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Se il debito è sanato, il nominativo deve essere cancellato, non basta oscurarlo.


Le “centrali rischi” private, ossia banche dati costituite per verificare la solvibilità di coloro che si rivolgono al mercato creditizio, non possono conservare nel proprio archivio -consultabile da istituti e banche che erogano credito al consumo- il nominativo di un soggetto che ha sanato eventuali debiti da più di un anno, senza perdite, debiti, residui o pendenze per la società, seppure con ritardo.

Non basta, quindi, sospendere temporaneamente la visibilità dei dati personali, ma è necessario cancellarli.

Questo principio, già affermato nel provvedimento del 31 luglio 2002 sulle “centrali rischi” private, è stato ribadito dal Garante per la protezione dei dati personali, il quale ha accolto il ricorso di una persona il cui nominativo era ancora inserito nella banca dati di una centrale rischi, nonostante fosse trascorso più di un anno da quando aveva integralmente pagato il proprio debito.

Nel caso di specie, il ricorrente si era visto rifiutare alcuni finanziamenti da diversi istituti di credito. Inizialmente, lo stesso aveva presentato un’apposita istanza alla centrale rischi per chiedere la cancellazione dei suoi dati, allegando una quietanza liberatoria della banca che gli aveva erogato il prestito, con esito negativo, però, perchè la centrale rischi faceva decorrere l’estinzione del debito da una data successiva rispetto a quella della quietanza. Conseguentemente, presentava ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, e, durante il procedimento, la società, pur ferma sulla sua posizione, provvedeva a bloccare temporaneamente la visibilità del nominativo del ricorrente.

Tuttavia questo rimedio di carattere temporaneo, secondo il Garante, non è conforme a quanto affermato dalla stessa Autorità nel provvedimento generale sulle “centrali rischi”, che richiede la cancellazione dei dati personali. Ecco, quindi, che il procedimento si è concluso con l’ordine di cancellazione del nominativo del ricorrente entro ‘tre giorni’ dalla ricezione della decisione.

Erminia Acri-Avvocato