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Sono finiti i clamori?Ciao Pirata!


Sull’assolata litoranea adriatica, là, dove Cesenatico contende i vacanzieri a Rimini, ogni mattina, quando il sole, fugando le ultime foschie dell’Adriatico si affaccia prepotente sul ceruleo mare, avresti potuto, negli anni ottanta, vedere un ragazzo, ossuto, con due sventole di orecchie, simili a piccoli alettoni in lotta perenne con il vento, correre su una bicicletta da corsa – una di quelle biciclette di seconda mano che puoi acquistare per pochi soldi – pestando sui pedali, lanciato in un immaginario sprint verso un traguardo che era l’utopia della sua vita.

La famigliola , ma, in particolare la mamma, fondava la propria economia, sfornando piadine a non finire, nei pressi del porto-canale, mentre Marco razionava la propria giornata tra la scuola, la bicicletta e le piadine calde e profumate che la sera serviva ai turisti, specialmente nelle calde sere d’estate.

Durante i mesi di giugno e luglio rimaneva incollato davanti al televisore per seguire le vicende dei due più famosi avvenimenti ciclistici: il Giro d’Italia ed il Tour de France; e s’incantava per le imprese sportive di Saronni, Gimondi, Moser e i loro rivali francesi, che si davano epiche battaglie sulle assolate pianure o arrampicandosi sulle più aspre vette italiche, francesi e spagnole.

E Marco ne spiava le mosse, i tatticismi delle varie squadre, il cambio concitato dei rapporti sui pedali, mentre sui volti dei “girini” lo sforzo atletico si materializzava sui turgidi muscoli mascellari.

E già a 14 anni, il giovane Marco si misurava nelle gare juniores organizzate dai gruppi sportivi della Romagna e fu così che qualche tecnico adocchiò quel piccolo fenicottero che, all’apparire di una benché minima salita, s’involava lieve ed elegante, staccando tutti gli altri concorrenti, incapaci di mantenere quel ritmo di pedalate che il ragazzo imponeva .

Ed arrivarono le coppe, i premi in natura, poi le piccole somme che Marco conservava ed accumulava finché acquistò una bicicletta da corsa degna di questo nome, che gli consentì di esprimere tutta la potenza e la classe di cui disponeva. Cominciò, così, la leggenda del “Pirata”; ed in pochi anni s’impose in uno sport nel quale pochi diventano protagonisti ; per gli altri, c’è solo un posto come gregario.

C’eravamo abituati alle sue vittorie, alle sue cronoscalate, a quell’armonia di giallo e di blu che caratterizzava le sue magliette, più spesso sfavillava, sulle spalle, il “rosa” del primato, mentre continuava a spazzare l’aria con le sue orecchie, intanto, le aquile, dall’alto dei loro alpestri nidi indicavano, forse, ai loro aquilotti che anche il figlio dell’uomo può volare con le sole gambe.

Chi non ricorda quel noto ciclista che, superato di slancio, sull’ennesimo tornante di un giro d’Italia, dal nostro Marco, fece un gesto di rassegnata stizza, quasi a voler significare che contro il fenomeno non si può combattere ! Ma l’avidità umana non ha limiti, ed a Marco chiesero sempre di più; che cosa ne sapeva, il Pirata, di beveraggi spacciati per costituenti vitaminici? Lui, che aveva appena frequentato la terza media! Ma forse lo tranquillizzavano con un’ammiccata d’occhio, ed intanto gli prescrivevano ritmi e scatti come se fosse un’auto da corsa, disumanizzandogli l’anima, mentre gli anabolizzanti cominciavano a disgregare le sue cellule; finché un giorno il freddo referto medico lo svegliò dai suoi sogni.

Non più folle festanti, interviste televisive, maxi foto sui giornali; adesso al suo fianco c’erano i carabinieri; non più il palco della vittoria, ma il banco degli accusati, mentre la famiglia, spenti i fornelli delle piadine, godeva un’agiatezza immeritata, come immeritate sono le conquiste degli inetti.

Il pirata, adesso, ha perso l’ultimo arrembaggio; era stanco di restare solo, forse covava l’intimo desiderio di misurarsi, fra i pascoli del cielo, con i grandi del ciclismo, con Bartali, Coppi, Kubler, e, così, se ne è andato in silenzio, con quella misurata modestia che lo umanizzava nelle sue inimitabili vittorie, mentre un irriverente e rumoroso applauso gli disturbava, per l’ultima volta, il sacro silenzio della morte.

Giuseppe Chiaia (preside)