Qualsiasi qualità è una qualifica, è un quid e non una quisquilia. Buona lettura.
DIZIONARIO DEGLI ERRORI
ALLA BASE DI UNA COMUNICAZIONE CORRETTA, CIOE’ UTILE E PROFICUA, TESA A VALORIZZARE E MIGLIORARE LE RELAZIONI UMANE, C’E’ LA CONOSCENZA DEI VOCABOLI E DEI TERMINI. DA TALE CONOSCENZA DISCENDE QUELLA FLUIDITA’ NELLE FORME ESPRESSIVE CHE E’ GARANZIA DI CHIAREZZA E DI ARMONIA NEI RISULTATI. QUESTA RUBRICA VUOLE PROPORRE, PER CHI RITIENE CHE L’IMPORTANZA DEL LINGUAGGIO VADA OLTRE UN USO PRAGMATICO E SIA SOPRATTUTTO ESPRESSIONE DEL PENSIERO, UNA SERIE DI INDICAZIONI PER EVITARE GLI ERRORI PIU’ FREQUENTI NELL’USO DEI VARI TERMINI.
- Iàto: successione di due vocali che si pronunciano in due distinte emissioni di fiato e formano così due sillabe distinte: es. le-o-ne. Per iàto s’intende anche l’incontro di due o più vocali tra più parole di uno stesso periodo. Es.: “e ha avuto”.
- Ibidem: Termine latino che sta per “nello stesso luogo”, si usa nelle citazioni successive di un testo già citato nella forma abbreviata: “ibid.”
- Imbarcadèro: Un ibrido derivante dallo spagnolo “embarcadero”. E’ termine molto usato, ma è meglio usare “molo, banchina, pontile”.
- Immancabilménte: “Senza mancare mai”. Non va usato con il significato di “certamente, senza dubbio, sicuramente”.
- Immantinènti: Forma scorretta per “immantinente”. Il significato è: subito, senza indugio.
- Immènso: Enorme, smisurato. E’ già superlativo, quindi è errato dire ” più, meno immenso”.
- Imparàre: Apprendere nozioni nuove mediante lo studio, l’esercizio e l’applicazione. Non ha il significato di “insegnare” e neppure di “avere notizia, venire a conoscenza”.
- Impellicciàre: Coprire di pelliccia, da non confondere con “impiallacciare” che significa “rivestire un legno scadente con una sottile foglia di legno pregiato”.
- Impossibilitàre: Non è scorretto come termine, ma “rendere impossibile, impedire” sono più appropriati.
- Imprestàre: Meglio prestare.
- Impudìco: Per indicare chi non ha pudore. E’ corretta tale forma e non “impùdico”. Il plurale maschile è “impudichi”.
- In: Preposizione semplice. Sia nella forma semplice che articolata (“nel, nello ecc”) regge i complementi di modo, stato in luogo, moto per luogo, limitazione, materia e stima. Con i verbi all’infinito (es. “nel salutarti”) forma espressioni sostitutive del gerundio (“salutando”). E’ meglio dire “vestito di nero” che “in nero”, “nell’attesa” invece di ” in attesa”. In- è anche prefisso per nomi, aggettivi e verbi. Davanti a nomi ha valore privativo, es. “inodore”. Davanti ai verbi il prefisso in- ha il valore di: dentro, verso, contro, sopra, es. “innalzare, imboscare, irrompere”.
- Incàvo: E’ errato “ìncavo”.
- Incoscènte: Il termine deriva da “coscienza”, quindi la grafia corretta è “incosciente”, che significa chi agisce senza la consapevolezza delle proprie azioni e delle loro conseguenze.
- Incùtere: Si usa correttamente solo se riferito ad emozioni improvvise quali paura, rispetto, soggezione, ansia, timore.
- Indomàni: E’ sempre preceduto dall’articolo determinativo, es: “l’indomani”. E’ meglio usare “il giorno dopo o il giorno seguente”.
- Infìdo: E’ errata la pronuncia: “ìnfido”, anche se è la più comune.
- Infimo: E’ gia superlativo ed indica “l’ultimo di grado, valore e pregio”. L’aggettivo contrario è “sommo, supremo”.
