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Contro il dolore della perdita.


 

Approfondimenti tecnici

 

La musica racchiude in sé un profondo e misterioso paradosso: è in grado di farci rivivere intensamente l’esperienza del dolore e della perdita, ma allo stesso tempo riesce a donarci sollievo e consolazione. Quando si precipita in uno stato di malinconia o anedonia, la musica riesce ad aprire un varco nel nostro malessere, regalandoci almeno per un po’ sensazioni di piacere e di vitalità, colmando (anche se solo parzialmente) i nostri spazi vacui, con la nostra creatività.

Come afferma Starobinski (1990) la musica ha il poter di raggiungere “l’essere affettivo senza passare attraverso l’intermediazione della rappresentazione e delle idee…la musica agisce direttamente sull’anima… consentendo alle emozioni e ai sentimenti di emergere senza mediazioni.”

L’esperienza musicale rappresenta metaforicamente nel suo articolarsi lo scorrere della nostra vita emotiva, e rimanda ad un ideale di totalità e ad una dimensione di irreversibilità:


” Oltre a rappresentare qualcosa che è stato e che non sarà più, la musica presenta nella sua stessa costruzione e articolazione profonde analogie con una dimensione nostalgica. Vale a dire, non solo la musica induce la nostalgia di una dimensione preverbale dove suono e oggetto mantengono un rapporto di continuità ma rappresenta essa stessa una dimensione nostalgica… Presta una voce al passato impotente e all’irreversibilità infelice…Se l’oggetto della nostalgia è il fatto arbitrario, irragionevole e persino irrazionale…la musica costituisce una rappresentazione di tale problema ed un suo parziale contenimento e risoluzione .” (Jankèlèvitch, 1974)

Quello che ascoltiamo diventa appartenente al passato nel momento stesso in cui lo percepiamo, e viene sostituito da un presente che rimanda ad esso, e che solo nel rapporto con esso acquista senso.

L’esperienza musicale mette in risalto la dimensione nostalgica dell’esistenza (con il suo scorrere irreversibile), ma allo stesso tempo la sua ripetibilità ci permette di ripresentificare quasi concretamente il passato regalandoci l’illusione di rivivere, di riconquistare ciò che abbiamo perso. Tutto ciò si ricollega al sentimento doloroso della separazione, e all’impossibilità di una restituzione completa.

Da sempre gli esseri umani hanno conferito alla musica ha il potere di consolare l’animo umano, ma la consolazione musicale della sofferenza può avvenire solo a determinate condizioni. Il dolore psichico non deve avere raggiunto livelli talmente elevati da causare una radicale chiusura verso il mondo esterno ed una capacità di investire su di esso; al contrario è necessario che la persona mantenga un legame con il mondo esterno, ed una vita interiore non totalmente inaridita ma ancora capace di investimenti ed emozioni. Quando coesistono queste condizioni la musica può essere percepita come un’espressione in grado di amplificare, contenere, e strutturare, i propri vissuti interiori, dando voce e forma a tutto ciò che avvertiamo come incerto e frammentario. Ovviamente deve trattarsi di una musica che abbia un significato specifico per quel soggetto, ma generalmente si tende ad associare la tristezza a musiche caratterizzate da articolazione legata, basso livello sonoro, metro lento, attacchi lenti, vibrato lento e ampio, tendenza ad attenuare i contrasti tra note brevi e lunghe, variazioni di durata relativamente ampie, ritardo finale, intonazione calante, timbrica morbida e rallentando finale (Juslin, 1990).

La musica quindi, allevia le sofferenze solo quando una persona conserva la capacità di investire affettivamente nel musicale, e riesce a cogliere assonanze tra la propria interiorità e l’esperienza estetica, e quando infine è in grado di utilizzare tale strumento per distanziarsi dal proprio stato d’animo trasformando il proprio dolore in un fatto espressivo.

Come afferma Volterra (1994) “quando la pienezza di un anelito succede all’oppressione la pesantezza è sostituita dalla fluidità sonora in cui pur nella tristezza dell’espressione appare una nuova linfa vitale; il dolore non è più mortale, il lutto non è più legato al mutismo”.

Petrella fornisce un ulteriore approfondimento di tale concetto: “il grande dolore psichico espresso dal silenzio e dallo stupore si trasforma in un canto comunicandoci che è stata presa una distanza dal proprio patire, trasformandolo in un oggetto da esprimere e contemplare”…Dalla musica “oltre al dolore e alla tristezza emerge un grado di calore; la musica evoca un’immediata empatia, un particolare calore ed una sensazione unica d’inondazione emotiva”(Volterra 1994).

