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Riflessioni sul libro scritto dall’Avvocato Ettore Randazzo, presidente dell’Unione Camere Penali Italiane.


La generosità dell’Autore – e la Sua autorizzazione – mi ha convinto a pubblicare i pensieri che la lettura del libro, edito da Sellerio- Palermo 2003, mi ha suscitato.

Ringrazio, quindi, il presidente dei penalisti aderenti all’Unione Camere penali Italiane, Ettore Randazzo, per la fiducia ripostami e per gli stimolanti input lanciatimi, che tenterò di tesaurizzare nel prosieguo della mia carriera di difensore.

“Illustrissimo Presidente,

prima di andare avanti in queste mie riflessioni, sento il bisogno di precisarLe che il compito così generosamente da Lei richiestomi è per me motivo di duplice preoccupazione:

  1. quanto alla capacità di giudizio,
  2. quanto al saperlo esprimere compiutamente.

Ma, a dirla con Dante “qui si parrà la tua nobilitade”.

Con ciò voglio significare che per me, e solo per me, il compito ha una valenza di notevole portata, laddove – ne sono consapevole per quel che ho letto ed ho appreso da Lei – rappresenta e potrebbe rappresentare, per un professionista Avvocato difensore del Suo calibro, una normalità, un passaggio conosciuto, un’opportunità concessa…in attesa di una conferma sulla bontà della scelta.

In questo preciso momento, mentre Le sto scrivendo, mi sovviene una frase che un giorno, leggendo un testo di Albert Pike, mi impressionò e fatto sognare allo stesso tempo: “…farò molto di più che sperare nel successo: lo meriterò…”.

Ed è con questo parametro che – presuntuosamente, ancorché abilitato, ripeto, dalla sua generosità – mi accingo ad esprimere delle elaborazioni da me prodotte sul libro da Lei creato e scritto, che già nel titolo reca in sé concetti elevati: l’ontologia dell’Avvocatura ed il rapporto di essa con la Verità.

Il Suo lavoro ha una densità di significati e significanti quanto ai concetti contenuti – utilizzando un linguaggio matematico, a me non molto chiaro per via della mia estrazione umanistica – che è inversamente proporzionale alla brevità del numero di pagine, quindi estremamente carico di informazioni molto profonde, oltre che intensamente meditate attraverso – e si sente! – la pratica quotidiana.

L’essere Lei un deontologo, quindi un esperto di esseri umani che svolgono quest’antica professione, mi fa ricordare quanto fondamentale sia la “Formazione”, concetto nel quale credo fermamente, che, a mio modesto parere, è spia luminosa che indica e certifica la qualità dell’avvocato.

Il fatto che, poi, abbia avuto modo di conoscerLa ed apprezzarLa durante le Sue lezioni al VI corso di deontologia e tecnica del Penalista di 2° livello, mi agevola nell’immaginazione, e, quindi, nel ricordo, assai vivo nella mia mente.

Una premessa:il tipo di espressività che ho colto fra le righe del libro, nel Suo chiarissimo linguaggio scritto fa sì che quest’ultimo diventi…”parlato”, semplice nell’espressione, estremamente vero, reale.

Evitando altre divagazioni passo ad affrontare “l’arduo compito”.

Non credo che bastino le tre letture che ho fatto per una compiutezza di valutazione. Invero, ogni frase e parola potrebbe essere scomposta in così tanti concetti da divenire un vero e proprio “mare magnum”.

Perciò, punto tutto sulla parte nomata “Avvocato e gentiluomo”, che è quella che più ho avvertita centrale, quanto all’argomento ivi affrontato e trattato, proprio in relazione al titolo dell’opera.

Da pag. 27 sino a pagina 31, le due domande sono granitiche ed assai scivolose: “ COME PUO’ DIFENDERSI UN COLPEVOLE ( O, PIU’ IN GENERALE, UN CLIENTE CHE ABBIA TORTO)? Ed ancora, SE PURE DA CIO’ DERIVASSE IL DIRITTO DEL COLPEVOLE DI ESSERE DIFESO, E DEL PREPOTENTE DI ESSERE ASSISTITO, COME SI SPIEGHEREBBE IL LORO DIRITTO DI ESSERE AIUTATI A FAR VALERE RAGIONI INESISTENTI, E QUINDI AD OSTACOLARE LA GIUSTIZIA?

In verità (è proprio il caso di affermarlo) le Sue risposte ai due enormi quesiti consigliano – rectius consiglierebbero – al lettore – che, in ogni caso, deve essere culturalmente ed eticamente provveduto – prudenza e metodo nelle sue riflessioni scaturenti dalla lettura stessa; ciò affinché possano discernersi, sì da evitarli, sempre meglio, i contorni della spietatezza dogmatica dei giustizialisti, per poter volgere lo sguardo verso la cultura del cittadino che ha diritto ad una domanda ragionata e ragionevole di giustizia: questo è quello che secondo me ho visto trasudare dal libro.

Voglia scusare la parzialità della valutazione oltre che la relativa incompletezza, La saluto con elevata stima e pari affetto.

Mi permetta di gioire con Lei per i premi ed i riconoscimenti che ho letto: Le sono stati giustamente attribuiti!

Francesco Chiaia