- Inghìppo: Sinonimo di “truffa, inganno”. Voce dialettale utilizzabile solo nel linguaggio parlato corrente.
- Iniziare: Verbo da usare sempre nella forma transitiva. E’ errato l’uso intransitivo. es. “il processo inizia alle 15,00”. E’ corretta, invece, la forma:”il processo si inizia alle 15,00″. L’uso improprio deriva dalla confusione dell’utilizzo di “iniziare” come se fosse “cominciare”, che è invece sia trans. che intrans., es: “il processo comincia alle 15,00”.
- Inqualificabile: Sinonimo di spregevole, infame, indegno, riprovevole, biasimevole.
- Insolvìbile: Il significato è “che non può essere pagato”. Se riferito a persona è preferibile la forma “insolvènte”.
- Instradàre: Per i puristi voce più comune di “istradare”.
- Intenzionato: Si eviti l’uso delle espressioni “male intenzionato” e “bene intenzionato” e si usi “benevolo”, “malevolo” “bene o mal disposto”. Il termine usato come sostantivo indica “persona dubbia”, “sospetta”.
- Interessènza: Neologismo del linguaggio commerciale che significa: “partecipazione agli utili di un’azienda. In altri campi è meglio dire “utile, interesse, percentuale”.
- Intermediàrio: Meglio utilizzare il termine “mediatore o intercessore se si intende “chi dirime contrasti”.
- Interpetràre: Forma meno comune per “interpretare”.
- Interpunzione: I segni di interpunzione sono: la virgola, il punto e la virgola, i due punti, il punto, il punto interrogativo, il puno esclamativo, i punti sospensivi, la lineetta, le virgolette, l’asterisco, le parentesi tonde, le parentesi quadre, il trattino.
- Interrogazione: Figura retorica che consiste nel rivolgere una domanda, non per averne risposta, ma per affermare con più forza il proprio pensiero, es: “ed ora che faremo, cosa decideremo?”
- Intiepidìre: Per la regola del dittongo mobile è più corretto “intepidìre”, anche se meno comune.
- Intimidìre: Non è appropriato nel significato di “incutere paura, impaurire, minacciare”. Il significato corretto è “rendere timido”
- Intra-: Prefisso di parole composte che non richiede il raddoppiamento. Es: “intravedere”.
- Intrigàre: Voce dialettale lombarda per “intricare” (avviluppare, avvolgere). Da evitarsi nel senso di “interessare”, “incuriosire”, “allettare”.
- Introitàre: Proprio del gergo commerciale che indica l’entrata in cassa di una somma. I sinonimi “riscuotere, incassare” sono di più vasta portata.
- Invéce: Si scrive in due parole se assume il significato di sostituzione: Es: “in vece” mia. Non si rafforzi con “ma” o “mentre”, perché queste sono abitudini del linguaggio più familiare. E’ sufficiente anteporre “e”.
- Io: Pronome personale di prima persona singolare con funzione soggettiva. Come tutti i pronomi personali, è meglio, ove possibile, sottintenderlo.
- -io (nomi in -io): Il plurale di tali nomi si forma nel modo seguente: 1) se la “i” non è accentata il plurale è in “i”, es: “studio” plurale “studi”; 2) se la “i” è accentata il plurale è in “-ii”, es: “brusio”, “brusii”. I verbi terminanti in -io con l’ accento sulla “i” della prima persona del presente indicativo, conservano la “i” anche se diventa atona nel corso della coniugazione.
- Iperbole: Consiste nell’esagerare in eccesso o in difetto una cosa allo scopo di dare risalto all’espressione, es: “scappò come il vento”, “era stanca da morire”.
- Irruènto: Di uso comune, ma è meno corretto di “irruènte”( chi entra in furia): In senso figurato è meglio “focoso, veemente, travolgente”.
- Ispirare: Usato comunemente nel senso di “infondere nell’animo”. Per indicare, invece, “introduzione di aria nei polmoni” si preferisce “inspiràre”.
- Istallàre: Meglio “installare”.
- Jeep: Deriva dalla sigla americana G.P. (“general purpose” (car), cioè veicolo di uso generale. Originariamente, il termine indicava un tipo di veicolo militare, mentre ora indica qualsiasi auto fuoristrada.
