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Follia e ragione nel “De rerum natura”: ma il suo pensiero non rimase isolato.

La vita di Tito Lucrezio Caro, ancora oggi, è un mistero, come pure fu misteriosa la causa della sua morte.

Dove sia nato e quando, non abbiamo contezza; possiamo solo esprimere date approssimative; c’è chi – come San Girolamo – pone la nascita del poeta intorno al 98 a.C. mentre morì, orientativamente, nel 55 a.C.

Ed è sempre San Girolamo che ci dà notizie di una pazzia che condusse Lucrezio al suicidio, pazzia originata dalla somministrazione di un filtro somministratogli da una misteriosa donna; è nell’alternarsi dei momenti di lucidità che Lucrezio offre all’umanità uno dei capolavori poetici più alti ed originali: il “DE RERUM NATURA”, che non è opera epica, né aridamente dottrinaria, né languore di poesia “neoterica”; quella lucreziana è poesia dell’universo, è inno alla natura, è visione estatica delle eterne leggi della vita e della morte, anzi – come qualcuno ha significativamente rimarcato – una preghiera alla vita che si rinnova con la morte.

Lucrezio visse i momenti più convulsi della storia di Roma in cui guerre servili, rivolte sociali e tirannia sanguinaria di Silla avevano prostrato la città, determinando una crisi irreversibile degli austeri costumi della prima età repubblicana.

Lucrezio, pertanto, respinse ogni compromissione politica; né fu gaudente frequentatore dei salotti patrizi, alla stregua di Catullo, ma volle offrire una via di salvezza alla decadente società romana, indicando la filosofia epicurea come rimedio spirituale alle ossessioni di un vivere stravolto da un edonismo sfrenato e violento.

Qui non è il caso di sintetizzare i 6 libri che costituiscono l’opera di Lucrezio; a ciò, basta por mano ad una qualsiasi edizione economica del testo, magari con la traduzione letterale sottoscritta, per apprezzare l’arte poetica dell’autore; in questa sede interessa sottolineare come mai questo gigante dell’arte poetica abbia subito una specie di ostracismo letterario da parte dei suoi contemporanei, mentre si dovrà attendere la certosina opera di ricerca degli umanisti del 1400, come Poggio Bracciolini, se ancora oggi riecheggia, con le modulazioni stilistiche che le sono proprie, la poetica lucreziana.

Da quanto ci è dato conoscere, un accenno alla grandezza letteraria di Lucrezio ci viene segnalata solo da Cicerone e da Virgilio; ma sono giudizi estremamente stringati, anche se non nascondono una intima ammirazione; dice, infatti, Cicerone, in una lettera inviata a suo fratello Attico: ” Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingeni, multae tamen arti” (I versi di Lucrezio rivelano sprazzi di un grande ingegno, e , soprattutto , uno stile poetico altamente artistico). Molto più intensa, anche se sommesso è il giudizio, è la testimonianza di Virgilio che così parla di Lucrezio nel II libro delle “Georgiche”, vv. 490 e ss. : “Felix qui potuit rerum cognoscere causas” (Beato colui che ha saputo scoprire le cause prime dell’universo).

In verità, Lucrezio, non solo celebra la dottrina di Epicuro, come il più gioioso inno alla serenità dell’animo, una volta cessate le inconsce paure della morte, ma esalta questa filosofia come viatico di libertà per tutta l’umanità; anche se nel poema sono molti gli echi dell’angoscia e del dolore; pur tuttavia, solo i pochi saggi, gli aristocratici del pensiero, sono capaci di gustare il piacere della “atarassia”, cioè di quel godimento stabile – o catastematico che dir si voglia –che ci priva del dolore fisico, della paura della morte , della schiavitù delle passioni, del timore degli dei, la cui esistenza è posta nel ridicolo, oltre che essere contestata da Epicuro.

Ecco perché su Lucrezio si stende il velo dell’isolamento letterario; in una Roma effigiata di simulacri divinatori, templi maestosi innalzati ad un politeismo di facciata; un dissacratore come Lucrezio doveva essere annullato, perché la sua poesia e la dottrina di un tipo di esistenzialismo “ante litteram” poteva suonare offesa al primo imperatore di Roma, a quel Cesare Ottaviano che il Senato non esitò a gratificarlo del titolo di Augusto, aggettivazione che si rifà al verbo latino “augere” che significa, anche , “innalzare” fino a raggiungere gli dei; come si vede, il culto della personalità ha radici molto lontane; anche Romolo fu deificato come dio Quirino, assurto nell’Olimpo degli dei che lo rapirono, avvolto in una nube

Questa dissacrazione costò al nostro Lucrezio il silenzio di più secoli.

Ma il suo pensiero, la sua poesia è testimonianza di una lotta titanica sostenuta contro la morale e la religione di un’epoca lussuriosa e decadente.

E non è ipotesi azzardata collegare la dottrina naturalistica di Lucrezio con quell’altro grande pensatore cosentino, universalmente noto come “il primo degli uomini nuovi”, parlo di Bernardino TELESIO , il cui “de rerum natura iuxta propria principia”, propugnò quel naturalismo rinascimentale che osò contestare ad Aristotele il primato della ragione sulla natura.

Fedele e convinto sostenitore della filosofia atomistico – democritea, Lucrezio ebbe chiara la molteplicità dei mondi extraterrestri che costarono, poi, il rogo a Giordano Bruno, ma riuscirono a far naufragare, dolcemente, nel mare dell’Infinito, la sofferenza del Leopardi.

Giuseppe Chiaia (preside)