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Certamente, bisogna, anzitutto, imparare a parlare; cosa alla quale siamo stati educati fin dalla nascita.

La parola, pertanto, diventa il primo, importante, momento della varietà comunicativa.

Quindi, impariamo a leggere (e, conseguentemente, a scrivere);

sono, queste, le caratteristiche della condizione umana che abbiamo iniziato a sviluppare fin dalla tenera età:

Una volta, l’azione educativa, a partire dalla scuola primaria, si incentrava su tre pilastri: saper leggere, scrivere e far di conto.

Poi, l’evoluzione pedagogica ed il conseguente rinnovarsi delle metodologie, hanno spostato l’interesse educativo verso traguardi più aderenti alle nuove frontiere del progresso:

Si è capito che non bastava memorizzare suoni e simboli, ma era necessario attivare l’interesse alla conoscenza. Oggi, la moderna pedagogia, in auge nella scuola primaria, ai tre principi di cui sopra ha aggiunto nuove metodologie; si è capito, ad esempio, che la memorizzazione dei vari simboli della lettura e della numerazione andava stimolata attivando e sollecitando il senso della vista; infatti, nulla aiuta meglio la memoria se non la visualizzazione; e grazie a questa tecnica, è possibile innescare il momento più alto della mente umana: la razionalizzazione di ciò che si apprende.

Avviene, allora, che la concettualizzazione delle conoscenze culturali diventa il più tenace dei collanti mnemonici.

Per chi, come chi vi scrive, ha avuto la irripetibile opportunità di frequentare il liceo classico, di gentiliana memoria, questi metodi, queste innovazioni della pedagogia, in effetti, non rappresentano altro se non il riproporre, a distanza di duemila e quattrocento anni, la dottrina di quel grande maestro di saggezza che risponde al nome di PLATONE.

E’ notorio che il fondatore dell’Accademia amasse insegnare ai suoi discepoli, usando il metodo affascinante del dialogo, e, come tale, privilegiava la parola nel significato più alto della stessa: l’unica possibilità concessa alla mente di pervenire alle più alte visioni spirituali.

Non a caso, Platone rielabora il sapere antico e immagina di ritrasmetterlo attraverso la riproposizione dei MITI, che diventano mediatori tra la molteplicità della realtà e l’unità dell’IDEA.

In tal modo, il grande saggio, stimolando l’immaginazione dei suoi ascoltatori, riusciva a rendere comprensibile il divario tra essere e non-essere. Nel dialogo ” IL FEDRO “, Platone esprime il proprio giudizio circa la superiorità della memoria sulla scrittura.

Fedro è un uomo colto, appassionato di ogni novità, un esteta “alla D’Annunzio” che non riesce ad esprimere la differenza tra la scrittura e la parola; sarà il Socrate platonico a chiarirla, ricorrendo al racconto di un mito che narra dell’incontro di una divinità egizia, THEUTH, con il re d’Egitto THAMU’.

Il primo decanta al re la scoperta della scrittura, così dicendo: “Questa scoperta, o re, renderà gli egiziani più sapienti e capaci di ricordo: è un rimedio che dà ricordo e sapienza!

Ma THAMU’ così rispose: “O THEUTH, proprio il tuo amore per la scoperta della scrittura ti fa dire il contrario di ciò che essa può fare, perché la tua invenzione concorrerà a trasmettere l’oblio nelle menti, perché nessuno eserciterà più la memoria. Gli uomini non saranno più capaci di ricordare da soli e ricorreranno all’aiuto della scrittura che è caratterizzata da segni che provengono fuori dall’interiorità; in tal modo, hai trovato un modo per richiamare, più facilmente, una cosa alla memoria, ma la tua invenzione non concorrerà ad accrescere la forza della memoria; non ci sarà, così, verità di sapere, ma illusoria apparenza del sapere. Avremo, pertanto, una pletora di uomini che sapranno molte nozioni, che avranno l’aria di dire giudizi su infinite cose, ma che sanno poco o nulla; e saranno, questi, uomini ombrosi e boriosi! Saccenti e non saggi, perché la scrittura può rinfrescare solo la memoria di cose che già si sanno “.

Questo severo giudizio del Platone-Socrate sulla scrittura non può, però, essere confuso col valore della vera lettura; cioè, con la parola del saggio che si trasmette nel testo che la riproduce a favore dei posteri; il vero insegnamento è prerogativa del maestro, della sua voce dolce e suadente, che ti penetra nell’anima prima che nella mente: ed allorché rileggiamo i “Dialoghi” di Platone o le Confessioni di S. Agostino, o le parabole evangeliche, o l’etica Aristotelica o gli innumerevoli scritti dei grandi pensatori, cerchiamo di ascoltare la voce di un Maestro che ci parla dall’alto del tempo antico, che vuole ancora continuare il dialogo con un ipotetico giovane e moderno discepolo; a noi è vietata la lettura superficiale, quella che svolgiamo quando sfogliamo una enciclopedia, che ci soddisfa per un momento, come una fresca coca-cola, che non riesce ad estinguere la sete della conoscenza che solo i maestri, i saggi, i veri professori sanno instillare nelle menti dei loro alunni.

A proposito, lo sapevate che il termine Professore deriva dal verbo latino “PROFITEOR” che, tra i vari significati, assume anche quello di “faccio professione di fede”?

Giuseppe Chiaia ( Preside ) – 27.01.2009