- Joint-venture: (locuzione sostantivata femm. invariante) Indica un tipo di associazione imprenditoriale finalizzata a realizzare un determinato progetto e, quindi, limitata nel tempo.
- Jungla: Grafia errata, coniata sull’inglese “jungle”. In italiano si dice “giungla”.
- Kafkiàno: Nel linguaggio figurato indica qualcosa di “assurdo e angoscioso”, tipico e proprio dello scrittore cecoslovacco F. Kafka.
- Kamikaze: Il termine indica il pilota suicida giapponese nella seconda guerra mondiale. In senso figurato ci si riferisce a persona intenzionata a compiere a tutti i costi una determinata azione.
- Kìlo: Le forme “kilometro, Kilogrammo” sono scorrette; o si abbreviano in Km, Kg o si scrivono “chilòmetro, chilogràmmo”.
- Kitsch: Termine tedesco entrato nell’uso per indicare “cosa di cattivo gusto”, specialmente di tipo artistico.
- Làpis: Il termine indica la matita comunemente denominata.
- Lasciar perdere: Espressione del linguaggio comune meno corretta rispetto a “lasciar correre” e/o “lasciar andare”.
- Làsso di tempo: Meglio dire “periodo di tempo”.
- Lavàggio: Francesismo ormai entrato nell’uso. Sarebbe più corretto “lavatura”.
- Lavandino: Voce dialettale di origine lombarda, ormai di uso comune. In italiano, il termine da usare è “lavello”, corretto è anche “lavàbo” che, anticamente era una vaschetta di marmo che serviva ai monaci da lavamano prima della messa o della mensa.
- Leccòrnia: E’ errato, correttamente è “leccornìa”
- Légna: Nome collettivo usato al singolare. Il plurale è “le legna, le legne”, poco usati entrambi.
- Legùme: Indica il baccello di certe piante dette “leguminose”, dove i semi stanno raccolti, ed anche ciascuno dei semi stessi. Legumi sono i piselli, ceci, fagioli, lenticchie e fave. Evitare l’uso francese di legumi nel senso di “ortaggi” o “verdura”.
- Lèi: Pronome personale di terza persona singolare, che svolge, ormai, funzione di soggetto. Si usa anche riferito a persona maschile. Si deve usare “lei” dopo “come, quanto, anche, neanche, nemmeno, neppure, pure”.
- Lenzuòlo: Il termine ha due plurali: “lenzuola” indica il paio che si usa nel letto, “lenzuoli” indica un numero imprecisato.
- Lì: Va sempre accentato e si usa con i verbi di stato e di moto. Può sostituire “là” e può anche esservi contrapposto. Può essere rafforzativo di un nome preceduto da un aggettivo dimostrativo, es: “quel ragazzo lì”.
- Lillà: Riproduce la pronuncia francese, ma la forma corretta è “lìlla” sia per indicare il colore che la pianta.
- Lìnea: Poco appropriate le locuzioni “in linea di”, ad es. “in linea di principio, di fatto, di diritto” ed “in linea teorica”. E’ corretto, inveve, dire: ” per principio, secondo il fatto, secondo il diritto, in teoria”.
- Liquerìzia: Variante popolare per “liquirìzia”.
- Loro: Pronome personale di terza persona plurale, maschile e femminile. E’ usato nei casi indiretti e nel liguaggio familiare svolge anche la funzione di soggetto. Si usa anche al seguito di un verbo, es: “lo dicono loro”. Ha funzione di soggetto se segue: “come, quanto” e gli avverbi “anche, neppure, nemmeno, neanche”.
- Lòtto: E’ un termine improprio se si intende “porzione, gruppo, schiera”. Propriamente indica l’omonimo gioco.
- Lùi: Pronome personale di terza persona singolare maschile. Si usa per i complimenti indiretti; nella lingua parlata si usa anche come soggetto e ciò è ammesso quando il soggetto segue il verbo o quando lo si voglia far risaltare per contrasto, es: “questo lo sa lui, tutti parlano, lui sta zitto.” Si usa quando segue: “come, quanto, anche, neanche, neppure, nemmeno.”
