Posted on

Mendel, DNA…


I racconti del laboratorio – 1

“To him who devotes his life to science, nothing can give more happiness than increasing the number of discoveries, but his cup of joy is full when the results of his studies immediately find practical applications.”

Louis Pasteur

Il profumo di un laboratorio

Arriva un momento nella vita di ognuno di noi in cui ignorando il contorno, segui le tue propensioni, sospinte e guidate dalla potente forza dell’istinto.

Quando mi presentai, chiedendo di imparare per poter offrire, il mio primo maestro di scienza, guardandomi negli occhi sorridendo, disse:

“Il demone della biologia molecolare!… Anche lei lo ha sentito dentro?”

Allora non capii bene cosa volesse dire, ma sentivo di avere una luce nuova negli occhi che li faceva brillare…, e avvertivo una strana pulsione che, quasi solleticando, mi invitava a vivere questa nuova grande avventura.

Era il 28 luglio 1993 e faceva un gran caldo!

La biologia delle macromolecole, si studia nei libri e si prepara per gli esami, ma credo si apprezzi molto di più quando ti ritrovi all’interno di un laboratorio quasi sempre un po’ angusto e poco luminoso, disordinato di provette e pipette e con un odore particolare. Hai quasi la sensazione di respirare la stessa aria che circa 55 anni fà portò all’identificazione della struttura di quella macromolecola che vediamo qui su, appena sopra l’ultimo capoverso e che sarà il filo conduttore di questa nuova serie di pillole. Il DNA, l’acido desossiribonucleico, depositario dell’informazione genetica.

I due nella foto sono Francis Crick e James Watson, rispettivamente un fisico britannico ed un biochimico statunitense, che raccogliendo un po’ di informazioni da vari studi e mettendo insieme i dati in maniera razionale arrivarono a definire la struttura della molecola.

Ma facciamo un passo indietro e diamo un ordine alle cose. Ci troviamo nel giardino di un tranquillo monastero nella città di Brünn dove, nella seconda metà del 1800, il monaco Gregor Johann Mendel effettuando degli incroci su alcune piante di pisello arrivò ad enunciare due postulati che divennero le prime leggi importanti della genetica classica. Il suo studio erano basato su un brillante modello sperimentale, ma, aihmè, ignorato fin dopo la sua morte (1884).

Il contributo fondamentale delle sue scoperte consisteva nell’aver dimostrato che i caratteri ereditari sono trasmessi come unità e distribuiti singolarmente ad ogni generazione.

Legge della segregazione.

Mendel utilizzò delle varietà di piselli con caratteristiche facilmente riconoscibili e riproducibili. Quindi incrociò una varietà a semi lisci con una a semi rugosi e osservò che nella prima generazione filiale, la F1 appunto, comparivano solo semi lisci. Ma che fine aveva fatto l’altro carattere? La risposta nella seconda generazione filiale F2 e cioè quando si aveva autoimpollinazione delle piante F1 ricompariva il carattere rugoso. Il rapporto fra semi lisci e rugosi era di 3:1. Il fatto che nella F2 ricomparisse il carattere rugoso suggeriva che fosse in qualche modo presente nella F1 e, in un certo senso, nascosto. Si dirà quindi che il carattere liscio è dominante sul carattere rugoso che viene ad essere definito come recessivo. Le generazioni portatrici di entrambi i caratteri sono definite eterozigoti, per distinguerle dalle linee pure che sono definite omozigoti.

 Legge dell’assortimento indipendente.


In una seconda serie di esperimenti Mendel considerò varietà di piselli che differivano per due caratteri: semi gialli e lisci e semi verdi e rugosi. La F1 era composta da semi gialli e lisci; di contro nella F2 comparivano combinazioni di fenotipi (insieme delle caratteristiche visibili di un individuo) diversi dalla linea parentale (P). Su 16 combinazioni, 9 individui erano gialli e lisci (caratteri dominanti), 1 individuo verde e rugoso (caratteri recessivi), 3 e 3 gli individui con le due combinazioni alternative di caratteri dominanti e recessivi. L’intuizione consisteva nell’aver stabilito che “quando si formano i gameti, ossia le cellule sessuali, ovulo e spermatozoo, gli alleli (una delle forme alternative che un gene può avere) di un gene (unità funzionale della trasmissione genetica) si separano indipendentemente dagli alleli di un altro gene”.

