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Un articolo mirato a considerare l’applicazione, gli obiettivi e gli interessi preminenti di sistemi di cura che, partendo da concetti meccanicistici, spazino verso la valutazione dell’influenza che la mente ha sul corpo.



Premessa



Desidero parlare con voi di due argomenti. Il primo riguarda il rapporto mente-corpo. Il secondo riguarda il rapporto conscio-inconscio. Ho scelto di parlare del rapporto mentecorpo, nonostante il fatto che sia un tema noto e dato per scontato. Soprattutto chi ha una certa sensibilità dà per scontato che non ci sia una separazione mente-corpo; tuttavia, mentre a livello teorico, è una cosa molto semplice da capire, a livello pratico, questo è molto più difficile. Infatti la separazione mente-corpo è alla base della cultura di cui siamo impregnati; quindi, tutti noi abbiamo dentro, come presupposto, il fatto che esiste in qualche modo una mente che è separata dal corpo. La mente, magari, riesce a controllare il corpo, il corpo influenza la mente e viceversa, ma ci sono due entità separate Questo presupposto viene storicamente proprio dai fondamenti culturali del nostro modo di pensare.

La medicina classica: validità e limiti

La nostra cultura occidentale separa nettamente la mente in cui stanno i pensieri, da una parte materiale, che è il corpo. Quest’ultimo viene controllato dai pensieri che lo fanno muovere come una macchina. Questa visione ha influenzato, anzi fondato, la nostra cultura medica, ed è la visione nella quale vengono formati ancora oggi i medici occidentali. E’ quindi questa la formazione medica che hanno i medici a cui noi normalmente ci rivolgiamo e la possiamo chiamare, medicina “meccanicistica“.

Il presupposto è che ci sia una mente da qualche parte e, separatamente, una specie di corpo-macchina che è fatto della somma di tanti organi che possono essere presi, smontati, studiati individualmente, sezionati, analizzati, fatti a fettine e poi rimontati e rimessi in movimento. La medicina meccanicistica produce una propria visione dell’uomo, della salute e della malattia. Ha prodotto, per esempio, una medicina superspecialistica; ha fatto sì che, se una persona ha una gastrite, ci si occuperà della sua gastrite; se una persona ha una dermatite, ci si occuperà della sua pelle, punto e basta! E credo sia esperienza comune, in occasione di un semplice e piccolo disturbo o di qualcosa di più serio e grave, di essersi sentiti trattare come una macchina quando viene portata dal meccanico: c’è un guasto, si tratta di individuarlo e rimetterlo in ordine, senza tenere conto di tutto il resto.

La medicina meccanicistica sicuramente ha prodotto ottimi risultati, per esempio, in ambito chirurgico, in quanto in questo specifico contesto, quando siamo anestetizzati in sala operatoria, siamo quasi perfettamente come delle macchine, per cui, effettivamente, ad esempio, si può prendere una valvola cardiaca e sostituirla. Inoltre è estremamente efficace per eliminare la sintomatologia dolorosa. E’ la medicina che cerca di scoprire un farmaco per ogni malattia.

Questi grandi successi, di cui tralasciamo i costi, si sono realizzati in quegli ambiti in cui il corpo si comporta come una macchina, oppure dove non ci si occupa delle ragioni di un malessere, ma soltanto di controllare la sintomatologia . Questa è la medicina prodotta dalla cultura della separazione mente – corpo.

Consideriamo ora alcuni limiti di questo approccio metodologico. Direi che il dato che colpisce di più, e che ci dà la misura netta di qual è il grado di efficacia di questo tipo di medicina, è il fatto che sette pazienti su dieci che si recano dal medico di base possono ottenere solo ed esclusivamente una risposta di tipo sintomatico. Cioè il 70% delle persone che va dal medico di base non riceve una diagnosi causale, ma soltanto una terapia sintomatica!

Facciamo un esempio: se una persona va dal medico e lamenta dolori al capo, nel 90% dei casi riceverà la diagnosi di “cefalea essenziale”. “Essenziale” è un termine medico molto criptico, che significa semplicemente che non si conosce la causa del disturbo. Quindi la diagnosi è descrittiva: “cefalea vuol dire mal di testa”! La terapia, naturalmente, sarà esclusivamente di tipo sintomatico, nel senso che si daranno degli antalgici per sopprimere il dolore.