- Lungo: Forma parole come “lungomare, lungofiume ecc.” Nella formazione del plurale “lungo-” rimane invariato.
- Lusingàrsi: E’ usato impropriamente nel significato di “sperare”. Nel gergo commerciale si trova spesso: ” Ci lusinghiamo di ottenere…..” invece del più corretto “Confidiamo, speriamo di….”
- Macchiavèllico: E’ errato, la grafia esatta è “machiavellico”.
- Macchina da cucire, da scrivere: Forme ormai invalse nell’uso, ma la forma corretta è “macchina per cucire, per scrivere”.
- Maggiorare: Da usare solo nel linguaggio burocratico.
- Maggiore: E’ un comparativo, si esclude, pertanto, l’espressione: “il più maggiore”.
- Magone: Forma dialettale usata nell’Italia settentrionale per: afflizione, affanno, tristezza.
- Mai: Avverbio che significa “in nessun tempo, in nessun caso”.
- Maiuscola: Si usa la lettera maiuscola all’inizio di un periodo, con i nomi propri di persona, i nomi geografici, nomi di oggetti famosi, titoli, avvenimenti storici, opere d’arte, persone sacre, solennità religiose e civili, nomi di popoli. Si usa, inoltre, con i nomi di enti, associazioni, aziende e ditte. Le apposizioni “santo, via, mare” si scrivono con la maiuscola, anche se non è errato usare la minuscola. Gli aggettivi sostantivati derivanti da nome di luogo, che si scrivono con la maiuscola, si scrivono anch’essi con la maiuscola, es: gli Italiani.
- Màle: Avverbio. Il comparativo è “peggio”, è errato: “più màle”…tranne quando “male” è in funzione di sostantivo: ha fatto “piú male” all’ufficio Carlo, in due giorni, che Francesco in 20 anni (precisazione a cura di Fausto Raso) .
- Mancàre: Verbo trans. E’ errata la costruzione transitiva con il significato di “fallire, non conseguire un intento”. Invece di “mancare un colpo”, si dirà “fallire un colpo”.
- Manicùre: E’ la persona che cura le mani e non l’azione. Anche se comune, è errata l’espressione: “farsi il manicure”, invece che “curarsi le mani”. Lo stesso vale per “farsi il pedicùre”.
- Mannàggia: Espressione meridionale da utilizzare preferibilmente solo nella lingua parlata ed in ambito strettamente familiare.
- Maràsma: Propriamente indica “il grave indebolimento dovuto a malattia o a vecchiaia”, in senso figurato, invece, “decadenza morale”. E’ errato usare il termine per indicare “confusione”, “caos”.
- Marcàre: “Segnare, contrassegnare con un marchio, bollare”. Tale verbo non va usato come sinonimo di di “segnare, registrare, prendere nota, scrivere, annotare” o con il significato di “rimarcare la voce”.
- Marrone: E’ errato usare al plurale tale termine. In “marrons glacès” si usa la parola francese.
- Marsàla: Si dice “il marsala”, sottintendendo il vino.
- Mascherpone: Meno corretto di “mascarpone”.
- Màssimo: Superlativo di “grande”, in senso proprio e figurato.
- Match: Parola inglese di uso comune per indicare “incontro, partita, competizione.” Da evitarsi gli ibridi francofoni “match clou” e “retour match”.
- Mattina, mattino: In alcune locuzioni i due termini non sono intercambiabili, p.es. “domani mattina”, “le ore del mattino”.
- Me: Pron. personale di prima persona sing. Si usa nelle esclamazioni, in funzione predicativa dopo i verbi “parere, sembrare, essere”, nei comparativi e quando è preceduto da “quanto” e “come” . Se il soggetto è “io” e viene espresso, si ripete “io” e non si usa “me”. Se il verbo è di modo infinito si usa “io”, es: “partito io, se ne andranno tutti”.
- Media: Plur. masc. del latino “medium”. I “media” (pronuncia: media) sono gli strumenti di divulgazione dell’informazione, cioè la stampa e la televisione.
- Mèglio: Comparativo di bene. E’ errata l’ espressione “più meglio”.
