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Cocchi di mamma…


…Per crescere meglio – 17

Come abbiamo visto finora, la fase dell’adolescenza viene, bene o male, superata; però, i figli crescono e cominciano ad avere i primi rapporti sessuali… e molti genitori non li preparano a questo; i ragazzi sono spesso ignoranti (nel senso che ignorano il mondo corretto della sessualità), si muovono secondo il “sentito dire” e possono commettere degli errori…come quello di farlo quando non sono pronti… solo per curiosità… oppure, non essendo sufficientemente informati, possono contrarre delle malattie o avere delle gravidanze indesiderate e avere, comunque, dei traumi di tipo psicologico… Com’è giusto che si comporti un genitore con un figlio, in questi frangenti?

Un genitore bisogna che si comporti rispettando tutti i principi di cui abbiamo parlato fino ad oggi; dovrebbe essere preparato nel senso che avrebbe bisogno di istruirsi e poi maturare nel tempo, attraverso anche la lettura di libri specifici… Ce ne sono tanti in commercio che spiegano come prospettare la vita umana in tutti i suoi aspetti, compreso quello sessuale, ai bambini di ogni età, dai 3 anni a salire. C’è materiale didattico che spiega in che modo essere più preparati per affrontare discorsi delicati, quali quelli della vita intima di un figlio con un partner più o meno stabile oppure occasionale. Se non dovessero essere soddisfacenti i libri, ci si può sempre rivolgere a persone qualificate nel campo del privato o del pubblico perché ogni amministrazione, almeno quelle dei centri abitati più grandi, mette a disposizione dei consultori che sono attrezzati per sapere affrontare dialoghi di questo tipo: quindi, un genitore, dovrebbe solo limitarsi ad impegnare del tempo per prepararsi al meglio.

Non è possibile, comunque, che io ti dia una risposta univoca, perché il comportamento corretto di un ragazzo nei confronti della sessualità, legata al rapporto con un’altra persona, è condizionato dall’ambiente in cui vive (quindi dagli apprendimenti che riceve) e da quello che si aspettano da lui, relativamente al contesto geografico. Un conto è parlare di un ragazzo svedese, un conto di un ragazzo siciliano….

Sembra un discorso forzato il mio, però rispecchia la realtà. Un giovane, legato a dettami di tipo religioso, ha difficoltà ad accettare rapporti sessuali prima del matrimonio ancora oggi; nel mio lavoro ascolto dichiarazioni del genere che portano a conflitti fra un bisogno naturale e un tabù moralistico di tipo religioso. Tutto questo, fa leva più facilmente nel Sud Italia che non al Nord… perché qui si formano altre tradizioni legate, per quanto riguarda le donne, al potere circa la verginità fino al matrimonio…. che è qualcosa da concedere… quindi è comunque una gestione del potere che la donna mette in atto sul maschio, da tempo. I libri di storia ci insegnano che le grandi decisioni attuate dagli statisti, molte volte, sono state condizionate da spinte di “vario genere” di origine femminile e allora bisogna fare i conti, anche da parte di un educatore, con le convinzioni dei ragazzi oltre che con quelle dei genitori. E’ facile dire che è bene che un giovane si avvii ad una intimità profonda che può sfociare in rapporti sessuali completi quando se la sente. Ma quando se la sente? Quando è maturo! Ma quando è maturo in quel senso?…sempre in relazione a quelle che sono state le sue esperienze, i suoi apprendimenti di base e i condizionamenti…

Io di condizionamenti ne ho avuti tantissimi… e mi hanno fatto vivere male, all’inizio, la mia sessualità…. C’è voluto molto tempo per sganciarmi, oggi sono più matura anche da quel punto di vista…

Comunque, anche se tu oggi sei più matura per quanto riguarda determinati frangenti, avrai incontrato degli uomini invece, inibiti, condizionati, bloccati che manifestano questi disagi attraverso una serie di difficoltà e queste, comunque, sono legate a paure e conflitti non risolti che si portano dietro da quando erano bambini.

I problemi non sono solo delle donne… ma anche (e direi “soprattutto”) degli uomini!

Accade spesso che, specie nel Sud, i giovani, crescendo, si creino una specie di “assuefazione” alla famiglia, apprezzano molto (forse anche per comodità) il nucleo familiare d’origine e, vuoi per le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, vuoi per altro, fanno fatica a lasciarla per decidere di andare a vivere da soli… Perché?

L’Istituto di Psicologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche ha intervistato 500 adolescenti tra i 17 e i 20 anni per capirne le motivazioni e le aspettative sul futuro. Ne emerge la figura di giovani adulti: con una forte propensione, cioè, alla realizzazione di un benessere professionale, economico e sentimentale ma desiderosi nello stesso tempo di restare con i genitori e rinviare matrimonio e figli. L’età media dell’indipendenza domestica si attesta ormai in Italia sui 30 anni. L’idea “dell’uscita da casa” è presente nell’immaginario ma legata effettivamente più ad una fantasia che ad un progetto reale.