Le due leggi, descritte qui in una maniera molto semplicistica, segnarono l’inizio della genetica classica.

L’intuizione. Come potremmo considerarla, un carattere ereditabile o acquisibile dalle esperienze di vita?

La genetica da Mendel ad oggi ha ampliato e allargato gli orizzonti alle conoscenze. Potremmo dire che l’intuizione nasce dalla osservazione e dall’elaborazione dei dati sperimentali, dall’evidenza che si rafforza dallo studio e forse anche dalla pazienza. Ma…di sicuro un pizzico di fantasia legata alla flessibilità della mente e la capacità di lasciarsi trasportare da quello che si sente contribuisce a far si che l’intuizione si possa considerare una caratteristica intrinseca all’individuo, che nasce nel momento magico in cui una cellula uovo incontra lo spermatozoo, quello giusto!

Negli anni che seguirono, dopo Mendel, si raccolsero una serie di informazioni grazie alle quali si scoprì che la maggior parte dei caratteri è influenzata da più di un gene e, di contro, la maggior parte dei geni può influenzare più di un carattere. La scoperta più eclatante fu che i geni non sono immutabili, ma possono subire dei cambiamenti. Naturalmente queste osservazioni erano fatte esclusivamente dall’analisi dei fenotipi. Oggi a questa si aggiunge lo studio del genotipo (insieme delle informazioni genetiche trasmesse dai genitori ai figli). Ma a ciò arriviamo per gradi…

Nel 1902 il botanico olandese Hugo De Vries studiando una pianta notò un fenotipo tutto nuovo che non compariva nei genitori, né in alcun antenato. Egli ipotizzò che un carattere nuovo potesse comparire in seguito ad improvvisi cambiamenti avvenuti nei geni, che chiamò mutazioni.

E ancora, il concetto di dominanza incompleta, quando le caratteristiche sembrano mescolarsi e si esprimono con un fenotipo intermedio fra quello dei due omozigoti, oppure il concetto di codominanza quando gli eterozigoti esprimono contemporaneamente il fenotipo dei due omozigoti. Questi sono esempi di interazioni alleliche. Abbiamo poi le interazioni geniche che comprendono il concetto di epistasi, quando un gene interferisce con un altro mascherandone gli effetti e di eredità poligenica.

Dal colore degli occhi della Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta, si arrivò a confermare definitivamente l’ipotesi che i geni fossero situati sui cromosomi, ossia quelle strutture visibili al microscopio ottico che portano su di loro l’informazione genetica in quanto costituiti principalmente da DNA, ma di cui parleremo in seguito. Per ora basta accennare che sono normalmente presenti in coppie almeno nella specie umana, precisamente 23, 44 autosomi e 2 cromosomi sessuali (XX nella femmina, XY nel maschio).

Quando si entra in un laboratorio di biologia molecolare ti prende la frenesia, vorresti imparare tutto e subito, ma non si può ignorare il percorso che ha guidato e condotto alle tappe fondamentali della disciplina. Altrimenti si corre il rischio di imparare a lavorare solo con le mani e ben sappiamo che ancor prima è determinante l’uso del cervello, accompagnato magari da una sana curiosità, sale della vita. D’altra parte sempre il mio primo maestro di scienza diceva a noi allievi che dopo sei mesi di frequentazione assidua, un tirocinante, o una qualsiasi figura frequenti un luogo del genere, ha appena imparato ad usare le chiavi e ad aprire la porta del laboratorio!

Beh, questa prima parte si può concludere con la Drosophila, che introduce il DNA e la sua affascinane struttura chimica, fatta di zucchero, gruppo fosfato e basi azotate, che, legandosi in armonia fra di loro e secondo delle regole ben precise di appaiamento, assume prepotentemente il ruolo di codice genetico.

 

Fernanda

 

continua…