- Menefreghìsmo: E’ un termine popolare che indica noncuranza, indifferenza, negligenza.
- Méno: Avv. E’ errato usare tale termine in proposizioni disgiuntive con il significato di “no”. Per es. : ” Dimmi se verrai o meno al cinema” anziché ” dimmi se verrai o no al cinema”. Inoltre, è errata l’espressione “a meno che”, invece di “salvo che, purché non”, nel significato di “eccetto, escluso”; Infine, è errato dire “quanto meno” al posto di “per lo meno”.
- Mestièri: E’ una voce del dialetto lombardo, usata per indicare i lavori domestici.
- Metàfora: Si tratta di una figura semantica per la quale si trasferisce ad un vocabolo il significato di un altro. Per es.: “Quell’uomo è una lumaca”. Al contrario, si avrebbe una similitudine se si dicesse: “Quell’uomo è lento come una lumaca”.
- Mi, ti, ci, si, gli, vi: Sono particelle pronominali che devono mutarsi in “me, te, ce, se, glie, ve” quando sono seguite da “lo, la, le, ne”. Per es.: “glielo dico”.
- Mìca: Il termine è usato in modo corretto per rafforzare una negazione. Tuttavia, è d’uso comune l’espressione “mica male”, che configura una litòte, cioè un giudizio affermativo espresso attraverso una negazione.
- Migliòre, miglioràre: Sono errate le espressioni “più migliore”e “migliorare di più”.
- Minàre: Il termine significa “porre mine”. Talvolta è usato in senso figurato, con il significato di “distruggere poco a poco”.
- Modìfica: E’ il troncamento di “modificazione”, che è voce più adeguata nella prosa letteraria.
- Munìre : Il termine significa propriamente “fortificare”; per est., indica “fornire, provvedere, ma con un implicito significato di difesa. Pertanto, è improprio usarlo in frasi come “munire di firma una lettera”, sarà più corretto dire ” firmare, provvedere di firma”.
- Mùschio: In senso proprio, è la secrezione di ghiandole di animali maschi. Nell’accezione, più comunemente usata, di “vegetali dei luoghi umidi”, come ad esempio i licheni, è più corretto usare il termine “musco”.
- Mussulmàno: Questa voce è accettabile, ma meno corretta di “musulmàno”. Deriva dall’arabo – persiano “musliman”.
- Ne: Particella atona che assume vari significati, svolgendo diverse funzioni.
- Né: Significa “e non”. Si usa per coordinare due proposizioni negative oppure due espressioni di una medesima proposizione negativa. Si pone sempre davanti al termine che si vuole negare. Se unita a “meno, pure, anche” ,forma gli avverbi “nemmeno, neppure, neanche”. Molto spesso, si sottintende il primo di due né correlati. Per esempio: “non voglio acqua, né birra”.
- Necessitàre: E’ errato usare questo verbo con valore intransitivo. Per es.: “non mi necessitava nulla”. In tal caso, è meglio utilizzare “occorrere, aver bisogno”. Nella forma impersonale è più esatto dire “è necessario, occorre”.
- Negàre: E’ da evitare l’espressione “mi son fatto negare”, invece di “ho fatto dire che ero assente”.
- Neòfita (anche neòfito): E’ colui che ha abbracciato, in senso proprio, una nuova religione; in senso figurato, una nuova causa.
- Nessùno: Se il termine segue il verbo, richiede la negazione. Per esempio: “non ho interpellato nessuno”. Invece, se precede il verbo, è sufficiente per esprimere l’idea negativa. Es: “nessuno è contento”. Segue le medesime regole ortografiche che regolano gli articoli “un, uno, una”.
1) Ha valore di avverbio di luogo, quando sottintende “da questo, da quello”. Per esempio: “me ne andai”. 2) E’ usato per sostituire “di lui, di lei, di loro, di ciò, di questo, di quello”. Es.: “se ne discute tutti i giorni”. 3) Può avere un semplice valore pleonastico. Es.: “ne vengono turisti in questa città!”. 3) Può essere usato per rafforzare alcuni verbi, come “andarsene, fuggirsene ecc.”. 4) In altri casi, si usa prima del verbo (per es.: “non ne desidero”), oppure dopo (es: “non riesco a venirne a capo”).6) Infine, si unisce ad altre particelle a formare “me ne, te ne, se ne, gliene, ve ne”.
