesso rischia la vita senza rendersene conto!

Qualunque evento nuovo può produrre paure vincolanti, mentre l’agire per consuetudine, instaura dei meccanismi abitudinari che consentono attività a basso consumo di energia (le cose abitudinarie, infatti, si attuano con il minimo sforzo), e che non ci fa temere ostacoli. Possiamo paragonare una condizione abitudinaria, alle acque tranquille di uno stagno: il cambiamento di un’abitudine, porta alla rottura di un equilibrio interno  come se si fosse tirata una pietra nello stagno, determinando un turbamento della quiete. Questo turbamento, perdurerà fino al momento in cui non si creerà un adattamento, che determinerà un equilibrio interno da cui risulterà la “produzione” di una nuova abitudine : infatti, dopo il turbamento iniziale dovuto al lancio del sasso, l’energia cinetica si scaricherà attraverso le onde prodotte e l’acqua dello stagno tornerà ad essere “tranquilla”. Ogni novità, proprio perché rappresenta una cosa nuova, che non possiamo gestire (perché non la conosciamo), produce quella condizione di allarme chiamata paura : “Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia ma non quello che trova !

In conclusione, a chi vuole affrancarsi dall’ansia prestazionale e mira, al tempo stesso, a diventare un esperto dell’arte oratoria, non resta che proporre di allenarsi a parlare con un pubblico amico e paziente, per mettere a punto, sul campo una strategia che consenta di essere al tempo stesso, chiari, brevi e semplici.

Nella lettura di questo lavoro, è possibile che, qualcuno si senta preoccupato dall’aver scoperto delle lacune da colmare. Non resta che ricordare la massima del grande Winston Churchill

A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialzerà e continuerà per la sua strada.

G. M. – Medico Psicoterapeuta