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Molte polemiche ha suscitato il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nel mese di febbraio sull’istituzione dei ruoli degli insegnanti di religione cattolica, esaminiamone i motivi.

Il conferimento dell’incarico di insegnare religione è sottoposto ad una disciplina particolare, poiché è di competenza dell’autorità ecclesiastica il riconoscimento dell’idoneità mentre la nomina spetta all’autorità scolastica, secondo quanto disposto dall’Accordo tra Stato e Chiesa.

La suddetta dichiarazione di idoneità non ha funzione di abilitazione – riservata all’autorità statale, ai sensi dell’art. 33, 5° comma, Cost. -; però, così come spetta all’autorità ecclesiastica valutare l’idoneità degli insegnanti di religione, alla stessa compete il giudizio sulla sussistenza nel tempo dei presupposti di carattere dottrinale e morale in base ai quali fu concessa l’idoneità. Il venir meno di quei requisiti legittima il Vescovo a revocare la nomina o l’approvazione conferite.

Gli insegnanti di religione vengono assunti mediante contratto di incarico annuale che si intende confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge (CCNL 1994/7, art 47, comma 6). Gli stessi hanno i medesimi diritti e doveri degli altri insegnanti. Pertanto, partecipano con eguali diritti e doveri a tutti gli organi collegiali, hanno elettorato attivo e passivo per tutti i tipi di elezioni e hanno la stessa responsabilità civile, penale ed amministrativa di tutti gli insegnanti nelle ore, nelle classi e per gli alunni loro affidati. (DPR751/85, punto2.7 e CM 211 del 24.7.86).

Tuttavia, questa disciplina particolare è sempre stata oggetto di dibattito sul piano politico, sindacale, giurisprudenziale, per il diverso status giuridico degli insegnanti di religione rispetto agli altri docenti.

Soprattutto i sindacati, in particolare dell’Anir, l’Associazione nazionale degli insegnanti di religione, e lo Snadir, il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione, si sono sempre battuti per il riconoscimento dello stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica – obiettivo richiamato dalle forze della Casa delle Libertà come proprio in occasione delle ultime elezioni politiche-, richiedendo, essenzialmente: il pieno inserimento degli insegnanti di religione nello status dei docenti di ruolo, con diritti e doveri identici ai colleghi delle altre discipline; la valorizzazione dei titoli di studio attinenti specificamente alle conoscenze oggetto di insegnamento; il ricorso a forme di assunzione in ruolo che prevedano il rispetto delle forme pattizie e della contrattazione collettiva; la possibilità per gli insegnanti ai quali dovesse essere revocata l’idoneità, di fare uso della mobilità interna alla scuola, in analogia con quanto è previsto per gli insegnanti di altre discipline.

Le province autonome di Bolzano e Trento -la prima nel 1998, la seconda nel 2001-, nella loro autonomia, hanno risposto positivamente a questa esigenza che i docenti di religione italiani reclamano dal 1985, istituendo i ruoli provinciali del personale docente per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari e secondarie, cui si accede mediante concorso, e prevedendo, in caso di perdita dell’idoneità per revoca da parte dell’ordinario diocesano, la possibilità di utilizzare l’insegnante per altri compiti od altri insegnamenti, purché sia in possesso dei titoli professionali prescritti o in altri ambiti dell’amministrazione provinciale (biblioteche, attività culturali…), altrimenti, mancando tali condizioni, la perdita dell’idoneità comporta la chiusura del rapporto di lavoro.

Ma quel è la posizione del Governo e del Parlamento italiani, specie dopo l’orientamento innovativo delle predette province?

Già da qualche tempo si assiste alla presentazione di proposte per una legge di riordino della disciplina degli insegnanti di religione, che preveda l’entrata in ruolo degli stessi, una scelta criticata perché si arriverebbe ad avere insegnanti nominati dalla curia che, qualora non avessero più il gradimento dell’autorità cattolica, verrebbero assunti direttamente dallo Stato. I progetti finora presentati non sono arrivati alla definitiva approvazione, ma attualmente il Consiglio dei Ministri, il 14 febbraio 2002, ha approvato il Disegno di Legge recante “Norme sugli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado” (presentato ufficialmente in data 6 marzo 2002), che all’articolo 1 prevede l’istituzione di due distinti ruoli regionali, articolati per ambiti territoriali corrispondenti alle diocesi, del personale docente e corrispondenti ai cicli scolastici previsti dall’ordinamento.

Invero, la dottrina ha messo in rilievo l’illegittimità delle rivendicazioni degli insegnati di religione dirette ad ottenere la sicurezza del posto di lavoro e l’uguaglianza di trattamento economico e normativo con gli altri insegnanti, in considerazione della diversità della loro situazione giuridica rispetto a quella degli altri docenti: la sua nomina è in sostanza “imposta” all’autorità scolastica, giacchè è l’ordinario diocesano che gli riconosce l’idoneità necessaria per l’insegnamento. Inoltre, l’insegnante di religione gode di una libertà di insegnamento attenuata proprio perché è sottoposto al nulla osta dell’ordinario diocesano, il quale può revocarlo insindacabilmente.

Proprio per questo si è osservato che sarebbe più opportuno configurare il rapporto di lavoro di questi insegnanti come rapporto di diritto privato, potendosi così giustificare il licenziamento in caso di revoca del nulla osta e l’attenuazione della libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione.

Comunque sono notevoli le pressioni, soprattutto da parte degli ambienti cattolici e dei sindacati di categoria, perché il parlamento proceda rapidamente all’approvazione del nuovo disegno di legge, che ha trovato l’adesione di diverse forze politiche e che mal si concilia con la laicità pluralista del nostro ordinamento.

Erminia Acri-Avvocato