- Nevicàre: E’ corretta sia la forma “è nevicato” sia “ha nevicato”.
- Niènte, nulla: Se seguono il verbo richiedono la negazione: “non ho chiesto niente”. Se, al contrario, precedono il verbo sono sufficienti per esprimere l’idea negativa: “Nulla è perduto”.
- Nòcciolo, nocciòlo: Il “nòcciolo” è nel frutto; il “nocciòlo”, invece, è l’arbusto che produce le nocciòle.
- Nomi di parentèla: In genere, non si usa l’articolo con i nomi che indicano una parentela stretta e che sono preceduti da un aggettivo possessivo (tranne nel caso di “loro”). Se, invece, il nome è usato come accrescitivo, vezzeggiativo o diminutivo l’articolo si usa. Con i nomi “mamma, papà” l’uso dell’articolo è libero.
- Nomi propri: E’ errato l’uso dell’articolo con i nomi propri di persona. Al contrario, i nomi propri geografici sono preceduti dall’articolo, tranne quando sono usati come complementi di specificazione: “la regina d’Inghilterra”. Inoltre, l’articolo non viene espresso quando il nome geografico costituisce complemento di moto a luogo o di stato in luogo ed è, pertanto, preceduto dalla preposizione in.
- Nomi stranièri: Al plurale rimangono inalterati.
- Non c’è di che: E’ più corretto dire: “di nulla, non è nulla”.
- Nonché: Significa “tanto più, tanto meno, molto più, molto meno”. Se è correlato con “ma” significa “non solo, non solamente”. Nel linguaggio comune si usa per indicare “oltre che, e anche, e inoltre”.
- Normalmente: In genere si abusa di questo avverbio per intendere “abitualmente, solitamente, di solito”. E’ più esatto usarlo nel senso di “secondo la regola, di norma”.
- Notìfica: Il termine indica “notificazione, comunicazione”.
- Obbedìre: E’ più comune l’uso della forma “ubbidire”.
- Obbiettivo: Non è scorretto, ma meno comune di “obiettivo”.
- Oberàto: E’ improprio l’uso del termine con il significato di “sovraccarico”. Infatti, deriva dal latino “oberatum” che significa, più esattamente, “carico di debiti, indebitato”.
- Olimpionico: Il termine indica il vincitore delle Olimpiadi. Come aggettivo è poco usato; è molto più comune, infatti, “olimpico”.
- Oltre: E’ seguito dalla preposizione “a” quando sta ad indicare “più che, per di più”. Si usa, al contrario, senza alcuna preposizione col valore di ” ancora, di là, avanti”. Es.: “non conviene andare oltre”.
- Onde: 1) E’ un avverbio di luogo che indica provenienza. Es.: “Torna onde (meglio “donde”) sei venuto. 2) E’ anche congiunzione con valore conclusivo. Es.: “Ti ho lasciato le istruzioni onde tu possa proseguire da solo”. E’ errato far seguire l’infinito.
- Onorificènza: E’ scorretto l’uso del termine “onoreficènza”.
- Onta: E’ corretto utilizzare l’espressione “a onta di” quando si vuole esprimere l’idea di “oltraggio, disonore, vergogna”.
- Orgàndis, orgàndi: E’ più esatto il termine “organza” per indicare la leggera mussola di cotone o di seta.
- Ossequiènte: Il termine è da evitare. E’ più corretto l’uso di “ossequènte”.
- Ottimo: Superlativo irregolare di buono; E’ errato dire “più ottimo”.
- Ovunque: Avverbio relativo di luogo, più letterario di “dovunque”. In quanto avverbio deve essere sostenuto da un verbo e significa “in qualunque luogo dove”. E’ scorretto l’uso di questo termine con il significato di “dappertutto”.
- Pacère: E’ espressione molto rara per indicare “pacière”.
- Pàio: Al plurale si dice “paia”.
- Palpitànte: E’ da evitare l’uso della locuzione “di palpitante attualità”; si dica, invece, “viva, vivissima attualità”.