Un altro limite teorico della medicina meccanicistica riguarda il fatto che non sa spiegare cosa sia l’effetto placebo. Facciamo un esempio: se voi, invece di mettere dell’olio lubrificante nel motore della vostra auto, mettete dell’acqua, probabilmente otterrete il grippaggio del motore! Invece noi non funzioniamo così. Se, in una sintomatologia dolorosa, fate finta di dare dell’acqua zuccherata al posto di dare della morfina, nel 54% dei casi avrete un risultato pari a quello della morfina. Questo è un caso eclatante in cui le persone non si comportano come macchine. Un elemento di grande rilievo è il fatto che ci si sta rendendo conto che non si può trattare il corpo come un insieme di parti separate. Non lo si può assimilare ad una macchina in cui esista un carburatore, la ruota di scorta, la frizione, il freno.

L’influenza della mente sul corpo

Si è rilevato che, al variare degli stati di coscienza come, per esempio, nella meditazione o nelle situazioni di stress, si producono variazioni misurabili a livello dei linfociti, a livello del sistema endocrino e del sistema gastrointestinale. Cioè si sta scoprendo che il nostro organismo è un sistema – non una macchina – in cui ogni parte parla con ogni altra parte e c’è un linguaggio comune fatto di molecole chimiche e di energie che è in grado di mettere in comunicazione ogni cellula del corpo con ogni altra e queste con l’ambiente. Sono ormai moltissimi i dati che dimostrano che un certo tipo di stato di coscienza, un certo tipo di pensiero, cambia parametri misurabili come la glicemia, le endorfine, il numero di recettori per certe molecole presenti sui linfociti, ma, addirittura, cambia, per esempio, la conduttanza elettrica della pelle. Le onde elettromagnetiche emesse dall’organismo; un certo tipo di pensiero cambia il modo in cui la pianta del piede aderisce al suolo e, viceversa, una certa postura fisica ci permette di accedere a certi stati coscienza ed ad altri no. I soggetti depressi, ad esempio, hanno normalmente la colonna vertebrale ricurva in posizione cifotica, il capo chino e incassato sulle spalle, le pupille spesso rivolte in basso a sinistra. E’ molto difficile essere depressi guardando in alto, aprendo il torace, saltellando qua e là. Gli orientali dicevano che il primo modo per vincere la tristezza è tirarsi su di forza gli angoli della bocca, come quando si sorride. Sul rapporto mente-corpo è interessante ricordare come vi sia una netta correlazione tra movimenti delle pupille e gli stati interiori a cui accediamo. Per esempio, guardando in altO7 si accede ad informazioni di tipo visivo; viceversa, per poter accedere alle sensazioni corporee, le pupille si spostano in basso a destra. L’alzare le pupille in alto è un po’ come attivare l’interruttore del nostro corpo che ci permette di accedere alle immagini. Invece, il movimento delle pupille in senso orizzontale o in basso a sinistra permette al nostro cervello di accedere a informazioni uditive, cioè a suoni e parole. Gli orientali tutto questo ce l’avevano ben presente molto prima di noi. Per le culture orientali, infatti7 non esiste nel modo più assoluto una netta separazione mente-corpo7 per cui non stupisce che molte delle discipline di integrazione mente-corpo arrivino dall’oriente, a partire dallo Yoga.


C’è una storiella, a questo proposito, che chiarisce bene qual è la posizione della cultura orientale rispetto alla separazione mente-corpo.

C’era una volta uno strano animale, un uccello a due teste, di cui una, quella di sinistra, era molto vorace, ma piuttosto maldestra, per cui non riusciva mai a saziarsi; la testa di destra invece, era abilissima nel prendere con il proprio becco il cibo, per cui riusciva sempre a saziarsi a volontà. La testa di sinistra, invidiosa e affamata, un giorno disse alla destra: “Sai, conosco un posto dove c’è un’erba squisita, di cui tu ti delizieresti”. E condusse la testa di destra a mangiare in quel prato dove c’era quest’erba squisita. In realtà la testa di sinistra sapeva che l’erba era avvelenata, ma pensava con questo stratagemma di eliminare la testa di destra e di nutrirsi finalmente a sazietà.