Secondo la dott. Giuseppina Rullo (del C.N.R.), siamo in presenza di un atteggiamento psicologico che possiamo definire del “giovane adulto”, che vive cioè una duplice condizione esistenziale: giovanile per quanto concerne l’annidamento in famiglia, le incertezze e la indefinitezza sui progetti futuri; adulta per ciò che attiene l’autogoverno del proprio tempo, delle proprie idee e delle proprie relazioni extrafamiliari, nonché l’eventuale indipendenza economica. Questa condizione è frutto di molteplici fattori: da quelli psicologici dei giovani a quelli degli stessi genitori, che tendono alla conservazione del proprio ruolo; a quelli culturali (dilazione del matrimonio, cambiamenti del rapporto tra genitori e figli in senso più paritario); a quelli più propriamente socioeconomici (allungamento del percorso di studi, difficoltà di trovare lavoro, crescente flessibilità del mercato del lavoro, mancanza di abitazioni economicamente accessibili).


Comunque, per rispondere direttamente alla tua domanda, posso dirti che la difficoltà è acuita dall’abitudine legata ad una forma mentis una volta presente nel Sud Italia, ora anche altrove, in base alla quale non è strano che un figlio rimanga in casa finché non si sposi… e che sia uomo o donna poco importa! Sono poche le donne che decidono di vivere da sole senza sposarsi perché, oltre a dover affrontare il giudizio della gente, hanno difficoltà a modificare i propri apprendimenti…

…infatti, se qualcuno va via di casa (soprattutto i maschietti!), lo fa in maniera parziale nel senso che poi vanno a pranzo e cena dalla madre, portano i vestiti a lavare alla madre…praticamente si creano l’alcova per certi scopi, ma restano dipendenti dalla madre per tutto il resto…

Si tratta ancora di retaggi che, per quanto riguarda i maschi, sono legati alla figura del maschio in balìa della donna che lo accudisce, lo “protegge” e concede autonomia come si può fare con un cane cui si lega un guinzaglio estensibile….Per quanto concerne le donne, è legato alle difficoltà che si incontrano perché, agli occhi di qualcuno, potrebbe essere una donna di facili costumi che vive da sola proprio perché è disposta a concedere le sue grazie a chiunque! Ovviamente, è più difficile che queste cose accadano in zone più mature e più pronte, come mentalità … anche se debbo dire che, rispetto al passato, quando i giovani, dopo i 18 anni, cominciavano a lavorare e a vivere da soli in “camere ammobiliate”, ora anche nel Nord Italia si registra un’inversione di tendenza, legata al senso di precarietà ed insicurezza conseguente alle delicate questioni internazionali e “all’impoverimento da Euro”!

Ma se questi rampanti trentenni amano così il concetto di nucleo familiare, perché hanno così tanta paura di crearsene uno nuovo tutto loro?

Perché la famiglia d’origine rappresenta per loro un rifugio affettivo, anche se in presenza di contrasti legati a modi di pensare differente. Vuoi aggiungere, inoltre, il sottile piacere che si prova quando il figlio raggiunge una posizione economica e sociale superiore rispetto a quella dei genitori (magari, ormai in pensione) e riesce, finalmente ad imporre la sua legge, di fronte a quello che un tempo era il “pater familias”?

Una vendetta, insomma!

Quasi… e comunque, molto spesso, a livello inconsapevole.

Non hai finito di rispondermi!

Si, concludo subito. Rispetto a certi “andazzi” (a “come viene… viene!”) dei gruppi d’origine, Una “nuova” famiglia, invece, richiede l’acquisizione di quella esperienza e di quei messaggi peculiari per essere certi di costruire qualcosa di valido e di differente rispetto al modello di provenienza. Se un ragazzo non impara come si crea prima una coppia “nuova” e poi una famiglia “diversa”, avrà molte difficoltà: il modello genitoriale, per molti aspetti non gli andrà bene perché lui, comunque, è una persona di un’altra epoca… però non sa cos’altro proporsi! Quindi va all’avventura passando da un rapporto all’altro e rimanendo insoddisfatto. A queste condizioni si può pensare di “fare famiglia”? la si sfascerebbe dopo pochissimo tempo… come in effetti, spesso avviene!

Ne so qualcosa!

…Oddìo! ..sfasciare…. Non la si costruisce proprio, al massimo si coabita!

Quanti “coinquilini” che conosco… Che tristezza!!!

G. M. & S. L.