- Pancèra: E’ termine meno corretto di “pancièra”.
- Panetterìa: Voce dialettale che sta per “panificio”.
- Pànfilo: E’ scorretta la pronuncia “panfìlo”. Il termine indica l’equivalente italiano di “yacht”.
- Panico: Si tratta di un aggettivo, anche se, spesso, viene utilizzato impropriamente come sostantivo.
- Pantalòni: E’ sinonimo di calzoni che, comunque, è termine più appropriato.
- Paràcqua: E’ voce dialettale usata al posto di “ombrello”.
- Passìbile: Il termine appartiene al gergo legale e significa “soggetto a, punibile, condannabile”.
- Passività: E’ proprio del linguaggio amministrativo. Sarà meglio dire “debito, disavanzo, passivo”.
- Pàttino, pattìno: Il primo è l’attrezzo che consente di pattinare. Il secondo indica l’imbarcazione.
- Pèggio, peggiòre: Sono comparativi irregolari di “male e cattivo”. E’ errato dire “più peggiòre”.
- Pelàre: E’ errata l’espressione “pelar patate, pomodori…”. Il termine, infatti, non significa “sbucciare” ma “privare del pelo”.
- Pelleròssa: Al plurale masc. si può usare sia i “pellirosse” sia i “pellerossa”. Al singolare può trovarsi anche il “pellirossa”.
- Percorrènza: E’ un termine proprio del linguaggio ferroviario, sinonimo di “percorso”.
- Perequàre: Si tratta di un latinismo. E’ meglio dire “pareggiare, distribuire equamente, uguagliare, proporzionare”.
- Perfettaménte: Al posto dell’espressione “perfettamente inutile”, è più corretto usare “assolutamente, del tutto inutile”. Inoltre, in caso di risposte esclamative che indichino approvazione, è meglio dire “benissimo, certamente, precisamente…”.
- Perìfrasi: E’ una figura retorica che consiste nell’esprimere un concetto mediante un lungo giro di parole. E’ anche detta circonlocuzione.
- Periziàre: Si usa nel linguaggio burocratico nel senso di “stimare, valutare, giudicare”.
- Pèsca, pésca: Il primo termine indica il frutto; l’altro, l’atto di pescare.
- Pèssimo: E’ il superlativo irregolare di cattivo. In molti casi si usa “cattivissimo”.
- Pèzza: Il termine è proprio del linguaggio burocratico. Per es. “pezza giustificativa…”.In altri campi è meglio usare “documento di prova, atto annesso”.
- Piòvere: Con i verbi meteorologici (piovere, nevicare, ecc.) si può usare tanto l’ausiliare essere quanto avere. Si adopera ‘essere’ in modo indeterminato (oggi ‘è’ piovuto); ‘avere’ quando si specifica la durata del fenomeno (oggi ‘ha’ piovuto dalle 16.00 alle 20.30.
- Più: E’ errato dire “più tanti, più pochi” al posto di “di più, di meno”. E’, altresì, errato dire “più ti parlo e meno mi dai retta”, invece di “quanto più ti parlo, meno mi dai retta”. Ancora, non è corretto dire “peggiorare, migliorare di più”.
- Plebiscitàrio: Aggettivo qualificativo che deriva da plebiscìto. In senso più esteso, il termine significa “unanime, universale”, ma è un uso improprio.
- Plèiade: E’ errato usare il termine al posto di “pletora” con il significato di “moltitudine, miriade”. Al contrario, va riferito a “pochi eletti individui”.
- Pleonàsmo: E’ una figura grammaticale che consiste nell’inserimento, in una proposizione, di una o più parole che non sono grammaticalmente necessarie. Per es: “sali su”.
- Plurale dei nomi: Di norma il plurale si forma mutando la desinenza. I nomi maschili terminanti in “a”, i maschili e femminili in “o” e in “e” prendono la desinenza in “i”. Invece, i nomi femminili che terminano in “a” prendono al plur. la desinenza in “e”. Alcuni nomi femminili in “ie” rimangono invariati al plurale. Per es. “serie”.