Così la testa di destra mangiò l’erba avvelenata e… morì l’uccello a due teste!

Esiste quindi una correlazione, o identità, tra ciò che avviene nella nostra mente e ciò che avviene nel nostro corpo, come due facce della stessa medaglia.

Il rapporto tra conscio e inconscio

Vediamo ora il secondo punto, quello riguardante il rapporto conscio-inconscio. Usiamo ancora una metafora. Immaginate (e, per farlo, dovete portare gli occhi in alto a sinistra…) un grande elefante. Un elefante di alcune tonnellate, con la pelle ruvida e rugosa. Poi immaginate un moscerino, quei piccoli moscerini della frutta, posato sulla schiena dell’elefante. Ecco, il rapporto che esiste tra le dimensioni di questi animali è lo stesso rapporto che esiste tra conscio e inconscio. Un’altra metafora efficace è quella dell’oceano: il nostro conscio è la superficie del mare increspata dal vento, I’inconscio è l’immenso mare profondo che sta sotto. In realtà noi possiamo essere “coscienti” solo della piccolissima parte “conscia”.

Qual è il rapporto tra mente-corpo e conscio-inconscio? Possiamo grossolanamente, ma utilmente, affermare che l’inconscio corrisponde al corpo. Infatti voi potete tranquillamente andare a dormire e il vostro cuore continua a battere, continuate a respirare, la vostra glicemia sale, scende, insomma tutto continua ad essere regolato al di fuori della vostra coscienza. Dicevamo che la quasi totalità dei disturbi origina da una presenza di qualche cosa che si sta vivendo inconsciamente nel corpo e a volte riesce ad essere comunicata al conscio. Non bisogna comunque pensare che esista una separazione netta tra conscio e inconscio. Durante la giornata il livello di coscienza fluttua in modo ritmico. Quindi, in alcuni momenti siamo più vigili, più consapevoli, in altri momenti molto meno e questa fluttuazione ha i propri ritmi. Basta pensare a quando stiamo guidando e pensiamo a tutt’altro e non sappiamo quale strada abbiamo percorso. Questa è una situazione in cui il livello di consapevoleza verso il mondo esterno è molto basso e alla guida stanno gli automatismi inconsci.

Questi “stati alterati di coscienza” sono quindi dei momenti in cui non è presente la nostra normale e vigile consapevolezza. Sono stati che non coinvolgono solo la mente, ma si manifestano anche come particolari assetti fisiologici. Come abbiamo detto prima, sono presenti variazioni del sistema endocrino, del sistema immunitario, eccetera. Questo è il motivo per cui gli stati di coscienza alterati sono utilizzati in molte culture come terapia.

Uno degli aspetti di grande rilievo che fa parte di una medicina che tiene conto dell’unità mente-corpo e del rapporto conscio-inconscio è quello dell’autoguarigione.

Come già Ippocrate sosteneva, esiste una “vis”‘ una forza, di autoguarigione all’interno di ognuno di noi. E’ una forza che non possiedono le macchine: I’auto, se si rompe, resta rotta; mentre nell’uomo esistono forze di autoguarigione potentissime, a cui accediamo proprio attraverso gli stati alterati di coscienza.

Questa visione rappresenta un recupero di concezioni molto antiche attraverso la ricerca più moderna in ambito psico-biologico. Ippocrate raccontava come le sue guarigioni avvenissero di notte quando, egli diceva, il dio Esculapio scendeva dall’Olimpo e veniva a visitare il malato. E questo quando accade? In sogno! il sogno è uno stato alterato di coscienza in cui variano le onde cerebrali, la secrezione di endorfine da parte dei linfociti, la secrezione di certi ormoni. Cioè uno stato particolare in cui l’organismo viene posto in una condizione di squilibrio, che da un punto di vista fisico e biologico rappresenta la condizione di possibili evoluzioni e soluzioni.