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Pianto, riso, sussurri, sbadigli: cosa vogliono significare? Quali sono i segnali della voce?


La voce, prodotta da un sistema neuromuscolare complesso ed integrato fa parte, a pieno titolo, dei segnali corporei. Essa risente degli stati di tensione e di rilassamento di una persona perché nella sua formazione, sono coinvolte naso, bocca, vie respiratorie, torace, diaframma e muscoli addominali.

Esiste un legame tra voce e corpo, poiché chi controlla la voce di solito controlla anche i movimenti del corpo.

Una voce monocorde, senza sbalzi di tono e di volume, appartiene di solito a soggetti che compiono movimenti ripetitivi e prevedibili; al contrario, una voce che possiede varietà di toni e di volumi, nonché una certa discontinuità nel ritmo, frequentemente appartiene ad un soggetto i cui movimenti del corpo sono fluidi e vari.

Diversi studiosi hanno attuato una classificazione degli aspetti non linguistici del parlato.

G.L. Trager, che ha coniato il termine paralinguistica, divide in due categorie gli elementi paralinguistici in base alla qualità della voce (tono, risonanza, caratteristiche individuali), e alle vocalizzazioni.

Queste ultime comprendono i caratterizzatori vocali (pianto, riso, sussurro, sbadiglio ecc.), i qualificatori vocali, i segregati vocali (grugniti, sospiri, rumori della lingua e suoni dei tipo “uh”, “uhm”, “ah”).

Argyle distingue le vocalizzazioni non verbali in segnali vocali verbali e non verbali. Tra questi ultimi distingue inoltre quelli legati al parlare e quelli indipendenti dal parlare. Egli definisce segnali prosodici quelli che fanno parte integrante del linguaggio, come le pause per mettere in risalto la sintassi, le sonorità per dare enfasi, il tono di voce ascendente per formulare domande; segnali sincronici quelli che si usano durante una conversazione; segnali di disturbo come ripetizioni, balbettii, suoni incoerenti, omissioni, incompletezza e variazione di una frase, gli “ehm” e gli “ah”.

Argyle include in questo gruppo anche i segnali paralinguistici che comunicano emozioni come gemiti, lamenti, pianto, riso, strida, grida, borbottii e mugolii. Essi sono interessanti perché rassomigliano molto alle vocalizzazioni degli animali. E’ stato notato infatti che non solo scimmie ed altri primati, ma anche leoni ed orsi, esprimono suoni emozionali simili a quelli emessi dagli esseri umani nelle medesime circostanze. Per questo motivo si tende a ritenere come fondamentalmente innata la vocalizzazione delle emozioni da parte dell’uomo.

Il pianto costituisce la principale fonte di vocalizzazione dei neonati; essi ne fanno uso, sotto forme diverse, quando hanno fame, quando sono arrabbiati e quando avvertono dolore. Per attirare l’attenzione, essi emettono anche gemiti di tono più basso o suoni delicati accompagnati al sorriso.

I segnali della voce sono :

il volume, che definisce l’intensità del suono (forte-piano);

il tono, che ne definisce l’altezza (acuto-grave);

il timbro, che definisce le caratteristiche individuali della voce;

la velocità, che definisce la rapidità con la quale si emettono i suoni (lento-veloce);

la continuità, che definisce la sequenza di emissione dei suoni (continuo, discontinuo, pausa).

Il volume, della voce può essere alto o basso. Quello alto è utilizzato per colmare la distanza tra i corpi degli interlocutori in modo da fare arrivare il messaggio. Spesso il volume più alto viene utilizzato per dare enfasi ad un concetto o anche per affermare l’importanza del proprio ruolo. Il volume basso richiede una maggiore vicinanza dei corpi.

A volte un volume della voce più basso viene utilizzato per creare un effetto di dominanza costringendo gli ascoltatori al silenzio. Altre volte, un volume di voce ostentatamente basso può segnalare mancanza di chiarezza, insicurezza, infelicità, depressione, sottomissione.