- Pòco: Si può troncare in “po'”.Il superlativo è “pochissimo”; per il comparativo, invece, si ricorre a “meno”. E’ errato dire “poco a poco” invece di “a poco a poco”.
- Polarizzare: E’ più corretto dire “rivolgere, indirizzare, dirigere, orientare”, a seconda del contesto.
- Pomodòro: Al plurale, la forma più corretta è “pomodori” e non “pomidori.
- Praticaménte: E’ consigliabile evitare l’abuso di questo avverbio; talvolta, lo si può tralasciare.
- Presènza: E’ impropria l’espressione “in presenza di”. Sarà meglio dire “davanti, in considerazione, considerando che”.
- Presèpe: La forma più corretta è “presèpio”.
- Presièdere: Questo verbo si costruisce sia transitivo che intransitivo. Per es. “presiede i lavori, presiede ai lavori”.
- Pretenziòso: E’ meglio usare la forma “pretensiòso”, per indicare una persona piena di pretese.
- Preterintenzionale: Il termine è usato esclusivamente nell’ambito giuridico – penale e significa letteralmente “oltre l’intenzione”.
- Prevenire: E’ bene non dare a questo termine il significato di “avvertire, avvisare”.
- Previamènte: Si tratta di un avverbio usato nel linguaggio burocratico che vuol dire: “in anticipo, prima”.
- Pròdromo: Il termine significa “segno precorrente”. In medicina, specialmente al plurale, indica i “sintomi che precedono una malattia”.
- Prole: E’ l’insieme dei figli di una famiglia. Non ha plurale.
- Prolèssi: 1) E’ una figura retorica che consiste nell’anticipare, nel discorso, un’obiezione per subito confutarla (es. “Chiacchiere, mi dirai, ma sono necessarie”). 2) Figura grammaticale, caratterizzata dall’anticipazione, in un periodo, di uno o più termini che dovrebbero venir dopo, al fine di evidenziarli maggiormente (es. “Per punirti, stasera ti lascerò a casa”).
- Propinare: Il termine si riferisce solo a bevande, non a cibi, e significa “dare, offrire, versare” anche insidiosamente.
- Proprio: E’ errato dire “propio”.
- Punto: Quando il termine è usato con il significato di “per niente”, è preceduto dalla negazione (es. “non mi piace punto”).
- Qua: E’ un avverbio di luogo che indica, appunto, luogo vicino a chi parla. E’ rafforzativo dell’aggettivo “questo” ed è rafforzato dalla locuzione “ecco”. E’ errato accentarlo.
- Qualche: Si tratta di un aggettivo indefinito e invariabile. E’ sbagliato usarlo in proposizioni negative.
- Quale: Non si apostrofa mai. Si usa “qual” che è un troncamento. Preceduto dall’articolo determinativo forma i pronomi personali. E’ aggettivo interrogativo. Si usa anche nelle esclamazioni e in correlazione con “tale”. E’ errato dire “vengo quale rappresentante”, al posto di “come rappresentante”.
- Qualìfica: E’ più corretto usare il termine “qualificazione”.
- Qualità: E’ sbagliato dire “nella qualità di, in qualità di”, al posto di “come, con il grado, incarico, funzione”.
- Qualsiasi: E’ un aggettivo indefinito, composto da un verbo “quale che sia”, che, pertanto, non può reggerne altri. Non è esatto dire “Devi farlo, qualsiasi sia la tua opinione”, invece di “qualunque sia la tua opinione”.
- Qualunque: Aggettivo indefinito invariabile. Quando è posposto al nome, ha una connotazione negativa. Es.: “Un uomo qualunque”. E’ anche aggettivo relativo, per cui può reggere un verbo. Es.: “Voglio essere informata, qualunque decisione tu prenda”.
- Questi: 1) Innanzitutto, indica il plurale maschile di questo; 2) Si usa, inoltre, al maschile singolare in funzione di pronome soggetto. Es.: ” Questi è il mio migliore amico”.
- Quid: E’ una voce latina che vuol dire “qualcosa, un che”.
- Quisquìlia : Il termine significa “sciocchezza, bazzecola”. E’ errato dire “quisquìglia”.
- Quorum: E’ voce latina che indica il numero dei votanti necessari perché sia valida una votazione.