Questa sensazione probabilmente deriva dal fatto di sentirsi compresi, accolti e contenuti, trovando un luogo dove riporre il proprio dolore, e dalla trasformazione del proprio dolore che la musica compie, commuovendoci di fronte alla bellezza che essa rappresenta di cui ci rende partecipi dando sollievo alla nostra anima. Il dolore per l’assenza dell’oggetto perduto viene alleviato dallo sforzo creativo per ricomporlo e riparare alla sua perdita. Tale tentativo di riparazione, ci consente di entrare in contatto con la nostra “musica interna”, con la voce materna che risuona in noi nei suoi aspetti consolatori ed affettivi. Da questa voce attingiamo per esprimere la sofferenza e tramite essa ne cerchiamo una consolazione . La musica riesce ad alleviare le sofferenze perché esterna e rimuove forze potenzialmente distruttive” (Volterra 1994) attivando un processo d’integrazione.

Alcune persone, pur essendo in grado di cogliere le assonanze della musica con il proprio stato d’animo, non riescono ad attuare un processo di distanziamento da essa; in questi casi la musica amplifica e rinsalda un dolore dal quale è impossibile separarsi, approfondendo una ferita interiore. La musica “si spegne”, perde il suo senso e non viene più vissuta come tale. La persona si allontana dalle proprie emozioni e non è più in grado di rispecchiarsi in essa. Anche chi si dedica alla musica per professione può essere colto da questa forma di indifferenza, quasi una sorta di sordità emozionale nei confronti dei suoni, come testimoniano le parole del compositore russo Rimsky Korsakoff;

Ma ecco che una bella mattina alla fine di agosto o all’inizio di settembre, fui assalito da un’estrema stanchezza accompagnata come da una vampata di calore in testa e da un confusione mentale. Rimasi seriamente spaventato e nei giorni seguenti persi completamente l’appetito…Ogni qualvolta rimanevo solo, delle spiacevoli idee occupavano di continuo la mia mente… Ero diventato completamente freddo rispetto alla musica…(1924)

Questo ci fa comprendere che la musica non ha un potere terapeutico intrinseco, ma piuttosto a possedere un valore è la relazione che s’instaura tra soggetto e musica, la quale rende possibile il gioco identificatorio tra elementi appartenenti alla musica ed elementi appartenenti alla persona.

La musica è un linguaggio simbolico che ci riconnette con le fasi più arcaiche della nostra esistenza, una sorta di “oggetto transizionale” che ci accompagna nell’età adulta.

Oggetti e fenomeni transizionali “apparterrebbero ad un’area del vivere umano che non si trova né dentro l’individuo, né fuori nel mondo della realtà condivisa. Questo vivere intermedio lo si può pensare come se occupasse uno spazio potenziale che nega l’idea di spazio e separazione tra il lattante e la madre” (Donald W. Winnicott). In questo spazio il bambino inizia a passare da una condizione di dipendenza assoluta dalla madre ad un condizione di dipendenza relativa, ed affronta una serie di frustrazioni e stati d’angoscia connessi al processo d’individuazione/separazione, e di differenziazione tra realtà interna e realtà esterna.


“…il balbettare di un bambino e il modo in cui un bambino più grande va ripetendo un repertorio di canzoncine o di filastrocche mentre si prepara ad andare a dormire, rientrano nell’area intermedi come fenomeni transizionali insieme con l’uso che il bambino fa di oggetti che non sono parte del suo corpo ma che non sono ancora pienamente riconosciuti come appartenenti alla realtà esterna.”(Donald W. Winnicott, 1971).

La musica può essere intesa quindi, proprio come un oggetto transizionale , come qualcosa che si colloca a metà strada tra il pollice da succhiare e l’orsetto di peluche, qualcosa che da un lato costituisce una delle premesse fondamentali alla crescita dell’individuo, ma dall’altro, costituisce un territorio franco della creatività, della libertà , che molti di noi cercano di salvaguardare e recuperare in diversi momenti dell’esistenza attraverso l’espressione artistica (P. Postacchini).

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La musica è “un’operazione interiore con la quale l’uomo melanconico si sforza di placare ed equilibrare la propria natura tormentata…è un’operazione narcisistica che cerca di temperare una costituzione fragile…(Starobinski, 1990)

 

Bibliografia


  • Adamo G., Primi appunti su un approccio psicoanalitico alle funzioni della musica (versione italiana di “First notes on a psychoanalytic approach to the function of music”) in Vergleichende Musikwissenschaft”, Edited by Schmidhofer and D. Schûller, Frankfurt am Main, 1994.

  • Critchley M. e Henson R. A., La musica e il cervello, Piccin, Padova,1987.
  • Manarolo G., L’Angelo della musica-musicoterapia e disturbi psichici– , Omega Edizioni, Milano, 1989.
  • Postacchini P., Ricciotti A., Borghesi M., Musicoterapia, Carrocci,Roma, 2004.
  • Postacchini P. Musica, emozioni e teoria dell’attaccamento, in Musica e terapia, Edizioni Cosmopolis, Torino, gennaio 2001.
  • Sacks Oliver, Musicophilia Adelphi, Milano, 2008.