Il tono della voce può essere acuto o grave. A causa della diversa configurazione della laringe, le donne hanno un tono di voce più acuto, gli uomini, invece, più grave.

Ambedue i toni, comunque, possono segnalare uno stato di tensione emozionale, di gioia o di dolore: i toni acuti sono richieste di aiuto finalizzati ad eccitare i destinatari, mentre i toni gravi costituiscono indizi di minaccia destinati ad intimorire.

Una voce acuta, lamentosa ed implorante è tipica delle persone nevrotiche o immature; una voce robusta, dal tono grave ed incisivo, caratterizza le persone estroverse, tendenti a dominare.

Le persone depresse o dipendenti hanno quasi sempre voce piatta, debole e monocorde, mentre quelle stressate o affette da lesioni cerebrali emettono una voce vuota, cavernosa, con pochi toni acuti.

Il timbro consente di riconoscere una persona dalla sola voce, grazie alle impronte sonore che sono simili a quelle digitali.

La velocità nel parlare, cioè l’alternanza tra pause e parole, toni alti e toni bassi, eloquio rapido o rallentato, offre spesso svariati segnali, in un contesto relazionale, sullo stato emotivo di chi parla.

Parlare troppo in fretta può segnalare nervosismo, agitazione, paura di esporsi o di competere. Al contrario, parlare lentamente, ha effetti calmanti, ma nello stesso tempo, rischia di non tener desta l’attenzione

di chi ascolta.

La continuità è l’alternarsi tra l’emissione della voce e la pausa. Quest’ultima riveste un’importanza fondamentale nell’interazione in quanto serve a riordinare le informazioni, ascoltare l’altro in termini di contenuto e di feedback, sincronizzare i ruoli tra emittente e ricevente. A volte, però, può anche rappresentare un segnale di imbarazzo.

La voce è, quindi, uno degli elementi che caratterizzano la persona; essa, entro certi limiti, può anche rivelare l’età, il sesso e la provenienza geografica del parlante.

Si può inoltre riscontrare una certa correlazione tra voce e personalità di un individuo.

Esistono nel mondo alcune aree in cui si è sviluppato un vero e proprio linguaggio fischiato che è oggetto di studio da parte di linguisti, etnologi ed antropologi culturali.

Nel villaggio di Aas, nell’isola di Gomera, presso gli Indios Mazatechi e Zapotechi del Messico ed in certe valli della Turchia, si parla fischiando. Non è escluso che lingue fischiate esistano anche in Africa ed in Cina.

L’isola di Gomera, appartenente all’arcipelago delle Canarie, dista circa 115 km dalle coste africane. Il suo territorio è solcato da gole profonde, irte di spuntoni di roccia e terminanti nelle coste scoscese che circondano l’isola. In questi luoghi selvaggi i pastori hanno fatto nascere un linguaggio fischiato che ha lo scopo di evitare spostamenti lunghi e difficili.

Anche ad Aas, nei Pirenei francesi, i pastori che abitano quelle vallate ricche di coltivazioni a terrazze, utilizzano messaggi fischiati per lo stesso scopo.

Le analogie tra le lingue fischiate del villaggio di Aas e dell’isola di Gomera sono tante al punto che i pastori di Gomera sono riusciti a decifrare, pur senza capirne il senso, alcune frasi fischiate degli abitanti di Aas. Sia ad Aas che a Gomera i fischiatori sono capaci di riconoscere chi fischia, perché il fischio è personalizzato come la parola.

Naturalmente tra le due culture esistono anche delle differenze sia nella tecnica fischiatoria che nel vocabolario, più ricco nei pastori della Gomera.

Particolare curioso: il giorno di Natale del 1862, il Sindaco di San Sebastian, capitale dell’isola, impedì ai pastori l’ingresso nella chiesa perché essi si ostinavano a fischiare le parole dei salmi durante la messa.


F. F. – Esperta in comunicazione